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Le decisioni della Corte di Cassazione in esito al ricorso
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Sull’obbligo del datore di lavoro di ridurre al minimo i rischi
Commento a cura di Gerardo Porreca.
Bari, 12 Sett - Nella sentenza della Corte di Cassazione in esame, relativa ad un infortunio mortale sul lavoro avvenuto in una azienda, è stata individuata una carenza di segnaletica e di informazione da parte del datore di lavoro ed è stata associata la carenza stessa al mancato rispetto delle disposizioni di legge in materia di sicurezza sul lavoro in base alle quali i rischi sui luoghi di lavoro devono essere ridotti al minimo possibile se non proprio eliminati completamente. Nella circostanza dell’infortunio in esame, in particolare, secondo la Corte suprema, si sarebbe potuto e si sarebbe dovuto migliorare le modalità con cui andava segnalata la presenza di un lavoratore nella zona dove lo stesso stava prestando la propria attività e che poteva diventare una zona di pericolo per la sua incolumità.
Il caso e le misure di sicurezza adottate
Il Tribunale ha condannato l’amministratore unico di una società, ritenuto colpevole quale datore di lavoro dell’azienda del delitto di omicidio colposo avvenuto in danno di un operaio dipendente, per aver omesso di adottare efficienti sistemi di sicurezza atti a segnalare in modo inequivoco la presenza di persone operanti all'interno di una tramoggia di una vasca di immissione di materiale calcareo e per aver cagionata la morte di detto operaio, che si era introdotto nel vano inferiore della vasca per effettuarne lavori di pulizia, in conseguenza di una rovinosa caduta sul suo corpo di pietre ed altro materiale versato dall'alto dai colleghi di lavoro attraverso la bocca superiore. Dalle indagini era risultato, come riscontrato anche dalle testimonianze dei colleghi di lavoro, che il lavoratore si era attenuto alle procedure previste formalmente nel documento di sicurezza, elaborato da un consulente esterno alla società, ove era prescritto che, al fine di effettuare i lavori di pulitura della tramoggia, l'operaio addetto dovesse entrare dal basso nella vasca ed ivi rimanervi fino a che non avesse esaurita l'attività programmata.
L’infortunio mortale era stato dal Tribunale collegato eziologicamente ad un sistema di sicurezza rudimentale ed insufficiente non rispettoso del principio della massima riduzione dei rischi dettato dal D. Lgs. n. 626/1994 ed era stato addebitato al datore di lavoro in quanto titolare della posizione di garanzia al quale incombeva per legge l'obbligo di adottare le misure di sicurezza adeguate e più idonee alla situazione concreta. La possibilità di adottare nella circostanza delle misure di sicurezza più adeguate a prevenire un eventuale scarico di materiale all'interno della bocca superiore della tramoggia, causa dell’infortunio, era stata individuata dal Tribunale sulla scorta del parere espresso al riguardo dal consulente tecnico del P.M. che aveva individuata la necessità nella circostanza di apporre dei segnali luminosi e sonori certamente più idonei ed efficaci di quanto non fosse il rudimentale sistema adottato consistente nell'apposizione di due assi di legno sulla grata superiore della tramoggia. La Corte di Appello alla quale si è rivolto successivamente l’imputato ha riformata parzialmente la sentenza di primo grado sostituendo la pena detentiva inflitta con quella pecuniaria con la revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena.
Il ricorso alla Corte di Cassazione e le motivazioni
Avverso la decisione della Corte Territoriale il datore di lavoro ha proposto ricorso per cassazione lamentando che i giudici di secondo grado non avevano considerato che, con il rilascio con atto scritto di una delega al "direttore di cava", il datore di lavoro aveva effettuato legittimamente il definitivo e pieno passaggio delle funzioni in materia di sicurezza a detto soggetto, qualificato e capace, conseguendo l'esonero da ogni responsabilità per l'eventuale violazione degli obblighi imposti dalla legge in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro. L’imputato si è lamentato, altresì, che i giudici della Corte di Appello avevano individuata l’applicabilità dell’apprestamento di un sistema di segnalazione acustica e visiva non sulla base di una concreta dimostrazione tecnico-scientifica, eventualmente acquisibile per mezzo di un supplemento di perizia, ma ricorrendo solamente al concetto del fatto "notorio", e cioè sulla base che è prassi in uso da tempo di utilizzare sistemi di segnalazione attivabili elettricamente o elettronicamente.
