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23/09/2015: Considerazioni sulla polvere da farina nelle attività di pizzeria

Dal punto di vista normativo, la polvere di farina si configura come rischio chimico e in questo ambito deve essere valutato

Prendo spunto da una valutazione dei rischi di una pizzeria in cui mi viene chiesta una collaborazione ai fini di definire alcuni fattori di rischio per la salute.
Soffermandoci sul pizzaiolo.
A parte il microclima che, forse, può raggiungere condizioni di severità ma se non lo si misura con l'indice WBGT (magari sia inverno che in estate ove è possibile che compaiano effetti sulla salute), non si può oggettivarlo con l'odiato (da me) PxD.
A parte il sovraccarico biomeccanico degli arti superiori che se non lo si valuta almeno con uno screening grossolano che tenga conto dei parametri della check-list OCRA, non si può oggettivarlo con l'odiato (da me) PxD.
A parte l'operazione di svuotamento delle ceneri dal forno che espone, sebbene probabilmente a basse dosi, agli IPA in esse contenuti. E non voglio affermare che vi sia un'esposizione a cancerogeni ma sottolineo la necessità di riflettere su questo compito lavorativo ai fini di identificare adeguati D.P.I. (filtrante FFP3) che riducano l'esposizione e magari a bagnarle prima di estrarle in modo da ridurre l'elevata volatilità.
 
Può sembrare paradossale ma, dal punto di vista normativo, la polvere di farina, a causa del suo elevato potere sensibilizzante ed allergizzante per le vie aeree e congiuntive, si configura come rischio chimico e in questo ambito deve essere valutato, così come le polveri di cuoio o di legno che configurano a maggior titolo un rischio chimico "rilevante" in quanto cancerogene, o le polveri di cotone, di cereali, ecc.
Infatti l'articolo 222 del Dlgs.81/08 definisce al comma 1) “Ai fini del presente capo si intende per: a) agenti chimici: tutti gli elementi o composti chimici, sia da soli sia nei loro miscugli, allo stato naturale o….ecc..”
Il comma 3) definisce “agenti chimici che, pur non essendo classificabili come pericolosi, in base ai numeri 1) e 2), possono comportare un rischio per la sicurezza e la salute dei lavoratori a causa di loro proprietà chimico-fisiche, chimiche o tossicologiche e del modo in cui sono utilizzati o presenti sul luogo di lavoro, compresi gli agenti chimici cui è stato assegnato un valore limite di esposizione professionale”
L’art. 229 del D.Lvo 81/08 prevede che: “Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 224, comma 2, sono sottoposti alla sorveglianza sanitaria di cui all’articolo 41 i lavoratori esposti agli agenti chimici pericolosi per la salute che rispondono ai criteri per la classificazione come molto tossici, tossici, nocivi, sensibilizzanti, corrosivi, irritanti, tossici per il ciclo riproduttivo, cancerogeni e mutageni di categoria 3. 
 
La polvere di farina è un prodotto naturale, altamente sensibilizzante, per la quale esiste un valore limite professionale: 0,5 mg/mc.
 
La polvere di farina è altamente sensibilizzante: dati della letteratura scientifica indicano una percentuale di 30% dei soggetti che lavorano nel campo della panificazione che si sensibilizzano nel tempo ed una percentuale inferiore (10-15%) diventano poi veri e propri allergici.
 
L’art. 224, al comma 2 chiede di stabilire, ai fini anche della sorveglianza sanitaria, se si tratta di un rischio basso per la sicurezza e irrilevante per la salute. La polvere di farina, potente allergizzante, non può essere definito irrilevante per la salute a causa proprio dell’elevato potere sensibilizzante. Il rischio di sensibilizzazione non è un rischio lineare (dose-effetto), non è quindi proporzionale alla dose, fermo restando che si deve rimanere nei limiti indicati dal TLV.
 
Pur non essendoci quindi una dose soglia che possa definire irrilevante il rischio esso è direttamente proporzionale all’entità dell’esposizione. Maggiore è l’esposizione maggiore è la probabilità nel tempo si sensibilizzarsi.
Pertanto l'opzione di escludere il lavoratore dalla sorveglianza sanitaria sulla base del fatto che produce solo tot pizze non può essere applicata.
L’alternativa è effettuare un monitoraggio ambientale personale e verificare l’entità dell’esposizione. Ad esempio si può concludere che se l’entità dell’esposizione è molto al di sotto del TLV (1/10 ?), si potrà definire il rischio irrilevante per la salute e quindi escluderlo dalla sorveglianza sanitaria.
 
 
Dott. Cristiano Ravalli  
 
 

19/12/2018: Gestione del rischio

Pubblicata la UNI ISO 31000:2018 “Gestione del rischio - Linee guida”


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