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Oggi affrontiamo il tema della protezione dai contaminanti che possono penetrare nell’organismo attraverso il sistema respiratorio presentando l’intervento dal titolo “Dispositivi di protezione delle Vie Respiratorie”, a cura di Virginio Galimberti.
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I dispositivi di protezione delle vie respiratorie
PuntoSicuro conclude con questo articolo gli approfondimenti relativi al seminario dal titolo “Dispositivi individuali di protezione dai rischi per la salute”, seminario che si è tenuto il 7 ottobre 2010 alla Convention “ Ambiente Lavoro” di Modena ed è stato organizzato dall’Associazione italiana di acustica ( AIA) e dall’Associazione Italiana degli Igienisti Industriali ( AIDII).
Per contribuire alla conoscenza delle caratteristiche e delle corrette modalità d’uso dei DPI, spesso ancora poco note, PuntoSicuro si è soffermato su interventi che hanno parlato di guanti antivibrazione, di DPI per la protezione dall’esposizione cutanea e di DPI per la protezione individuale dalle radiazioni ottiche.
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Il relatore dopo aver ricordato gli obblighi del datore di lavoro, dei dirigenti e dei lavoratori, indica che tutti i Dispositivi di Protezione delle Vie Respiratorie (APVR) sono classificati in 3° Categoria (D.E. 89/686/CEE e D.Lgs 475/92): sono DPI destinati a proteggere da “rischi di morte o lesioni gravi e a carattere permanente” e l’addestramento relativo è dunque obbligatorio.
In particolare nella scelta del DPI si “deve tenere conto di:
- natura dell’ inquinante (gas; polveri; ecc );
- concentrazione dell’inquinante e conoscenza del relativo TLV-TWA; STEL; ecc.;
- soglia olfattiva dell’ inquinante;
- presenza o meno di ossigeno nell’aria (minimo 17%);
- condizioni ambientali (temperatura, umidità, infiammabilità esplosività, ecc.) dell’inquinante ecc.);
- condizioni e ritmi di lavoro;
- possibilità o meno di avere una limitazione nei movimenti;
- necessità di comunicazione tra gli operatori”.
E a parità di caratteristiche protettive “si deve tener conto, almeno:
- “dell’effettivo livello di protezione nelle situazioni lavorative;
- del peso dell’apparecchio;
- della sua adattabilità al portatore;
- dell’autonomia;
- di eventuali esigenze specifiche del portatore (es.: occhiali correttivi);
- dell’eventuale riduzione o alterazione del campo visivo;
- della compatibilità con altri DPI eventualmente necessari;
- di eventuali condizioni climatiche estreme;
- di impieghi a basse temperature;
- di eventuali situazioni di emergenza che possono insorgere”.
Dopo aver affrontato i vari fattori di protezione (PP, FPN e FPA) e le varie perdite (attraverso bordo di tenuta, valvole di aspirazione, filtro, …) dei DPI, si indica che possono essere usati:
- respiratori a filtro: se la quantità di ossigeno nell’aria è superiore al 17% di volume, se si conosce la natura e la concentrazione degli inquinanti e in ambienti aperti;
- respiratori isolanti: se l’ossigeno è inferiore al 17%, se non si conoscono natura e concentrazione degli inquinanti, con concentrazioni troppo elevate, con inquinanti immediatamente pericolosi per la vita e in ambienti confinati.
I respiratori a filtro o “purificatori d’aria” sono “DPI che dipendono dall’atmosfera ambiente. Rimuovono i contaminanti dall’atmosfera e offrono adeguata protezione solo per determinate concentrazioni di contaminanti”:
- facciali filtranti o semimaschere filtranti (EN 149): “costituiti interamente o parzialmente dallo stesso materiale filtrante attraverso il quale passa l’aria da respirare. Il bordo della maschera costituisce la tenuta della stessa. La bardatura può essere costituita da uno o più sistemi regolabili (solitamente rappresentati da elastici). Possono essere dotati di una o più valvole di espirazione. Sono essenzialmente impiegati per la protezione da inquinanti particellari (polveri, fumi e/o nebbie)”;
- semimaschere e quarti di maschera (EN 140): “è un facciale di materiale adeguato che aderisce al viso per mezzo della bardatura composta, solitamente, da due cinghie regolabili (una posizionata all’altezza del collo e l’altra dietro la nuca. È equipaggiata con filtro o filtri (nella maggioranza dei casi ricambiabili) di tutte le tipologie (antipolvere, antigas o combinati) con massa che non può superare i 300 g”;
- maschera intera (EN 136): “facciale aderente che copre bocca, naso, occhi e mento. Può essere equipaggiata anche con filtri (Twin) di tutte le tipologie ( antipolvere, antigas polivalenti e/o combinati) con massa che non può superare i 500 g”. “In genere le maschere sono dotate di una speciale membrana ‘fonica’ che consente la trasmissione della voce e l’uso di radiotelefoni”. Inoltre i materiali e gli elementi che le costituiscono devono essere resistenti agli agenti chimici aggressivi e all’invecchiamento, facilmente lavabili e disinfettabili anche con sistemi ad ultrasuoni, tali da non provocare allergie o arrossamenti alla pelle. Le maschere intere possono essere usate in unione con filtri antigas, antipolvere o combinati ovvero come facciali per respiratori isolanti”.
