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08/03/2022: Donne e lavoro: tra gender gap salariale e infortuni al femminile
ROMA - Il nuovo numero del periodico statistico Dati Inail, curato dalla Consulenza statistico attuariale dell’Istituto e pubblicato in occasione della Giornata internazionale della donna, si apre con un’analisi del divario retributivo tra i generi in Europa. Il principio della parità di retribuzione per lo stesso lavoro o lavoro di pari valore è stato sancito nei trattati dal 1957 e tradotto nel diritto dell’Ue. Negli ultimi nove anni, però, il gap tra lavoratori e lavoratrici è diminuito solo di poco meno di due punti percentuali e attualmente la differenza di retribuzione è stimata essere pari al 14,1%. Le donne, in pratica, guadagnano 86 centesimi per ogni euro guadagnato dagli uomini e avrebbero bisogno di lavorare due mesi in più per compensare questa discrepanza.
Lavorano di più ma dedicano più ore alle attività non retribuite. Tra i singoli Paesi dell’Ue però ci sono notevoli differenze. La forbice che separa i salari varia da meno del 5% in Lussemburgo, Italia e Romania a più del 19% in Austria, Germania, Lettonia ed Estonia. La posizione nella gerarchia, inoltre, influenza il livello di retribuzione. Meno dell’8% degli amministratori delegati delle aziende più importanti infatti sono donne, mentre la professione con le maggiori differenze di retribuzione oraria è quella dei manager, con il 23% di guadagno in meno per le donne rispetto agli uomini. Le donne hanno più ore di lavoro a settimana rispetto agli uomini, ma dedicano più ore alle attività non retribuite, un fatto che potrebbe anche influenzare le loro scelte di carriera. Questo è il motivo per cui l’Ue promuove un’equa condivisione dei congedi parentali, un’adeguata fornitura pubblica di servizi di assistenza all’infanzia e adeguate politiche aziendali sugli accordi di orario di lavoro flessibile.
Nel 2020 il tasso di occupazione in calo del 3,8%. Il divario occupazionale di genere si è attestato all’11,7% nel 2019, con il 67,3% delle donne in tutta l’Ue occupate rispetto al 79% degli uomini (dati Ue 27). In Italia, però, il divario è superiore: 50% delle donne contro 68% degli uomini. Nel nostro Paese, poi, la situazione è addirittura peggiorata con l’inizio della pandemia. La caduta del 3,1% del numero di occupati registrata nel 2020, infatti, è da attribuire per lo più alle lavoratrici (-3,8%) e ancora non si è tornati ai 23 milioni di occupati del 2019, il 42,3% dei quali erano donne (9,8 milioni). La pandemia ha fortemente condizionato anche l’andamento infortunistico e tecnopatico, facendo registrare nuove denunce d’infortunio per contagio da Covid-19 che si sono andate aggiungere a quelle “tradizionali”. Allo stesso tempo le misure di contrasto alla diffusione del virus messe in atto durante il periodo del lockdown, come la sospensione di ogni attività produttiva e la chiusura degli uffici, delle attività commerciali e delle scuole di ogni ordine e grado, hanno ridotto l’esposizione al rischio infortunistico.
In un anno l’incidenza percentuale in netto aumento. Alla data di rilevazione dello scorso 31 ottobre, le denunce d’infortunio pervenute all’Inail che hanno riguardato le donne nel 2020 sono state 244.711 in aumento rispetto alle 231.065 del 2019 (+5,9%). L’incidenza percentuale è risultata in crescita di ben sette punti e pari al 42,8% del totale, mentre nel quadriennio precedente 2016-2019 è stata pressoché costante e pari mediamente al 35,9%, sintesi di un incremento del 28,6% nell’Industria e servizi e di diminuzioni sia nel Conto Stato (-59,8%) che nell’Agricoltura (-23,3%) rispetto all’anno precedente. Diversa è la situazione per gli uomini, che hanno registrato un calo medio del 21% in tutte le gestioni assicurative, da oltre 413mila nel 2019 a poco più di 327mila nel 2020, riducendo così il divario nel numero di denunce tra i due generi.
Quasi sette contagi su 10 riguardano le lavoratrici. In controtendenza rispetto a quanto si osserva per le denunce di infortunio sul lavoro in complesso, le lavoratrici sono le più colpite dai contagi professionali da Covid-19: su 211.390 denunce pervenute all’Inail, da inizio pandemia alla data dello scorso 31 gennaio, infatti, ben 144.353 sono femminili, pari a poco meno di sette contagi su 10. La spiegazione è da ricercare nella prevalenza di donne in settori produttivi con contagio più frequente e diffuso, in particolare l’ambito sanitario e le molte attività che vi gravitano attorno, come la pulizia degli ambienti, e in professioni contraddistinte dal contatto prolungato con gli utenti, tipico delle addette alle vendite o delle operatrici allo sportello. Il rapporto tra i generi, però, si inverte prendendo in considerazione solo i casi mortali: su 823 decessi da nuovo Coronavirus denunciati dall’inizio della pandemia, quelli femminili sono 143, pari al 17,4%.
