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Il potere-dovere degli organi di vigilanza ad impartire le prescrizioni

Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Vigilanza e controllo

20/12/2010

La Corte di Cassazione fa il punto sulla procedibilità o meno dell’azione penale nel caso di mancata prescrizione di regolarizzazione da parte dell’organo di vigilanza. A cura di G. Porreca.

 
 
Commento a cura di Gerardo Porreca.
 
A sedici anni dalla sua emanazione il D. Lgs. 19/12/1994 n. 758, contenente “Modificazioni alla disciplina sanzionatoria in materia di lavoro” tiene ancora banco alla Corte di Cassazione la quale costituisce sempre la più autorevole fonte di indirizzi e di insegnamento sia per l’Autorità Giudiziaria e per gli organi di vigilanza che per tutti coloro che devono applicare le procedure oblative in materia di salute e di sicurezza sul lavoro del nuovo sistema sanzionatorio introdotto nel 1994.
 
La Corte di Cassazione penale, considerato e preso atto che sull’argomento si sono riscontrate precedenti proprie espressioni contrastanti, in questa importante, lunga e complessa sentenza fa il punto sul potere-dovere da parte degli organi di vigilanza di impartire il provvedimento di prescrizione in materia di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nonché sulla improcedibilità o meno dell’azione penale nel caso in cui non sia stato adottato da parte degli stessi il provvedimento di prescrizione di cui al D. Lgs. 19/12/1994 n. 758 e prende, altresì, lo spunto per effettuare una vera e propria rimeditazione del complessivo quadro di riferimento dalla quale emergono diversi elementi interessanti alcuni dei quali in un certo senso rivoluzionari.


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In questa sentenza, infatti, la Corte suprema giunge alla conclusione che:
-        sussiste la possibilitàda parte dell’organo di vigilanza e non il dovere di impartire al contravventore una apposita prescrizione di regolarizzazione e di ammettere lo stesso, una volta verificata l’ottemperanza, all’oblazione in sede amministrativa mediante il pagamento di un quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa;
-        la procedibilità dell’azione penale non è condizionata dal fatto che l’organo di vigilanza non ha impartita alcuna prescrizione di regolarizzazione ma è invece condizionata, per un determinato periodo di tempo, nel caso in cui invece al trasgressore sia stata impartita una prescrizione di regolarizzazione medesima;
-        la sospensione del processo penale non è mai “sine die” ma si chiude con l’ottemperanza da parte del trasgressore alle prescrizioni di regolarizzazione impartite dall’organo di vigilanza.
 
I provvedimenti contravvenzionali e l’iter giudiziario.
 
A seguito del decreto di citazione emesso dal competente Pubblico Ministero tre imputati sono stati rinviati a giudizio per rispondere del reato di cui all’articolo 29 comma 1 ed all’articolo 18 comma 5 bis del D. Lgs. n. 276/2003 per aver stipulato un contratto di appalto privo dei requisiti previsti dalla normativa di cui al decreto citato ed in particolare per aver fornito ad una ditta 10 lavoratori senza averli dotati delle attrezzature necessarie allo svolgimento dell'appalto, senza aver assunto il rischio di impresa e senza aver esercitato sugli stessi lavoratori il potere direttivo ed organizzativo che è un requisito di validità necessario per un contratto di appalto.
 
Il Tribunale, chiamato a decidere, ha dichiarato gli imputati colpevoli del reato loro ascritto e li ha condannati, riconosciute le attenuanti genetiche, alla pena di 46.000,00 euro di ammenda ciascuno oltre al pagamento delle spese processuali con pena sospesa alle condizioni di legge. Avverso questa pronuncia i tre imputati hanno proposto distinti ricorsi per cassazione adducendo fra le altre motivazioni un difetto di procedibilità dell’azione penale. Ha sostenuto in particolare la difesa dei ricorrenti, citando a sostegno della loro tesi una precedente sentenza della Sez. III della stessa Corte di Cassazione, la n. 34900 del 17/9/2007, che l'omessa fissazione da parte dell'organo di vigilanza di un termine per la regolarizzazione, come previsto dall’art. 20 comma 1 del D. Lgs. n. 758/1994, applicabile ai sensi dell’art. 15 del D. Lgs. n. 124/2004, comportava l'improcedibilità dell'azione penale, dovendo escludersi che alla suddetta omissione si potesse sopperire mediante la concessione di un termine da parte del giudice.
 
