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Sicurezza tecnica e sicurezza gestionale

Rolando Dubini

Autore: Rolando Dubini

Categoria: Approfondimento

12/07/2006

Tra D.p.r. 547/55 e D. Lgs. 626/94. Le aporie e le contraddizioni del cosiddetto nuovo approccio. Di Rolando Dubini.

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Sicurezza tecnica e sicurezza gestionale tra D.p.r. n. 547/55, D.p.r. n. 164/56, D.p.r. n. 303/56, D. Lgs. n. 626/94.
Le aporie e le contraddizioni del cosiddetto nuovo approccio.
Di Rolando Dubini, avvocato in Milano

Fin dall'entrata in vigore del Decreto Legislativo 19 settembre 1994 n. 626 ha avuto modo di svilupparsi, e scatenarsi in modo non di rado inverecondo, una ampia pubblicistica che, assai spesso dimentica della gerarchia delle fonti del diritto, ha contrapposto il Decreto Legislativo n. 626/94 ai pur vigenti Decreti n. 547/55, 164/56, 303/56 ecc.

Secondo certi autori l''ingresso del nostro Paese nella Unione Europea e il conseguente recepimento di molteplici direttive comunitarie nel D.Lgs. n. 626/1994, e nel D.Lgs. n. 494/1996, ha rappresentato una «svolta storica» nell'approccio al sistema di prevenzione infortuni e malattie professionali all'interno dei contesti produttivi.

In linea generale si è scritto, ad esempio, di superamento della visione «tecnicistica» e «meccanicistica» della prevenzione che caratterizzava la normativa precedente [Elisabetta Mayer, Andrea Belli, Corbizzi Fattori, un nuovo approccio di prevenzione: analisi ergonomica di un infortunio in agricoltura. ISL n. 5/2006 pagg. 269 segg.).

In realtà, visto che il legislatore ha confermato la piena validità delle norme degli anni cinquanta (D. Lgs. n. 626/94 - art. 98 Norma finale - 1. Restano in vigore, in quanto non specificatamente modificate dal presente decreto, le disposizioni vigenti in materia di prevenzione degli infortuni ed igiene del lavoro. ), più che di superamento deve parlarsi di approfondimento e di sviluppo di alcuni aspetti più generali, ma data la contemporanea vigente di norme precedenti e norme recenti, parlare in termini di superamento è giuridicamente sbagliato e profondamente fuorviante, perché può indurre, erroneamente, a pensare che i decreti precedenti siano una sottospecie di norma, quando in realtà sono norme primarie, sanzionate penalmente e inderogabili, tanto quanto il D. Lgs. n. 626/94.

I D.P.R. n. 547/1955, n. 303/ 1956, n. 164/1956 certamente si caratterizzano per un modello di protezione che presenta una forte connotazione «oggettiva», che si pone l'obbiettivo di tutelare l'integrità psicofisica dei lavoratori, e di chiunque possa essere presente sul luogo di lavoro, attraverso un ampio ed articolato reticolo di misure tecniche di protezione.

Ma affermare che ciò avviene “senza alcuna considerazione dell'importanza del fattore umano” (op. cit.) rappresenta una negazione ingiustificata dell'esplicito dettato delle norme degli anni 50, le quali contengono disposizioni del tutto equivalenti a quelle del D. Lgs. n. 626/94:

1) D.p.r. n. 547/55

4. Obblighi dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti.

I datori di lavoro, i dirigenti ed i preposti che eserciscono, dirigono o sovraintendono alle attività indicate all'art. 1, devono, nell'ambito delle rispettive attribuzioni e competenze:

a) attuare le misure di sicurezza previste dal presente decreto;

b) rendere edotti i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti e portare a loro conoscenza le norme essenziali di prevenzione mediante affissione, negli ambienti di lavoro, di estratti delle presenti norme o, nei casi in cui non sia possibile l'affissione, con altri mezzi;

c) disporre ed esigere che i singoli lavoratori osservino le norme di sicurezza ed usino i mezzi di protezione messi a loro disposizione.

