26/10/2015: Morti sul lavoro: un aumento di oltre 100 denunce di infortunio mortale
Si rileva un calo degli infortuni di circa 20.000 unità, ma un incremento di ben il 13,5% delle denunce di infortunio mortale
“Questi ultimi recentissimi dati sulla crescita delle morti sul lavoro, pur se da considerare ancora ufficiosi e provvisori - ha commentato Franco Bettoni, Presidente nazionale dell’ANMIL - non possono che destare allarme e profonda preoccupazione. A soli tre mesi dalla fine dell’anno, sembra ormai praticamente inevitabile che il 2015 sia destinato a rappresentare l’anno che, dopo un decennio ininterrotto di contrazione delle morti sul lavoro, segnerà una preoccupante inversione di tendenza nell’andamento del fenomeno. Una situazione che nel nostro Paese non si verificava dal 2006, anno in cui, peraltro, la crescita degli infortuni mortali fu molto più contenuta (+5,1%)”.
La crescita dei decessi risulta molto più consistente tra gli infortuni “in itinere” saliti da 185 a 230 (+24,3%), che per quelli “in occasione di lavoro” passati da 569 a 626 casi (+10,0%). L’aumento ha interessato in misura maggiore la componente femminile (+19,4%) rispetto a quella maschile (+13,0%): le lavoratrici, come noto, sono particolarmente soggette ai rischi insiti nel percorso casa-lavoro-casa. L’incremento degli infortuni mortali è stato molto intenso nelle regioni del Centro (+37,2%) e del Sud (+ 17,8%); mentre risulta inferiore alla media nazionale nel Nord Ovest e nel Nord Est, dove si registrano aumenti rispettivamente del 7,6% e del 4,7%, e nelle Isole dove il dato è l’unico in controtendenza rispetto alle altre aree del Paese (-5,2%). Per quanto riguarda le attività economiche, il confronto tra i due periodi evidenzia un calo degli incidenti mortali in Agricoltura (-7,3%) e una crescita moderata nel Commercio (+2,6%); per gli altri principali settori di attività economica si registrano, invece, incrementi diffusi e percentualmente molto elevati: Trasporti (+20,8%), Industria manifatturiera (+10,3%) e Costruzioni (+9,0%).
“Dall’analisi dei dati, appare evidente che il maggior tributo in termini di vite umane spezzate - conclude Bettoni - viene fornito proprio da quei settori, ad alto rischio, che cominciano ad avvertire i primi segnali di ripresa economica: non possiamo permettere che a pagare i costi della ripresa siano ancora i lavoratori che rappresentano da sempre l’anello debole della catena produttiva”.
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