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Per visualizzare questo banner informativo è necessario accettare i cookie della categoria 'Marketing'Il diritto ad essere informati e la riservatezza in ambito lavorativo
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Il diritto all’informazione e il dovere alla riservatezza sono in ambito lavorativo un problema molto delicato. Un problema affrontato più volte in ambito comunitario con il successivo adeguamento della nostra legislazione.
In particolare attraverso il D. Lgs. n. 25 del 6 febbraio 2007, “Attuazione della direttiva 2002/14/CE che istituisce un quadro generale relativo all'informazione e alla consultazione dei lavoratori”, che individua il quadro generale in materia di diritto all'informazione ed alla consultazione dei lavoratori nelle imprese o nelle unità produttive situate in Italia.
Ricordiamo che il Decreto legislativo 9 aprile 2008 n. 81 prevede espressamente, all’articolo 50, che il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza riceva copia del documento di valutazione dei rischi aziendali.
Il decreto prevede inoltre che il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza possa accedere ai luoghi di lavoro in cui si svolgono le lavorazioni e riceva le informazioni e la documentazione aziendale “inerenti alle sostanze ed ai preparati pericolosi, alle macchine, agli impianti, alla organizzazione e agli ambienti di lavoro, agli infortuni ed alle malattie professionali”.
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Per approfondire la conoscenza di questo tema presentiamo brevemente un “Working Paper” del Centro Studi di Diritto del Lavoro Europeo “Massimo D’Antona”, scritto da Luciana Guaglianone e intitolato “Il problema delle informazioni riservate (art. 5 d. lgs n.25/07)”.
Il documento, molto ricco di rilievi tecnici e interpretativi, parte dall’analisi delle norme comunitarie.
Ad esempio si ricorda che “l’ultimo tassello dell’evoluzione degli obblighi di riservatezza e di segreto, posti da normative comunitarie, è costituito dall’art. 6 della direttiva 2002/14 CE”. Quello che muta, con questa direttiva, “è il contesto interpretativo”: ora “l’informazione non appare più legata a fatti contingenti, ovvero appannaggio di organismi tipici, ma diventa un diritto collettivo, stabile e giuridificato, finalizzato (anche) alla realizzazione della Strategia europea per l’occupazione imperniata sui concetti di anticipazione, prevenzione e occupabilità”.
In Italia l’art. 6 della direttiva 2002/14 CE è stato recepito dall’art. 5 del D. Lgs. n. 25 del 6 febbraio 2007, articolo che riguardo ai diritti di informazione “si interessa dei loro limiti e delle modalità tramite le quali renderli mobili ovvero modificarli”.
Si configurano “tre ipotesi di deviazione dal diritto ad essere informati”. Due di queste, il diritto alla riservatezza ed il diritto al segreto, erano già presenti nei decreti che recepivano le precedenti direttive comunitarie, la terza invece, inserita per la prima volta, “ha portata generale, ed è finalizzata a garantire, anche, alle informazioni riservate, la protezione offerta dalla disciplina di tutela dei dati personali di cui al D. Lgs. n. 196/03”.
Il documento continua affrontando il doppio livello di tutela offerto dal già citato articolo 5: il diritto alla riservatezza e quello al segreto.
Ad esempio esiste un dovere di riservatezza che “si concretizza nell’obbligo, posto a carico dei rappresentanti dei lavoratori e degli esperti, di non rivelare, né ai lavoratori né a terzi, informazioni loro fornite, espressamente in via riservata, e qualificate come tali dall’imprenditore, nel legittimo interesse dell’impresa”.
Ed è chiaro che il “punto nodale della normativa in materia di riservatezza” ruoti proprio intorno alla locuzione ‘nell’interesse dell’impresa’: “espressione utilizzata, sia dal legislatore comunitario, sia da quello nazionale, come spartiacque tra forme di lecito, ovvero illecito, divieto di circolazione delle informazioni”.
Seguendo la linea indicata dal legislatore comunitario risulta che “titolari del diritto di informazione e, quindi, anche destinatari del dovere di segreto, sono, in via principale e necessitata, i rappresentanti dei lavoratori”.
Il documento - che vi invitiamo a consultare direttamente - affronta anche “chi” debba essere considerato di volta in volta un organismo rappresentate dei lavoratori, specialmente in mancanza di organismi rappresentativi “generali”.
In questo caso si prospetta la “possibilità di costituire rappresentanze specializzate, un po’ come, teoricamente, potrebbe succedere per quanto riguarda i rappresentanti per la sicurezza”.
Successivamente il documento analizza le questioni interpretative e l’impatto della norma nazionale su obblighi e doveri di altri destinatari delle informazioni riservate: gli esperti , i terzi e i consulenti.
Queste figure, anche se con ruoli distinti, risultano “evocate nella disposizione che autorizza la contrattazione collettiva a scavalcare la volontà datoriale, in merito alla qualificazione di alcune informazioni come riservate”.
Riguardo poi al “segreto” il documento analizza la parte del decreto che “autorizza il datore di lavoro a non comunicare informazioni che, per ‘comprovate esigenze tecniche, organizzative e produttive’, sono di natura tale da creare notevoli difficoltà al funzionamento dell’impresa o da arrecarle danno”.
Tale deroga “concessa al datore di lavoro di non informare, nei casi in cui ritenga che il farlo ‘nuocerebbe gravemente all’impresa’ non fa parte dell’impianto originario della direttiva”.
Il documento si conclude con una serie di analisi relative alla concretizzazione delle ‘esigenze tecniche, organizzative e produttive’, dei parametri di “valutazione della legittimità del segreto” e degli aspetti relativi alla ‘privacy’ delle persone giuridiche.
Luciana Guaglianone, “Working paper” del Centro Studi di Diritto del Lavoro Europeo “Massimo D’Antona”, “Il problema delle informazioni riservate (art. 5 d. lgs n.25/07)” (formato PDF, 178 kB).
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