6. Doveri dei lavoratori.

I lavoratori devono:

a) osservare, oltre le norme del presente decreto, le misure disposte dal datore di lavoro ai fini della sicurezza individuale e collettiva;

b) usare con cura i dispositivi di sicurezza e gli altri mezzi di protezione predisposti o forniti dal datore di lavoro;

c) segnalare immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o ai preposti le deficienze dei dispositivi e dei mezzi di sicurezza e di protezione, nonché le altre eventuali condizioni di pericolo di cui venissero a conoscenza, adoperandosi direttamente, in caso di urgenza e nell'ambito delle loro competenze e possibilità, per eliminare o ridurre dette deficienze o pericoli;

d) non rimuovere o modificare i dispositivi e gli altri mezzi di sicurezza e di protezione senza averne ottenuta l'autorizzazione;

e) non compiere, di propria iniziativa, operazioni o manovre che non siano di loro competenza e che possano compromettere la sicurezza propria o di altre persone.

2) D.p.r. n. 303/56

4. Obblighi dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti

I datori di lavoro, i dirigenti e i preposti che esercitano, dirigono o sovraintendono alle attività indicate all'art. 1, devono, nell'ambito delle rispettive attribuzioni e competenze:

a) attuare le misure di igiene previste nel presente decreto;

b) rendere edotti i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti e portare a loro conoscenza i modi di prevenire i danni derivanti dai rischi predetti;

c) fornire ai lavoratori i necessari mezzi di protezione;

d) disporre ed esigere che i singoli lavoratori osservino le norme di igiene ed usino i mezzi di protezione messi a loro disposizione.

5. Obblighi dei lavoratori

I lavoratori devono:

a) osservare, oltre le norme del presente decreto, le misure disposte dal datore di lavoro ai fini dell'igiene;

b) usare con cura i dispositivi tecnico-sanitari e gli altri mezzi di protezione predisposti o forniti dal datore di lavoro;

c) segnalare al datore di lavoro, al dirigente o ai preposti le deficienze dei dispositivi e dei mezzi di protezione suddetti;

d) non rimuovere o modificare detti dispositivi e mezzi di protezione, senza averne ottenuta l'autorizzazione.

I critici calcano poi la mano, affermando che “in relazione ai risultati ottenuti in termini di prevenzione, che l'approccio meccanicistico ha contribuito a far maturare una concezione della sicurezza e salute sul lavoro come un «fastidioso fardello», che per l'imprenditore significava un costo aggiuntivo da sostenere a scapito della reale attività economica, mentre per il lavoratore si traduceva in rigide regole da rispettare”.

Ora che prima del D. Lgs. n. 626/94, a causa dei decreti degli anni '50 vi fossero in azienda rigide regole di sicurezza da rispettare pare affermazione piuttosto ardita, per chi ha avuto modo di conoscere direttamente, come accaduto a chi scrive, la realtà delle aziende prima e dopo il D. Lgs. n. 626/94: casomai è vero il contrario, in alcune aziende regole più rigide sono arrivate solo dopo il D. Lgs. n. 626/94, come procedure e istruzioni di lavoro. Quanto ai costi aggiuntivi, questi ci sono oggi, quanto ieri, anzi oggi più di ieri, vista la necessità di avvalersi di consulenti esterni, di elaborare documenti ecc. ecc. Il fardello esiste, fare sicurezza è sicuramente un costo, in termini di denaro e di tempo, ma come insegna la Suprema Corte di Cassazione, se il lavoratore è il fattore più nobile della produzione, e la tutela della sua integrità psicofisica è una priorità assoluta, come detta in modo inderogabile l'articolo 32 della Costituzione, anche prima del D.p.r. n. 547/55,

In realtà il problema vero era l'assai diffusa l'ignoranza delle norme di prevenzione, e il basso livello di sviluppo produttivo, presso moltissime aziende, ove generalmente, salvo rare eccezioni, non vi era un addetto alla sicurezza capace di organizzare l'applicazione consapevole e circostanziata delle norme, che quindi in realtà operavano solo a posteriori, per sanzionare i comportamenti illeciti che provocavano infortuni e/o malattie professionali, ovvero lesioni personali colpose e omicidi colposi, puniti dal codice penale.

Quanto ai risultati delle norme (se è possibile esprimersi in questi termini) nel 1955, al momento dell'entrata in vigore del D.p.r. n. 547/55 gli infortuni mortali nel settore dell'industria e dei servizi avvenuti in ciascun anno e definiti con indennizzo al 31 dicembre dell'anno successivo (dati Inail) erano 1977, nel 1994 erano scesi a 825, al momento dell'entrata in vigore del D. Lgs. n. 626/94, il che fa pensare che comunque i decreti degli anni '50 hanno “governato” una situazione nella quale gli infortuni mortali si sono più che dimezzati: singolare poi la circostanza che nel 2000, cinque anni dopo l'entrata in vigore dei più importanti obblighi del D. Lgs. n. 626/94, gli infortuni mortali del settore citato erano comunque aumentati a 851!