Le decisioni della Corte di Cassazione
 
La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso infondato e nel far ciò ha rivisitate con puntualità le disposizioni dettate con il D. Lgs. n. 758/1994 fornendo alcune indicazioni circa la sua applicazione in parte, per la verità, inedite.
 
Secondo la suprema Corte, infatti, la tesi sostenuta dalla difesa dei ricorrenti, che effettivamente trova conforto nella citata precedente sentenza della stessa Corte (la n. 34900 del 17/9/2007), è stata formulata in termini radicali affermando che, ove sia mancata la prescrizione di regolarizzazione da parte dell'organo di vigilanza con l'assegnazione al trasgressore di un termine per adempiere, l'azione penale è improcedibile perché neppure il giudice può porvi rimedio ed ha ricordato, altresì, in merito che la stessa Sez. III ha avuto modo invece di esprimersi in senso contrario in un’altra sentenza, la n. 6331 del 20/1/2006 e 17/2/2006. Se vi fosse la improcedibilità come ha sostenuto la difesa, ha ribadito la Sez. III, si verificherebbe “la grave conseguenza che in tutti i casi in cui nessuna prescrizione di regolarizzazione possa essere data dall'organo di vigilanza (l'ipotesi più evidente è quella del datore di lavoro che non sia più tale per cessazione dell'azienda) vi sarebbe una situazione di ‘blocco’, in termini di non emendabile improcedibilità dell'azione penale; sicché si predicherebbe in sostanza una situazione di irrimediabile paralisi dell'azione penale con il conseguente non manifesto dubbio di legittimità costituzionale di un tale assetto normativo per violazione dell'articolo 112 Cost., che sancisce l'obbligatorietà dell'azione penale”.
 
Considerato il sostanziale contrasto emerso dalla lettura delle due precedenti citate espressioni la Corte di Cassazione ha ritenuto nella circostanza di effettuare una “rimeditazione del complessivo quadro normativo di riferimento” ricordando che per le contravvenzioni in materia di sicurezza e di igiene del lavoro, punite con la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda, il legislatore ha previsto con il D. Lgs. n. 758/1994, articoli 19 e 24, un particolare procedimento ad opera dell'organo di vigilanza, quale attività di polizia giudiziaria ai sensi dell’articolo 55 c.p.p., che precede quello penale ovvero si innesta in esso come una parentesi incidentale che comporta la sospensione del procedimento penale stesso e ciò al fine di consentire all’organo di vigilanza di impartire delle prescrizioni antinfortunistiche e di consentire al contravventore, ove abbia adempiuto alle stesse, di beneficiare di una particolare misura premiale consistente nell'oblazione in via amministrativa (pagamento di una somma pari al quarto del massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione commessa) in misura più favorevole di quella dell'oblazione prevista in generale per le contravvenzioni punite con la sola pena dell'ammenda pari alla terza parte del massimo della pena dell'ammenda (articolo 162 c.p) o pari alla metà del massimo della pena dell'ammenda per le contravvenzioni punite con la pena alternativa (articolo 162 bis c.p).
 
È l'organo di vigilanza, infatti, che “nel comunicare al P.M. la notizia di reato, impartisce (o meglio - come si viene ora a precisare - può impartire) al contravventore un'apposita prescrizione per eliminare l'infrazione accertata e, verificata la conformazione ad essa, ammette il contravventore all'oblazione in sede amministrativa mediante il pagamento di un quarto del massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione commessa”
 
Se invece la notizia di reato arriva direttamente, da altra fonte, al P.M. è quest'ultimo che investe l'organo di vigilanza perché possa dettare le sue prescrizioni per eliminare l'infrazione accertata.
 
