11/02/2025: Interpello n. 1/2025 : Delocalizzazioni e licenziamenti
Il Ministero del Lavoro risponde in materia di applicabilità della procedura regolata dalla Legge 234/2021
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha pubblicato l’interpello n. 1 del 27 gennaio 2025, con il quale risponde ad un quesito di Federdistribuzione, in merito all’applicabilità della procedura regolata dalla legge n. 234/2021.
In particolare, l’organizzazione datoriale vuole conoscere il parere del Ministero nell’ipotesi di un datore di lavoro che – avendo occupato, nell’anno precedente, più di 250 dipendenti – decida di procedere contestualmente alla chiusura di due distinte unità produttive, di cui una con più di 50 dipendenti e l’altra con un numero inferiore a 50 dipendenti. In particolare, si richiede se in tale caso sia necessario osservare la procedura di cui alla legge n. 234/2021 anche in riferimento all’unità produttiva che occupa meno di 50 dipendenti oppure se per quest’ultima sia possibile avviare direttamente la procedura di licenziamento collettivo ex legge n. 223/1991.
Il quesito fa riferimento alla speciale procedura introdotta dall’articolo 1, commi da 224 a 237-bis, della legge n. 234/2021, volta a regolare in maniera specifica le ipotesi di cessazione definitiva di attività di uno stabilimento o sito produttivo e conseguenti licenziamenti di personale.
La risposta del Ministero del Lavoro
La disciplina in esame è stata introdotta nel dicembre del 2021, con l’obiettivo di attenuare gli effetti occupazionali e produttivi derivanti da iniziative adottate dai datori di lavoro relative alla chiusura di una sede, di uno stabilimento, di una filiale o di un ufficio o reparto autonomo situato nel territorio nazionale, e con la cessazione definitiva delle relative attività e conseguenti esuberi occupazionali.
In tali ipotesi, il legislatore ha inteso prevedere – al fine di “garantire la salvaguardia del tessuto occupazionale e produttivo”, come espressamente dichiarato nell’incipit della norma – specifiche misure a tutela dei lavoratori interessati dai possibili licenziamenti, quali la presentazione da parte del datore di lavoro di un piano di gestione per limitare le ricadute occupazionali e produttive derivanti dalla chiusura stessa, e la sua discussione e condivisione con le rappresentanze sindacali interessate, con il coinvolgimento del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e delle imprese del made in Italy (art. 1, comma 228).
Tale disciplina, ai sensi del comma 224 del medesimo articolo 1, si applica al “datore di lavoro in possesso dei requisiti dimensionali di cui al comma 225 che intenda procedere alla chiusura di una sede, di uno stabilimento, di una filiale, di un ufficio o di un reparto autonomo dalle quali consegua il licenziamento di un numero di dipendenti inferiore a 50” e precisamente ai “datori di lavoro che, nell’anno precedente, abbiano occupato con contratto di lavoro subordinato, inclusi gli apprendisti e i dirigenti, mediamente almeno 250 dipendenti“. (comma 225)
Da un punto di vista letterale, la disposizione in esame risulta chiara nell’individuare il proprio ambito di applicazione, riferendola a quei datori di lavoro che – in presenza del requisito dimensionale dei 250 dipendenti – procedano sul territorio nazionale alla chiusura di una struttura aziendale, con cessazione definitiva della relativa attività e conseguente licenziamento di almeno 50 dipendenti. Si tratta, dunque, di un presupposto in presenza del quale deve ritenersi obbligatoria, per il datore di lavoro considerato, l’applicazione della disciplina di cui alla legge n. 234/2021. Sussistendo i requisiti per l’applicazione di quest’ultima disciplina, risulta pertanto rilevante lo scrutinio di eventuali alternative ulteriori laddove, ad esempio, come nella fattispecie ipotizzata con il quesito posto con l’interpello in oggetto, si intenda procedere ad altre chiusure di sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo dalle quali consegua il licenziamento di un numero di dipendenti inferiore a 50.
Infatti, i principi generali di tutela da applicare nei casi di licenziamenti giustificati da addotte ragioni economiche – rinvenibili nella legge n. 223/1991 e volti ad assicurare parità di trattamento ai lavoratori dipendenti di una medesima unità produttiva – non possono non continuare a costituire un punto di riferimento essenziale per la corretta interpretazione delle norme anche della legge n. 234/2021 e delle sue finalità dichiarate, come pure delle modalità applicative in essa previste.
Al riguardo va richiamato, in particolare, il principio che regola l’utilizzo dei criteri di scelta – sancito più volte dalla Corte di Cassazione (vedi, da ultimo, la sentenza 3 luglio 2024, n. 18215) – secondo cui l’individuazione dei profili professionali da licenziare, in caso di fungibilità degli stessi, deve avvenire prendendo in considerazione tutte le unità produttive riconducibili al medesimo datore di lavoro, così come previsto dall’articolo 5, della legge n. 223/1991, disposizione a sua volta connessa al principio generale dell’ordinamento – su cui si fonda, tra l’altro, l’obbligo di repêchage di cui alla legge 604/1966 – per cui il licenziamento rappresenta una extrema ratio.
Peraltro, questa interpretazione della normativa considerata, assicura maggiori tutele al bene lavoro, risultando così costituzionalmente orientata, nel pieno rispetto degli articoli 1, 4 e 35 della Carta fondamentale. Al tempo stesso appare più coerente con il generale principio di ragionevolezza, riconducibile all’art. 3 della costituzione, nonché con quello di pari opportunità di accesso a misure di salvaguardia occupazione.
Alla luce di tali elementi, si ritiene che nel caso in cui un datore di lavoro decida di procedere alla chiusura di più distinte unità, così come definite dalla legge n. 234/2021, lo stesso sarà comunque tenuto ad attivare la procedura dettata da tale norma anche se una delle due sedi da dismettere esibisca un numero inferiore a 50 unità di personale, dovendosi ritenere in tali casi impraticabili, per le ragioni spiegate, percorsi alternativi per pervenire alla risoluzione dei rapporti di lavoro.
Fonte: Ministero del Lavoro
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