Non è vero che “con la «nuova» normativa, il legislatore ha inteso delineare un sistema di gestione della sicurezza e salute sul lavoro che ponesse al centro dell'attività di prevenzione l'uomo anziché la macchina”: al centro del sistema è sempre stato l'uomo, come in modo inequivocabile, fin dal 1942, ha stabilito il fin troppo spesso dimenticato l'articolo 2087 del codice civile (Tutela delle condizioni di lavoro): “L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.

Una affermazione dell'obbligo prevenzionistico così ampia e netta, onnicomprensiva e incondizionata, per tutelare l'uomo lavoratore non è contenuta nemmeno nel D. Lgs. n. 626/94.

Come abbiamo visto non è il solo D.Lgs. n. 626/1994 che comincia a parlare di prevenzione di tipo soggettivo, questo era già ampiamente presente nei decreti degli anni 50, come obblighi del datore di lavoro, dei dirigenti e dei preposti di rendere edotti i lavoratori di tutti i rischi lavorativi ai quali erano esposti (divenuto oggi l'obbligo in-formativo di cui agli articoli 21-22 del D. Lgs. n. 626/94) cui corrispondeva l'obbligo, già sanzionato penalmente, del lavoratore di attenersi alle disposizioni ricevute per la prevenzione e la sicurezza e di segnalare immediatamente le carenze prevenzionistiche riscontrate: non si vede cosa di nuovo abbia introdotto in questo campo il D. Lgs. n. 626/94, se non rendere più analitici taluni obblighi, che peraltro già la giurisprudenza si era incaricata di esprimere nei termini esatti oggi indicati dall'art. 5 del D. Lgs. n. 626/94.

Dentro l'obbligo di rendere edotti i lavoratori dei rischi stanno interamente gli aspetti cognitivo-simbolici, culturali, sociali dell'organizzazione aziendale.

Quel che non pochi interpreti non hanno compreso, è che la prevenzione oggettiva non è stata superata dalla prevenzione soggettiva, ma è ad essa strettamente integrata e solidalmente connessa in modo inestricabile, e questo fin dal D.p.r. n. 547/55, ingiustamente e immotivatamente denigrato, pur essendo tutt'ora un pilastro decisivo della prevenzione.

La questione di fondo da comprendere è che i decreti degli anni 50 pongono sul tappeto, in modo che è tutt'ora DECISIVO ai fini della tutela delle centinaia di migliaia di lavoratori che ogni anno subiscono incidenti, infortuni, malattie, amputazioni varie e financo trovano la morte, l'adozione delle indispensabili e imprescindibili (ancor oggi, nel 2006) misure tecniche di protezione senza le quali l'attività lavorativa, che non è solo attività organizzata, ma anche, contemporaneamente e simultaneamente, attività tecnica e tecnologica

Il D. Lgs. n. 626/94 non si allontana affatto definitivamente dai decreti degli anni 50, ma anzi li considera come norme che a pari titolo costituiscono il corpus prevenzionistico, tanto è vero che in modo del tutto inequivocabile l'articolo 36 del D.Lgs. n. 626/94 introduce, al fine di recepire precise disposizioni di direttive comunitarie, alcune modifiche al decreto “fratello” 547/55. Non è quindi un allontanamento, ma un innesto, delle norme comunitarie, sul solido tronco delle disposizioni degli anni '50, apparato tutt'ora prezioso in materia di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali.

Si tratta, tanto per le norme degli anni 50, quanto per quelle più recenti di derivazione comunitaria, di disposizioni di carattere generale che hanno efficacia al fine di operare al di là del contesto produttivo singolo.

La prospettiva globale proposta dal D.Lgs. n. 626/1994 non si scontra, ma si sposa piuttosto armoniosamente con i dettami dell'ottima legislazione degli anni '50, e consente, al datore di buona volontà e che voglia conformare la sua azione al rispetto della salute del lavoratore di armonizzare gli aspetti tecnici, quelli umani e quelli organizzativi.

