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03/03/2021: Il mercato del lavoro al tempo del Covid-19
Lockdown e smart working hanno ridotto l’esposizione al rischio dei lavoratori e il numero degli infortuni, ma con il virus sono aumentati i casi mortali
ROMA - L’emergenza sanitaria scoppiata all’inizio del 2020 e la conseguente sospensione delle attività di interi settori hanno rappresentato uno shock improvviso per la produzione di beni e servizi e, di conseguenza, per il mercato del lavoro, con ripercussioni che saranno di lungo periodo e potrebbero anche comportare cambiamenti strutturali del sistema economico. Il quarto Rapporto annuale sul mercato del lavoro pubblicato oggi, frutto della collaborazione tra Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, Istat, Inps, Inail e Anpal, grazie alla valorizzazione delle diverse fonti di informazione sull’occupazione offre una lettura integrata della situazione nel nostro Paese nell’anno della pandemia da Covid-19, che ha pesantemente condizionato gli sviluppi dell’economia e della società.
“La condivisione delle informazioni può orientare le politiche e il dibattito pubblico su questo tema”. “L’elemento più importante alla base di questa collaborazione – spiega il presidente dell’Inail, Franco Bettoni – è la condivisione del patrimonio informativo di ciascuno degli enti coinvolti, che consente di osservare l’andamento delle dinamiche dell’occupazione da punti di vista complementari. Il Rapporto mette a disposizione informazioni armonizzate e coerenti, che possono contribuire all’orientamento delle politiche e allo sviluppo del dibattito pubblico sul tema del lavoro, che rivestono un ruolo ancora più cruciale nella fase storica senza precedenti che stiamo vivendo”.
Donne, giovani e lavoratori stranieri i più penalizzati dalla crisi. La nuova pubblicazione, articolata in sette capitoli e in un’appendice normativa dedicata ai principali provvedimenti introdotti nel 2020 per contrastare gli effetti dell’emergenza, descrive le ricadute del Covid-19 sulla domanda e sull’offerta di lavoro, il ruolo degli ammortizzatori sociali messi in campo e l’impatto sulla qualità del lavoro. Le categorie più colpite sono quelle che soffrivano già di condizioni di svantaggio, come donne, giovani e lavoratori stranieri, che sono stati penalizzati maggiormente perché svolgono più spesso impieghi meno tutelati nei settori e nei tipi di impresa che sono stati investiti più duramente dalla crisi. L’emergenza sanitaria ha determinato, inoltre, un mutamento repentino della modalità di erogazione delle prestazioni lavorative che sono state rese, quando possibile, da remoto, attraverso il lavoro agile, il telelavoro e altre modalità. La digitalizzazione e il distanziamento sociale hanno concorso a produrre una nuova segmentazione nel mercato del lavoro, distinguendo chi può lavorare da casa e chi, per la natura della prestazione svolta, è strettamente legato al luogo di lavoro.
“L’emergenza sanitaria ha creato un nuovo tipo di infortuni”. “In questo contesto così difficile – aggiunge Bettoni – i mesi di lockdown e il massiccio ricorso allo smart working hanno ridotto l’esposizione al rischio dei lavoratori, determinando un calo consistente degli infortuni e delle malattie professionali. La pandemia ha creato un nuovo tipo di infortuni, quelli da contagio da Covid-19, che ha inciso sulle denunce di infortunio nel complesso e ha comportato l’incremento del numero delle morti, a causa della letalità del virus”. Nei primi nove mesi del 2020, infatti, la diminuzione delle denunce di infortunio sul lavoro è stata del 15,8% rispetto allo stesso periodo del 2019, mentre i decessi sono aumentati del 18,6%. “L’Inail - conclude il presidente - ha risposto alle nuove emergenze determinate dalla pandemia attivando in maniera tempestiva le tutele assicurative previste dalla legge ed è pronto a fornire le proprie prestazioni anche a favore di quelle categorie al momento non coperte dall’assicurazione, nel caso in cui il legislatore volesse prevedere un’estensione dei soggetti tutelati”.
Nel 2019 i casi denunciati in crescita dell’1,1% rispetto al 2015. Il Rapporto analizza anche l’andamento infortunistico nel quinquennio 2015-2019. L’incremento dell’1,1% dei casi denunciati, dai 555.288 del 2015 ai 561.190 del 2019, è da leggersi anche alla luce della sensibile contrazione del fenomeno che aveva interessato proprio il 2015 rispetto agli anni precedenti e dell’introduzione, a partire dall’ottobre 2017, delle comunicazioni obbligatorie degli infortuni che comportano un’assenza dal lavoro di almeno un giorno, escluso quello dell’evento, effettuate ai soli fini statistici e informativi da tutti i datori di lavoro e i loro intermediari, compresi i datori di lavoro privati di lavoratori assicurati presso altri enti o con polizze private. Rispetto alle 562.940 denunce del 2018, invece, si registra una flessione dello 0,3%.