Dopo aver ricordato i limiti di peso per filtri antipolvere, antigas e combinati, comprensivi dei relativi portafiltro assemblati al facciale, l’intervento affronta il tema dei respiratori isolanti.
I respiratori isolanti “funzionano indipendentemente dall’atmosfera ambiente e proteggono sia da carenza d’ossigeno che da elevate concentrazioni di contaminanti. L’aria respirabile viene prelevata da bombole o fonti esterne quali reti di aria compressa, compressori ovvero una fonte ambiente non inquinata”.
Questi respiratori possono essere:
- “non autonomi: il gas respirabile viene fornito da dispositivi non facenti parte del respiratore quali reti di distribuzione, parco bombole, prese d’aria esterne, ecc;
- autonomi: il gas respirabile viene fornito da sistemi autotrasportati”.
Vi rimandiamo al documento originale che presenta diverse immagini esplicative relative alle diverse tipologie di respiratori isolanti.
Concludiamo con qualche informazione sui respiratori isolanti autonomi.
“Detti anche ‘autorespiratori’ sono i dispositivi più adatti per far fronte alle emergenze”. In base al principio di funzionamento si distinguono in:
- respiratori a circuito “chiuso”: sono di due tipi (ad ossigeno compresso e a rigenerazione di ossigeno). “Il tipo a rigenerazione di ossigeno è dotato di una speciale cartuccia che trattiene l’anidride carbonica presente nell’aria espirata e vi aggiunge ossigeno in modo da rendere ancora respirabile l’aria”;
- respiratori a circuito “aperto”: “il gas respirabile viene prelevato da serbatoi autotrasportati e l’aria espirata viene immessa direttamente in atmosfera ambiente”.
Questi ultimi possono essere:
- a domanda (vecchia generazione): “l’aria viene erogata dal sistema solamente al momento in cui l’operatore la richiede (fase respiratoria)”;
- a sovrapressione (o pressione positiva): “l’apparecchio mantiene una leggera sovrapressione all’interno della maschera che si attiva al momento della prima fase respiratoria”.
Infine si ricorda che nei respiratori isolanti autonomi ad aria compressa a circuito aperto “la/e bombole sono fissate al dorsale mediante apposite fasce di trattenuta. Aprendo la valvola della bombola l’aria compressa fluisce nel riduttore di pressione dove si espande ad una specifica pressione (circa 7 bar). Una valvola di sicurezza impedisce comunque che, in caso anomalo, la pressione possa superare i 10 bar. La seconda riduzione avviene nell’erogatore. Un manometro permette il controllo costante della pressione nelle bombole. Gli apparecchi sono dotati di un dispositivo di allarme che si attiva quando la pressione nella bombola scende ad un livello prefissato (circa 1/5 del volume totale)”.
“ Dispositivi di protezione delle Vie Respiratorie”, a cura di Virginio Galimberti, intervento relativo al seminario “Dispositivi individuali di protezione dai rischi per la salute” (formato PDF, 1.342 kB).
Tiziano Menduto
Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.
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Rispondi Autore: Fabrizio Aleotti - likes: 0 | 21/02/2011 (10:04:15) |
Interessante. Vi chiedo di ampliare anche ad altri DPI. Grazie. |
Rispondi Autore: GIOVANNI BORDONI - likes: 0 | 09/10/2019 (09:27:36) |
Un riferimento normativo per il limite minimo del 17%? |