Nell'uno e nell'altro caso il procedimento penale è sospeso, ai sensi dell'articolo 23 del citato D. Lgs. n. 758/1994, che disciplina appunto questa speciale ipotesi di "sospensione del procedimento penale", in attesa che si compia questa fase incidentale diretta a far sì che innanzi tutto siano poste in essere da parte del contravventore le specifiche misure di sicurezza e di igiene del lavoro, prescritte dall'organo di vigilanza, con possibilità di oblazione del reato in caso di adempimento. Tale sospensione del procedimento penale, ricorda la Sez. III, non è peraltro assoluta perché non preclude la richiesta di archiviazione, né impedisce l'assunzione delle prove con incidente probatorio, né gli atti urgenti di indagine preliminare, né il sequestro preventivo e si connota pertanto solo come una parentesi finalizzata alla regolarizzazione ed all'eventuale oblazione del reato.
 
La condizione di procedibilità, quindi, ribadisce la suprema Corte segue una scansione temporale secondo due possibili evenienze:
a) l'organo di vigilanza, che comunque è tenuto a riferire al pubblico ministero la notizia di reato inerente alla contravvenzione (articolo 20, comma 4), può, allo scopo di eliminare la contravvenzione accertata, impartire al contravventore un'apposita prescrizione, fissando per la regolarizzazione un termine (di ciò l'organo di vigilanza, in quanto operante nell'esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria, è tenuto a dare immediata comunicazione al P.M. e quindi di norma contestualmente alla stessa comunicazione della notizia di reato). Il processo penale allora rimane sospeso fino al momento in cui il pubblico ministero riceve una delle comunicazioni di cui all'articolo 21, commi 2 e 3 (articolo 23, comma 1), per le quali vi è un termine variamente modulato dall'articolo 20 comma 1 e articolo 21 commi 2 e 3 ma che comunque non può superare un limite temporale massimo (risultante dalla sommatoria di vari termini: fino a sei mesi -prorogabili una sola volta - per la regolarizzazione; fino a trenta giorni per l'oblazione; fino a centoventi o novanta giorni per la comunicazione al P.M. dell'adempimento o dell'inadempimento della prescrizione) entro il quale l'organo di vigilanza deve comunicare al P.M. l'adempimento alla prescrizione (con l'eventuale pagamento della somma determinata ai fini dell'oblazione) ovvero l'inadempimento alla stessa.
b) la notizia di reato perviene direttamente al P.M. ed in questo caso; è quest'ultimo ad investire l'organo di vigilanza "per le determinazioni inerenti alla prescrizione che si renda necessaria allo scopo di eliminare la contravvenzione" (articolo 22, comma 1). In questa evenienza l'organo di vigilanza informa il Pubblico Ministero delle proprie determinazioni entro sessanta giorni dalla data in cui ha ricevuto la comunicazione da quest'ultimo (articolo 22, comma 2): il processo è sospeso fino a quando l'organo di vigilanza informa il Pubblico Ministero che non ritiene di dover impartire alcuna prescrizione (perché ad es. si tratta di contravvenzioni a condotta esaurita ovvero perché l'indagato ha già provveduto spontaneamente ad eliminare la violazione), e comunque alla scadenza del termine di cui all'articolo 22, comma 2, ossia sessanta giorni dalla comunicazione del P.M., se l'organo di vigilanza omette di informare lo stesso delle proprie determinazioni inerenti alla prescrizione (articolo 23, comma 2).
In questa seconda evenienza (sub b) in cui è il P.M. che informa l'organo di vigilanza e non viceversa è indubitabile, sostiene la Sez. III, che una determinazione dell'organo di vigilanza possa essere quella di non adottare alcuna prescrizione perché ciò è espressamente contemplato dall'articolo 23, comma 2, nella parte in cui prevede che il procedimento riprende il suo corso quando l'organo di vigilanza informa il pubblico ministero che non ritiene di dover impartire una prescrizione. A tal punto la suprema Corte deduce e giustifica le proprie conclusioni sostenendo che “analogamente - non potendo certo ipotizzarsi, per l'evidente irragionevolezza intrinseca che altrimenti ne conseguirebbe, che l'organo di vigilanza possa non adottare alcuna prescrizione quando è investito dal P.M. e debba invece farlo quando è lui a comunicare al P.M. la notizia di reato - deve ritenersi che l'organo di vigilanza, ove sia quest'ultimo ad informare il P.M. (ipotesi sub a), possa fin dall'inizio determinarsi a non adottare alcuna prescrizione(perché, ad es., non c'è nulla da regolarizzare, o perché la regolarizzazione c'è già stata ed è congrua) e quindi possa limitarsi a comunicare la notizia di reato al P.M. vuoi con l'indicazione espressa di non aver impartito alcuna prescrizione al contravventore, vuoi meramente senza alcuna indicazione di prescrizioni impartite al contravventore”.
 
