La responsabilità di un dirigente scolastico per l’infortunio di un alunno
È breve questa sentenza della Corte di Cassazione ma molto importante perché ha stabilito che il cortile di un istituto scolastico può essere equiparato a un luogo di lavoro ai fini della determinazione della responsabilità per un eventuale infortunio che dovesse accadere nello stesso. Si è ritenuto di segnalarla perché suona come un monito preciso rivolto ai dirigenti di istituti scolastici affinché in essi siano adottate tutte le misure e le precauzioni necessarie per la protezione degli studenti e in particolar modo dei bambini che, per loro stessa natura, hanno bisogno certamente di un maggior controllo e di una maggiore sorveglianza.
La sentenza ha tratto origine da un grave infortunio subito da uno studente il quale, durante la "ricreazione", giocando con i compagni, era caduto in terra e un chiodo gli si era conficcato nella palpebra con rilevanti postumi invalidanti e con l'indebolimento permanente della vista. Per l’accaduto era stato condannato nei due primi gradi di giudizio il dirigente scolastico in quanto ritenuto responsabile per colpa per negligenza, imperizia ed inosservanza della disciplina sulla prevenzione degli infortuni lavorativi e, in particolare per inosservanza degli artt. 63 e 64 comma 1 lett. a) del D. Lgs. 81/2008, avendo lo stesso consentito che nel citato cortile permanessero pessime condizioni di manutenzione, con buche, asperità del terreno, cordoli sconnessi con spigoli sporgenti e chiodi arrugginiti, ragion per cui l'alunno si era procurato le lesioni personali sopra evidenziate.
Avverso la sentenza la difesa del dirigente scolastico ha proposto ricorso per cassazione sostenendo principalmente che nel caso in esame non era applicabile la disciplina antinfortunistica a carico dello stesso in quanto l’infortunio dell’allievo si era verificato al di fuori delle ipotesi per cui questi potesse essere qualificato come lavoratore secondo la disciplina di sicurezza sul lavoro vigente. Non è apparsa dello stesso avviso la suprema Corte che ha stabilito che il cortile di un istituto scolastico può essere equiparato a un luogo di lavoro ai fini della determinazione della responsabilità per infortuni sul lavoro. La stessa comunque, dopo avere fatto osservare che il reato contestato si era estinto per intervenuta prescrizione, ha annullata la sentenza impugnata senza il suo rinvio alla Corte territoriale di provenienza.
Il fatto, l’iter giudiziario, il ricorso per cassazione e le motivazioni.
La Corte di Appello ha confermata la decisione del Tribunale che aveva riconosciuto il dirigente scolastico di un istituto responsabile del reato di lesioni colpose gravi con inosservanza della disciplina antinfortunistica nei confronti di un alunno che, nel corso della "ricreazione" si era procurato, giocando con i compagni, un grave trauma oculare in quanto cadeva in terra durante il gioco e un chiodo gli si era conficcato nella palpebra con rilevanti postumi invalidanti e con l'indebolimento permanente della vista.
All’imputato in particolare era stata contestata la colpa per negligenza, imperizia ed inosservanza della disciplina sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro e, in particolare per l’inosservanza degli artt. 63 e 64 comma 1 lett. a) del D. Lgs. n. 81/2008 per avere consentito che nel cortile dell’istituto scolastico permanessero pessime condizioni di manutenzione, con buche, asperità del terreno, cordoli sconnessi con spigoli sporgenti, chiodi arrugginiti, cosi che l'alunno si era procurato le lesioni personali sopra evidenziati mentre era intento a correre e a giocare all'interno del cortile.
All'imputato venivano riconosciute le circostanze attenuanti generiche e la circostanza attenuante del risarcimento del danno prima del giudizio e veniva condannato alla pena di un mese e dieci giorni di reclusione con il riconoscimento della sospensione condizionale della pena e con sostituzione della pena detentiva con la corrispondente sanzione sostitutiva della pena pecuniaria ai sensi dell'art. 53 della Legge n. 689/81 in ragione del ragguaglio di euro 250 per ciascun giorno di pena detentiva.
Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la difesa dell'imputato la quale ha avanzato diverse motivazioni. La stessa ha innanzitutto ipotizzata una violazione di legge in quanto l'uso del cortile scolastico era stato equiparato a luogo di lavoro, con falsa applicazione dell'art. 2 del D. Lgs. n. 81/2008, art. 2 del DM n. 382 del 1998 in relazione all'art. 14 delle preleggi e con riferimento all'art. 590 del codice penale. La stessa ha infatti sostenuto che nel caso in esame non era applicabile la disciplina antinfortunistica a carico del dirigente scolastico in quanto l'infortunio dell'allievo si era verificato al di fuori delle ipotesi per cui questi potesse essere qualificato come lavoratore secondo la disciplina richiamata. Doveva quindi essere esclusa la ipotesi di reato aggravata dalla inosservanza della disciplina antinfortunistica e i fatti avrebbero dovuto essere sussunti ai sensi dell'art. 590 comma 1 cod. pen, dal che sarebbe derivata la estinzione del reato per rimessione della querela, implicita nella transazione giudiziale intervenuta in sede civile e nella mancata costituzione di parte civile nel processo penale a seguito dell'intervenuto integrale risarcimento, quantomeno ai sensi dell'art. 162 ter cod. pen..
La difesa ha inoltre sostenuto, fra le altre motivazioni, che pure a fronte di una asserita grave carenza di manutenzione del piazzale adibito a cortile della scuola, la presenza di chiodi od altri materiali arrugginiti doveva ritenersi evenienza che aveva determinato un rischio del tutto eccentrico ed estraneo alla sfera di prevedibilità da parte del dirigente scolastico, dovendosi escludere la prevedibilità in concreto di eventi invalidanti della specie di quello occorso al minore, laddove, secondo quanto desumibile dalle massime di esperienza, non era lecito attendersi conseguenze più gravi di quelle che normalmente occorrono ai bambini che giocano nei cortili in caso di caduta e che comunque le condizioni generali del piazzale andavano valutate nel suo complesso e nella situazione di fatto presente al momento dell'accaduto.
Le decisioni assunte dalla Corte di Cassazione.
La Corte di Cassazione, preliminarmente alla propria decisione, ha dichiarata la sopravvenuta estinzione del reato ai sensi dell'art. 157 c.p. che prevede un termine massimo di sei anni per la prescrizione dei delitti, aumentato a sette e sei mesi ai sensi dell'art. 161, 2 comma cod. pen., tenuto altresì conto della sospensione dei termini determinata dall'emergenza Covid nella misura di 64 giorni.
Sotto diverso profilo, ha così concluso la sprema Corte, non sono risultati dedotti vizi di violazione di legge ovvero carenze motivazionali di tale evidenza e di immediata percezione tali da giustificare una pronuncia di non luogo a procedere ex art. 129 secondo comma c.p.p.; né d'altro canto le lamentele del ricorrente sono risultate manifestamente infondate o chiaramente dilatorie, ma sono state espressione di difese tecniche degne di essere considerate per cui la Corte di Cassazione stessa, essendo il reato estinto per intervenuta prescrizione, ha quindi annullata la sentenza impugnata e inoltre, in considerazione della minore età della persona offesa, ha disposto l'oscuramento dei dati identificativi a norma dell'art. 52 del D. Lgs. 196/03.
Gerardo Porreca
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