L’imputato ha, altresì, contestata la ritenuta inidoneità del sistema di prevenzione da lui adottato in quanto sarebbe stata trascurata la circostanza che lo stesso sistema prevedeva, oltre alla collocazione di due assi di legno al fine di indicare che erano in corso lavori all'interno della vasca, anche l'ulteriore presidio consistente nella obbligatoria partecipazione alle operazioni di due operai, al fine di ottenere un duplice livello di attenzione, nell'evenienza di occasionali cali di prudenza da parte di uno di essi. Secondo il datore di lavoro, inoltre, nell’accaduto si era verificato un comportamento abnorme ed imprevedibile dell’infortunato allorquando ha omesso di collocare delle assi di legno sulla tramoggia e non ha atteso l’arrivo del secondo operaio.
Le decisioni della Corte di Cassazione in esito al ricorso
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’imputato ed ha condiviso le decisioni assunte dalla Corte di Appello la quale aveva incentrato la propria attenzione sulla possibilità rilevata dal consulente del P.M. di ridurre al massimo i rischi di caduta dall'alto di materiale pietroso con l'adozione, con costi esigui, di sistemi elettronici di rilevazione della presenza di operai all'interno della tramoggia e di segnalazione luminosa ed acustica all'esterno, essendo tale tipologia di sistemi, connotati da caratteristiche tecniche di semplice installazione e di diffusa e sperimentata applicazione da tempo in vari settori di impiego, idonea tecnicamente a prevenire, nel modo più efficace, anche eventuali disattenzioni o imprudenze dei lavoratori addetti, come l’infortunato, alla pulizia all'interno della tramoggia.
La Corte di Cassazione ha condiviso altresì il principio richiamato dai giudici di merito secondo il quale “tra i destinatari ture proprio delle norme dettate in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, è compreso, primo tra altri, il datore di lavoro e che tra gli oneri e le responsabilità, a quest'ultimo incombenti in materia di sicurezza del lavoro, è compreso quello di non discostarsi dall'obbligo della massima riduzione dei rischi nell'ambiente di lavoro dettato dal Decreto Legislativo n. 626 del 1994: a meno che, da parte del titolare dell'impresa, sia avvenuta, non soltanto la nomina nel ruolo di garante delle misure di sicurezza di persona qualificata e capace, ma anche il trasferimento alla stessa di tutti i compiti di natura tecnica, con le più' ampie facoltà di iniziativa e di organizzazione anche in materia di prevenzione degli infortuni, con il conseguente esonero, in caso di incidente, da responsabilità penale del datore di lavoro”, cosa che nella circostanza non è stato riscontrato in quanto il documento di delega al “direttore di cava” prodotto dalla difesa non era utile ai fini dell'esenzione del datore di lavoro da responsabilità, trattandosi di delega limitata all'esecuzione delle misure di sicurezza e all'attività di sorveglianza circa il loro rispetto, e non certamente estesa anche all'osservanza dell'obbligo dell'individuazione dei fattori di rischio e delle misure di prevenzione da adottare all'interno dell'azienda.
“Vero è che il datore di lavoro”, ha proseguito la suprema Corte, “ai sensi del disposto di cui al Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 4, comma 4, lettera a), può designare un responsabile del servizio di prevenzione e protezione e che i compiti di detto responsabile sono dettagliatamente elencati nel successivo articolo 9 e, tra essi, rientra l'obbligo dell'individuazione dei fattori di rischio e delle misure di prevenzione da adottare. Ma è, tuttavia, indubbio che, nel fare ciò, il responsabile del servizio opera per conto del datore di lavoro, il quale è persona che giuridicamente si trova nella posizione di garanzia, poiché l'obbligo di effettuare la valutazione e di elaborare il documento contenente le misure di prevenzione e protezione, in collaborazione con il responsabile del servizio, fa capo al datore di lavoro in base al cit. Decreto Legislativo, articolo 4, commi 1, 2 e 6”.