L'esperienza derivante dall'applicazione dei decreti degli anni '50 ha dimostrato come certamente la semplice adozione delle misure di protezione tecnica non sempre consenta di garantire adeguatamente la sicurezza di un lavoratore non sufficientemente reso edotto sui rischi specifici della sua attività e sulle necessarie misure di prevenzione: e tuttavia rappresenta la prima, necessaria, indispensabile e inderogabile barriera oggettiva di prevenzione, che deve poi sposarsi con la capacità di rendere il lavoratore protagonista della sua sicurezza attraverso il coninvolgimento in-formativo, ma non solo.

Non si tratta tanto di superare l'era tecnica, affermazione il cui senso può sfuggire all'osservatore attento, visto il domino crescente che la tecnica, attraverso l'informatica, assume nella vita di ognuno, quanto piuttosto

Costituzione

Art. 3.

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Gli studi che mettono in luce la relazione tra uomo, macchina e ambiente mettono in evidenza la fondamentale correlazione esistente, ai fini della corretta e omnicomprensiva prevenzione, tra componente meccanica ma anche a quella umana e organizzativa.

La concezione sistemica dei processi produttivi considera il processo di lavoro come costituito da diverse componenti: l'uomo, le tecnologie, l'ambiente (organizzativo e culturale), e il suo tentativo di integrare in un unico quadro concettuale tutte le componenti del sistema produttivo non porta affatto ed escludere forzatamente e forzosamente una di queste componenti, ad esempio quella tecnica, ma ad inquadrarla in un ambito più ampio e omnicomprensivo, senza tuttavia mai sottovalutarla, o addirittura escluderla dal quadro del sistema (quando in realtà, e chi conosce la realtà produttiva italiana fatta di moltissime microimprese, è spesso l'unica componente rilevante, secondo l'imprenditore e gli stessi lavoratori).

Una più avanzata prospettiva globale di prevenzione deve sempre,e necessariamente, considerare in modo integrato gli elementi tecnici, umani e organizzativi idonei a evitare il verificarsi di infortuni sul lavoro o di malattie professionali.

Certamente il D.Lgs. n. 626/1994 crea un sistema organico di sicurezza e salute sul lavoro, ma non è possibile sostenere che in precedenza, quando erano vigenti i soli decreti degli anni '50 l'attività di prevenzione era dettata esclusivamente dalla pur tutt'ora indispensabile eliminazione dei rischi considerati isolatamente (anche perché questo sistema della sicurezza, pur necessario, assai spesso si riduce ad adempimenti meramente cartacei, formali e burocratici, e non incide sul nocciolo duro dell'attività aziendale, come purtroppo l'elevata incidenza di infortuni con lesioni e incidenti mortali nel nostro paese dimostra ad abundantiam, in una sorta di guerra dimenticata e non dichiarata, ma tutt'ora irrisolta), perché l'obbligo di rendere edotti i lavoratori dei rischi cui sono esposti di fatto rendeva obbligatoria per il datore di lavoro un'ampia e sistematica ricognizione dei livelli di rischio esistenti, con il coinvolgimento di dirigenti, preposti e lavoratori (e su questo coinvolgimento di tutte le componenti aziendali, nulla muta col D. Lgs. n. 626/94).

L'articolo citato, pregevole nella parte in cui affronta i vantaggi dell'analisi ergonomica, ad un certo punto conferma l'interazione esistente, e ineliminabile, tra tecnica-organizzazione e fattore umano: “l'analisi ergonomica di numerosi incidenti nell'ambito di organizzazioni ad elevata complessità, come quelli ferroviario, chimico o aereo, ha messo in luce come la conclusione «errore umano», peraltro con accezione impropria, ridotta all'imputazione dell'operatore di prima linea di disattenzione o violazione delle norme di sicurezza, non sia efficace per una effettiva gestione del rischio. In numerose occasioni questi studi hanno ricondotto le cause dell'incidente ad errori del sistema, dovuti ad una progettazione dei processi e dell'organizzazione del lavoro non efficace, ad un cattivo design degli strumenti di lavoro, alla non corretta manutenzione o gestione degli impianti e/o a decisioni inadeguate prese a livello manageriale, che possono riguardare i regolamenti, la selezione del personale, la formazione e la stessa progettazione del lavoro”.

Rolando Dubini.

 

 

 


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Rispondi Autore: Max - likes: 0
01/02/2020 (17:58:33)
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