I decessi sono 5,5 ogni 100mila lavoratori. Per quanto riguarda l’incidenza delle denunce di infortunio sul numero degli occupati, si è passati dalle 27,0 denunce ogni mille lavoratori del 2015 alle 26,2 del 2019. Per i casi mortali, l’incidenza nel 2019 si riposiziona sui livelli del 2017 con 5,5 denunce mortali ogni 100mila lavoratori, valore minimo nel quinquennio considerato. I decessi denunciati nel 2019 sono stati 1.179, 85 in meno (-6,7%) rispetto ai 1.264 del 2018, anno però funestato da un elevato numero di incidenti plurimi, che causano cioè la morte di due o più lavoratori. Tra tutti il crollo del ponte Morandi a Genova, con 15 vittime sul lavoro. Nel quinquennio il calo dei casi mortali è stato del 9,4%, con 122 decessi in meno nel 2019 rispetto ai 1.301 del 2015 che, come il 2018, si è contraddistinto per alcuni incidenti plurimi gravissimi. Come sottolineato nel Rapporto, la serie storica delle denunce mortali è caratterizzata da una maggiore variabilità rispetto a quella degli infortuni non mortali. La minor consistenza numerica, infatti, espone questa casistica a maggiori fluttuazioni, su cui incidono anche il rischio da circolazione stradale, causa di metà dei decessi sul lavoro, ed effetti “punta” per incidenti plurimi.
Nei primi nove mesi del 2020 forte calo delle denunce di malattia professionale. Un’altra conseguenza dell’epidemia da SARS-Cov-2 è la forte flessione delle malattie professionali denunciate nei primi nove mesi del 2020, che sono state 31.701, quasi il 30% in meno rispetto ai primi nove mesi del 2019, sia per la sospensione temporanea o la chiusura nel corso dell’anno di molte attività economiche, sia per la difficoltà oggettiva dei lavoratori di effettuare di persona la denuncia di malattia. Nel 2019, invece, sono state denunciate all’Inail 61.195 patologie di origine professionale, in aumento sia rispetto all’anno precedente (+2,9%) sia al 2015 (+3,9%). Quelle riconosciute positivamente sono state oltre 24mila: circa sette su 10 interessano il sistema osteomuscolare e del tessuto connettivo, per lo più affezioni a carico della colonna vertebrale e della spalla. In media sono 1.500 i lavoratori che muoiono ogni anno per una malattia professionale.
“La condivisione delle informazioni può orientare le politiche e il dibattito pubblico su questo tema”. “L’elemento più importante alla base di questa collaborazione – spiega il presidente dell’Inail, Franco Bettoni – è la condivisione del patrimonio informativo di ciascuno degli enti coinvolti, che consente di osservare l’andamento delle dinamiche dell’occupazione da punti di vista complementari. Il Rapporto mette a disposizione informazioni armonizzate e coerenti, che possono contribuire all’orientamento delle politiche e allo sviluppo del dibattito pubblico sul tema del lavoro, che rivestono un ruolo ancora più cruciale nella fase storica senza precedenti che stiamo vivendo”.
Donne, giovani e lavoratori stranieri i più penalizzati dalla crisi. La nuova pubblicazione, articolata in sette capitoli e in un’appendice normativa dedicata ai principali provvedimenti introdotti nel 2020 per contrastare gli effetti dell’emergenza, descrive le ricadute del Covid-19 sulla domanda e sull’offerta di lavoro, il ruolo degli ammortizzatori sociali messi in campo e l’impatto sulla qualità del lavoro. Le categorie più colpite sono quelle che soffrivano già di condizioni di svantaggio, come donne, giovani e lavoratori stranieri, che sono stati penalizzati maggiormente perché svolgono più spesso impieghi meno tutelati nei settori e nei tipi di impresa che sono stati investiti più duramente dalla crisi. L’emergenza sanitaria ha determinato, inoltre, un mutamento repentino della modalità di erogazione delle prestazioni lavorative che sono state rese, quando possibile, da remoto, attraverso il lavoro agile, il telelavoro e altre modalità. La digitalizzazione e il distanziamento sociale hanno concorso a produrre una nuova segmentazione nel mercato del lavoro, distinguendo chi può lavorare da casa e chi, per la natura della prestazione svolta, è strettamente legato al luogo di lavoro.