In merito alla sospensione del processo penale la Suprema Corte fa presente, altresì, che in ogni caso c'è comunque un termine finale massimo che fa cessare la sospensione del procedimento penale qualunque sia stata (o non sia stata) l'attività dell'organo di vigilanza così come è ben possibile che questa sospensione non scatti mai ove inizialmente l'organo di vigilanza comunichi al P.M. la notizia di reato con l'indicazione espressa di non aver impartito alcuna prescrizione al contravventore ovvero senza l'indicazione di alcuna prescrizione impartita. “In altre parole”, prosegue la Sez. III, ”il fatto che l'organo di vigilanza non impartisca alcuna prescrizione di regolarizzazione è un'ipotesi possibile e legittima e non condiziona affatto l'esercizio dell'azione penale, che è invece condizionato, per un limitato periodo di tempo, solo nel caso in cui, all'opposto, l'organo di vigilanza impartisca al trasgressore una prescrizione di regolarizzazione; condizionamento questo che, così costruito, appare compatibile con il precetto costituzionale dell'obbligatorietà dell'azione stessa (articolo 112 Cost.)”.
 
La Sez. III proseguendo nella sentenza fornisce poi un interessante chiarimento sulla nozione di " prescrizione di regolarizzazione" che l'organo di vigilanza, ribadisce ancora, “può e non già deve adottare”. La regolarizzazione, sostiene la suprema Corte, è un atto dovuto dal datore di lavoro (e da chi sia soggetto alla disciplina in materia di sicurezza e di igiene del lavoro e più in generale in materia di lavoro e legislazione sociale la cui applicazione è affidata alla vigilanza della direzione provinciale del lavoro) né occorre alcuna prescrizione da parte dell'organo di vigilanza. Va da sé che il contravventore deve far cessare la permanenza della sua condotta illecita ovvero non deve più reiterarla provvedendo a regolarizzare la sua condotta senza che sia necessaria alcuna specifica prescrizione come una sorta di ammonimento a non violare la legge penale. “Insomma”, prosegue la Sez. III, “non c'è alcun meccanismo di previa messa in mora che, ove inadempiuta, faccia scattare il reato; questo comunque è già stato commesso dal contravventore (e semmai è oblazionabile), mentre la prescrizione di legge penale, che è stata violata, non deve comunque essere più - o essere ancora - violata dall'originario contravventore senza necessità che essa sia, per così dire, ‘rinforzata’ dalla prescrizione dell'organo di vigilanza”.
La ‘regolarizzazione’ alla quale fa riferimento il complesso normativo sopra citato” chiarisce ancora la suprema Corte, ”è qualcosa di più; si tratta di prescrizioni di dettaglio - che possono consistere anche in ‘specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro’ (articolo 20, comma 3) - che rappresentano una modalità particolare di adempimento della prescrizione di legge, sanzionata penalmente. L'organo di vigilanza, in riferimento al caso che è stato oggetto dell'attività di vigilanza, può ritenere che le esigenze di sicurezza e di igiene del lavoro siano meglio soddisfatte con l'adozione di determinati accorgimenti che costituiscono una modalità specifica di adempimento della prescrizione di legge, ritenuta dall'organo di vigilanza più confacente al caso di specie”. Il contravventore quindi, che comunque deve adempiere alla generale prescrizione di legge, può essere chiamato ad adempiere ad una prescrizione ulteriore, quella impartitagli dall'organo di vigilanza, e questo aggravio è bilanciato dalla misura premiale dell'oblazione in sede amministrativa del reato a condizioni più favorevoli dell'oblazione di cui agli articoli 162 e 162 bis c.p..
 
In definitiva ed in conclusione, afferma la suprema Corte, il fatto che “nessuna prescrizione di regolarizzazione sia stata intimata dall'organo di vigilanza ai trasgressori non costituisce causa di improcedibilità dell'azione penale”.
 
 
 
 

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