Le malattie professionali denunciate sono poco più di 12mila. L’effetto pandemia ha influito anche sull’andamento delle malattie professionali denunciate nel 2020, che sono state complessivamente 44.948, circa il 27% delle quali ha interessato le donne (12.061 casi). Rispetto ai 61.201 casi del 2019 il calo è stato del 26,6%, a fronte dell’incremento del 2,9% registrato nel biennio precedente 2018-2019 (59.460 casi nel 2018 e 61.201 nel 2019). Il decremento del 2020 può essere giustificato dal fatto che lo stato di emergenza ha disincentivato e reso più difficoltosa la presentazione di eventuali denunce di malattia da parte dei lavoratori, rimandandola al 2021. Il 68% delle patologie ha interessato l’apparato muscolo-scheletrico e osteo-articolare che, insieme alle malattie del sistema nervoso (12%), rappresentano l’80% delle tecnopatie denunciate nel complesso, con percentuali più elevate per le lavoratrici rispetto ai lavoratori (73,1% contro 66,1% per la prima tipologia di malattia e 18,1% contro 9,8% per la seconda).
La necessità di una valutazione dei rischi in ottica di genere. Per migliorare le attività di prevenzione, è necessaria una valutazione dei rischi in ottica di genere, prevista dal Testo unico (d.lgs. 81/2008) e premessa imprescindibile per l’attuazione di interventi più mirati ed efficaci. Occorre perciò porre una particolare attenzione a rischi che possono comportare effetti diversi in base al genere, come ad esempio quelli di natura psico-sociale e organizzativa, da sovraccarico biomeccanico e di natura ergonomica, fino alle radiazioni ionizzanti, per le loro implicazioni sulla suscettibilità biologica in rapporto all’età e alla fertilità. Questa differenziazione, si legge in Dati Inail, va necessariamente basata su dati scientifici di evidenza che possano motivare specifici fattori di aggravio di alcuni rischi o, in altri casi, motivare invece l’indifferenziazione in base al genere, richiedendo una diversa valutazione in base, ad esempio, all’età o ad altre variabili.
Lavorano di più ma dedicano più ore alle attività non retribuite. Tra i singoli Paesi dell’Ue però ci sono notevoli differenze. La forbice che separa i salari varia da meno del 5% in Lussemburgo, Italia e Romania a più del 19% in Austria, Germania, Lettonia ed Estonia. La posizione nella gerarchia, inoltre, influenza il livello di retribuzione. Meno dell’8% degli amministratori delegati delle aziende più importanti infatti sono donne, mentre la professione con le maggiori differenze di retribuzione oraria è quella dei manager, con il 23% di guadagno in meno per le donne rispetto agli uomini. Le donne hanno più ore di lavoro a settimana rispetto agli uomini, ma dedicano più ore alle attività non retribuite, un fatto che potrebbe anche influenzare le loro scelte di carriera. Questo è il motivo per cui l’Ue promuove un’equa condivisione dei congedi parentali, un’adeguata fornitura pubblica di servizi di assistenza all’infanzia e adeguate politiche aziendali sugli accordi di orario di lavoro flessibile.
Nel 2020 il tasso di occupazione in calo del 3,8%. Il divario occupazionale di genere si è attestato all’11,7% nel 2019, con il 67,3% delle donne in tutta l’Ue occupate rispetto al 79% degli uomini (dati Ue 27). In Italia, però, il divario è superiore: 50% delle donne contro 68% degli uomini. Nel nostro Paese, poi, la situazione è addirittura peggiorata con l’inizio della pandemia. La caduta del 3,1% del numero di occupati registrata nel 2020, infatti, è da attribuire per lo più alle lavoratrici (-3,8%) e ancora non si è tornati ai 23 milioni di occupati del 2019, il 42,3% dei quali erano donne (9,8 milioni). La pandemia ha fortemente condizionato anche l’andamento infortunistico e tecnopatico, facendo registrare nuove denunce d’infortunio per contagio da Covid-19 che si sono andate aggiungere a quelle “tradizionali”. Allo stesso tempo le misure di contrasto alla diffusione del virus messe in atto durante il periodo del lockdown, come la sospensione di ogni attività produttiva e la chiusura degli uffici, delle attività commerciali e delle scuole di ogni ordine e grado, hanno ridotto l’esposizione al rischio infortunistico.