“L’emergenza sanitaria ha creato un nuovo tipo di infortuni”. “In questo contesto così difficile – aggiunge Bettoni – i mesi di lockdown e il massiccio ricorso allo smart working hanno ridotto l’esposizione al rischio dei lavoratori, determinando un calo consistente degli infortuni e delle malattie professionali. La pandemia ha creato un nuovo tipo di infortuni, quelli da contagio da Covid-19, che ha inciso sulle denunce di infortunio nel complesso e ha comportato l’incremento del numero delle morti, a causa della letalità del virus”. Nei primi nove mesi del 2020, infatti, la diminuzione delle denunce di infortunio sul lavoro è stata del 15,8% rispetto allo stesso periodo del 2019, mentre i decessi sono aumentati del 18,6%. “L’Inail - conclude il presidente - ha risposto alle nuove emergenze determinate dalla pandemia attivando in maniera tempestiva le tutele assicurative previste dalla legge ed è pronto a fornire le proprie prestazioni anche a favore di quelle categorie al momento non coperte dall’assicurazione, nel caso in cui il legislatore volesse prevedere un’estensione dei soggetti tutelati”.
Nel 2019 i casi denunciati in crescita dell’1,1% rispetto al 2015. Il Rapporto analizza anche l’andamento infortunistico nel quinquennio 2015-2019. L’incremento dell’1,1% dei casi denunciati, dai 555.288 del 2015 ai 561.190 del 2019, è da leggersi anche alla luce della sensibile contrazione del fenomeno che aveva interessato proprio il 2015 rispetto agli anni precedenti e dell’introduzione, a partire dall’ottobre 2017, delle comunicazioni obbligatorie degli infortuni che comportano un’assenza dal lavoro di almeno un giorno, escluso quello dell’evento, effettuate ai soli fini statistici e informativi da tutti i datori di lavoro e i loro intermediari, compresi i datori di lavoro privati di lavoratori assicurati presso altri enti o con polizze private. Rispetto alle 562.940 denunce del 2018, invece, si registra una flessione dello 0,3%.
I decessi sono 5,5 ogni 100mila lavoratori. Per quanto riguarda l’incidenza delle denunce di infortunio sul numero degli occupati, si è passati dalle 27,0 denunce ogni mille lavoratori del 2015 alle 26,2 del 2019. Per i casi mortali, l’incidenza nel 2019 si riposiziona sui livelli del 2017 con 5,5 denunce mortali ogni 100mila lavoratori, valore minimo nel quinquennio considerato. I decessi denunciati nel 2019 sono stati 1.179, 85 in meno (-6,7%) rispetto ai 1.264 del 2018, anno però funestato da un elevato numero di incidenti plurimi, che causano cioè la morte di due o più lavoratori. Tra tutti il crollo del ponte Morandi a Genova, con 15 vittime sul lavoro. Nel quinquennio il calo dei casi mortali è stato del 9,4%, con 122 decessi in meno nel 2019 rispetto ai 1.301 del 2015 che, come il 2018, si è contraddistinto per alcuni incidenti plurimi gravissimi. Come sottolineato nel Rapporto, la serie storica delle denunce mortali è caratterizzata da una maggiore variabilità rispetto a quella degli infortuni non mortali. La minor consistenza numerica, infatti, espone questa casistica a maggiori fluttuazioni, su cui incidono anche il rischio da circolazione stradale, causa di metà dei decessi sul lavoro, ed effetti “punta” per incidenti plurimi.
Nei primi nove mesi del 2020 forte calo delle denunce di malattia professionale. Un’altra conseguenza dell’epidemia da SARS-Cov-2 è la forte flessione delle malattie professionali denunciate nei primi nove mesi del 2020, che sono state 31.701, quasi il 30% in meno rispetto ai primi nove mesi del 2019, sia per la sospensione temporanea o la chiusura nel corso dell’anno di molte attività economiche, sia per la difficoltà oggettiva dei lavoratori di effettuare di persona la denuncia di malattia. Nel 2019, invece, sono state denunciate all’Inail 61.195 patologie di origine professionale, in aumento sia rispetto all’anno precedente (+2,9%) sia al 2015 (+3,9%). Quelle riconosciute positivamente sono state oltre 24mila: circa sette su 10 interessano il sistema osteomuscolare e del tessuto connettivo, per lo più affezioni a carico della colonna vertebrale e della spalla. In media sono 1.500 i lavoratori che muoiono ogni anno per una malattia professionale.
- Nota per la stampa (.pdf - 619 Kb)
- Il mercato del lavoro 2020: una lettura integrata (.pdf - 4,21 Mb)
Fonte: INAIL
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