In merito alle funzioni del responsabile del servizio di prevenzione e protezione la Sez. IV ha ribadito e confermato a tal punto quanto più volte in passato sostenuto dalla stessa Corte di Cassazione e cioè che “Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione è, in altri termini, una sorta di consulente del datore di lavoro ed i risultati dei suoi studi e delle sue elaborazioni, come pacificamente avviene in qualsiasi altro settore dell'amministrazione dell'azienda, vengono fatti propri dal datore di lavoro che lo ha scelto, con la conseguenza che quest'ultimo delle eventuali negligenze del primo è chiamato comunque a rispondere”.
Privo di fondamento giuridico è stato inoltre ritenuto dalla suprema Corte l'assunto del ricorrente secondo il quale la delega affidata al "direttore di cava" sarebbe valsa giuridicamente anche a sostituire il datore di lavoro nel compito di decidere se e quali misure di sicurezza dovevano essere adottate nell'ambito aziendale e, quindi, potesse, di per sé, rendere esente da responsabilità il datore di lavoro, a parte la circostanza che a carico dello stesso era in corso un procedimento penale parallelo con il quale questi è stato chiamato a rispondere di concorso colposo nella produzione del medesimo evento infortunistico anche se per comportamenti omissivi del tutto differenti rispetto a quelli accertati e contestati a carico del datore di lavoro.
In merito alla inadeguatezza del sistema di prevenzione adottato in concreto per evitare infortuni nel corso degli interventi di pulizia da eseguirsi all'interno della tramoggia e della necessità di ricorrere a più idonei sistemi di prevenzione la suprema Corte ha ritenuta persuasiva e congrua la motivazione esposta dai giudici di merito per dimostrare l'insufficiente efficacia, ai fini della prevenzione del pericolo per l'incolumità dell'operaio impegnato in lavori di pulizia all'interno della tramoggia, del sistema adottato in concreto dal datore di lavoro, considerato che l'apposizione di due assi di legno sulla grata superiore della tramoggia, oltre a non recingere di fatto l'intero margine della vasca, costituiva un ostacolo di scarsa consistenza, potendo le assi essere rimosse da urti accidentali o da altri agenti esterni, come in effetti è avvenuto.
La soluzione alternativa, proposta dai giudici di merito, del ricorso a sistemi di segnalazione luminosi ed acustici non è stata, inoltre, ritenuta dalla suprema Corte, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa del ricorrente, come una sorta di escamotage non suffragato da studi scientificamente validi posto che detta soluzione è stata, a ragion veduta, mutuata dal parere tecnico espresso sul punto dal consulente del P.M. ed “essendo evidente il minore margine di rischio assicurato da un sistema, immune da condizionamenti esterni, come quello proposto di rilevazione elettronica della presenza dell'operaio all'interno della vasca e di segnalazione all'esterno mediante allarmi luminosi od acustici”.
“I sistemi di rilevazione della presenza di persone negli ambienti più disparati”, ha quindi proseguito la Sez. IV, “(anche quelli ove si svolgono attività produttive o, comunque, lavorative) mediante telecamere o altre apparecchiature attivabili elettricamente o elettronicamente, sono di uso generalizzato e assicurano, mediante allarmi luminosi od acustici, il controllo più efficace, sulla scorta dell'’id quod plerumque accidit’, per impedire che quella presenza non sfugga all'attenzione altrui, senza subire interferenze dalle eventuali condotte disattente od imprudenti della stessa persona soggetta al controllo”.
La suprema Corte ha quindi concluso condividendo e ribadendo quanto richiamato dalla Corte di appello e cioè che sussiste “l'obbligo giuridico, incombente sul datore di lavoro di ridurre al massimo possibile il rischio connesso ad aspetti delle attività aziendali foriere di pericolo per la salute dei lavoratori dipendenti”.
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