In un anno l’incidenza percentuale in netto aumento. Alla data di rilevazione dello scorso 31 ottobre, le denunce d’infortunio pervenute all’Inail che hanno riguardato le donne nel 2020 sono state 244.711 in aumento rispetto alle 231.065 del 2019 (+5,9%). L’incidenza percentuale è risultata in crescita di ben sette punti e pari al 42,8% del totale, mentre nel quadriennio precedente 2016-2019 è stata pressoché costante e pari mediamente al 35,9%, sintesi di un incremento del 28,6% nell’Industria e servizi e di diminuzioni sia nel Conto Stato (-59,8%) che nell’Agricoltura (-23,3%) rispetto all’anno precedente. Diversa è la situazione per gli uomini, che hanno registrato un calo medio del 21% in tutte le gestioni assicurative, da oltre 413mila nel 2019 a poco più di 327mila nel 2020, riducendo così il divario nel numero di denunce tra i due generi.
Quasi sette contagi su 10 riguardano le lavoratrici. In controtendenza rispetto a quanto si osserva per le denunce di infortunio sul lavoro in complesso, le lavoratrici sono le più colpite dai contagi professionali da Covid-19: su 211.390 denunce pervenute all’Inail, da inizio pandemia alla data dello scorso 31 gennaio, infatti, ben 144.353 sono femminili, pari a poco meno di sette contagi su 10. La spiegazione è da ricercare nella prevalenza di donne in settori produttivi con contagio più frequente e diffuso, in particolare l’ambito sanitario e le molte attività che vi gravitano attorno, come la pulizia degli ambienti, e in professioni contraddistinte dal contatto prolungato con gli utenti, tipico delle addette alle vendite o delle operatrici allo sportello. Il rapporto tra i generi, però, si inverte prendendo in considerazione solo i casi mortali: su 823 decessi da nuovo Coronavirus denunciati dall’inizio della pandemia, quelli femminili sono 143, pari al 17,4%.
Le malattie professionali denunciate sono poco più di 12mila. L’effetto pandemia ha influito anche sull’andamento delle malattie professionali denunciate nel 2020, che sono state complessivamente 44.948, circa il 27% delle quali ha interessato le donne (12.061 casi). Rispetto ai 61.201 casi del 2019 il calo è stato del 26,6%, a fronte dell’incremento del 2,9% registrato nel biennio precedente 2018-2019 (59.460 casi nel 2018 e 61.201 nel 2019). Il decremento del 2020 può essere giustificato dal fatto che lo stato di emergenza ha disincentivato e reso più difficoltosa la presentazione di eventuali denunce di malattia da parte dei lavoratori, rimandandola al 2021. Il 68% delle patologie ha interessato l’apparato muscolo-scheletrico e osteo-articolare che, insieme alle malattie del sistema nervoso (12%), rappresentano l’80% delle tecnopatie denunciate nel complesso, con percentuali più elevate per le lavoratrici rispetto ai lavoratori (73,1% contro 66,1% per la prima tipologia di malattia e 18,1% contro 9,8% per la seconda).
La necessità di una valutazione dei rischi in ottica di genere. Per migliorare le attività di prevenzione, è necessaria una valutazione dei rischi in ottica di genere, prevista dal Testo unico (d.lgs. 81/2008) e premessa imprescindibile per l’attuazione di interventi più mirati ed efficaci. Occorre perciò porre una particolare attenzione a rischi che possono comportare effetti diversi in base al genere, come ad esempio quelli di natura psico-sociale e organizzativa, da sovraccarico biomeccanico e di natura ergonomica, fino alle radiazioni ionizzanti, per le loro implicazioni sulla suscettibilità biologica in rapporto all’età e alla fertilità. Questa differenziazione, si legge in Dati Inail, va necessariamente basata su dati scientifici di evidenza che possano motivare specifici fattori di aggravio di alcuni rischi o, in altri casi, motivare invece l’indifferenziazione in base al genere, richiedendo una diversa valutazione in base, ad esempio, all’età o ad altre variabili.
- Febbraio 2022 (.pdf - 1,1 mb)
Divario retributivo tra uomini e donne in Europa - In aumento gli infortuni delle donne nel 2020 - Gli infortuni femminili da Covid-19 - Malattie professionali: differenze di genere - La valutazione dei rischi in ottica di genere per migliorare la conoscenza e la prevenzione dei rischi
Fonte: INAIL
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