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29/05/2019: Una puntata di Blob sugli infortuni sul lavoro

Una scia di sangue dagli anni ’50 ai nostri giorni raccontata attraverso immagini di archivio di ieri e di oggi

Intervista a Simona Bonaiuto, autrice della puntata di Blob sugli infortuni sul lavoro

a cura di Luce Tommasi

 

A Simona Bonaiuto piace esprimersi per immagini e lasciare poco spazio alle parole. Fa parte della squadra di “Blob Rai 3” da una trentina d’anni, praticamente dal debutto di uno dei programmi più longevi e originali della televisione italiana. È stata lei a realizzare la puntata “Danni collaterali”, interamente dedicata al tema degli infortuni e delle morti sul lavoro. E ci tiene subito a dire che, in linea con lo spirito della trasmissione, tutto ciò che va in onda è tratto dall’archivio: “Noi non tarocchiamo niente – precisa – il nostro è solo un accostamento di immagini, di situazioni, di musica e quindi nulla è falso perché quanto viene raccontato esce direttamente dal montaggio”. Questo è il criterio che è stato seguito anche nella preparazione della puntata del 4 maggio scorso, che ha ripercorso lo stillicidio quotidiano dagli anni ’50 ad oggi, sulla scia delle celebrazioni della Festa del Lavoro che, ancora una volta, ha dovuto registrare un vergognoso numero di caduti che non accenna a diminuire. Non a caso lo stesso titolo “Danni collaterali”, scelto da Simona, fa riferimento al linguaggio militare. 

 

– Perché “Danni collaterali”?  
È un titolo work in progress che ho mantenuto dal 2006, aggiornando via via il bilancio dei morti sul lavoro sino agli ultimi dati del 2019: 230 in 5 mesi è una vera follia. Ritorno puntualmente su questo concetto che fa riferimento all’inizio degli anni 2000, quando si è incominciato a parlare di danni collaterali, prendendo a prestito questa terminologia dalla guerra in Iraq, un po’ per mimetizzare, se non addirittura per nascondere, l’orrore dei morti civili. Una sorta di anestesia insomma perché, se si parla di danni collaterali, non si pensa agli esseri umani. Anche oggi veniamo informati in tempo reale su quello che accade, dalle guerre, ai naufragi, ai morti sul lavoro, ma poi si esaurisce tutto in una sorta di videogioco che, quando viene visto più volte, non sembra più vero. Per questo motivo, quando ho deciso di occuparmi degli incidenti sul lavoro, avevo in testa questa frase “Danni collaterali”, che mi è sembrata azzeccata perché, in fondo, si sta parlando delle conseguenze del progresso aggressivo e delle crisi economiche, che portano a risparmiare sulla sicurezza, spesso insieme ai ricatti a cui sono sottoposti i lavoratori. Ma bisogna anche ammettere che c’è molta ignoranza dovuta a disinformazione e a mancanza di formazione.

 

– Il tuo Blob è una corsa nel tempo, dalla metà del secolo scorso ai giorni nostri. Quale riflessione hai tratto dalle immagini d’archivio che hai trovato? 
Faccio parte della squadra di Blob dalla sua nascita e in questi trent’anni ovviamente siamo cambiati noi ed è cambiata anche la televisione. Inizialmente sembrava più un gioco e poi abbiamo incominciato ad andare sui luoghi dove le cose accadevano con mezzi nostri, dalle telecamere ai telefonini, pur non avendo mai avuto grandi disponibilità. Per quanto mi riguarda, sono stata prevalentemente impegnata sul sociale. Oggi posso dire che è impressionante rivedere i montaggi che abbiamo fatto in trent’anni perché si tratta della storia d’Italia, un archivio di personaggi e di eventi che hanno costruito il nostro Paese.

 

– Come è cambiato il racconto televisivo degli incidenti sul lavoro?
 La TV degli anni ’50 era sicuramente più paternalista di quella di oggi. Proponeva un sacco di trasmissioni sui lavoratori, a cominciare dagli operai. Ho visionato un programma, realizzato addirittura dalla Fiat, che diceva che il progresso camminava sulle gambe di queste persone. C’era molto rispetto per il lavoro e, così come si insegnava l’italiano, si insegnava anche la prevenzione. Ricordo un settimanale, che si chiamava “Turno C”, che parlava del lavoro degli operai e di come vivevano. Anche la prevenzione era importante: la televisione spiegava come dovevano essere usati i guanti, il casco, gli occhiali, la maschera per non respirare acidi o veleni. Oggi non mi sembra di vedere trasmissioni dedicate a questi argomenti. Esiste la cronaca di un fatto tragico, come quello di un morto sul lavoro, ma ciò che manca è l’approfondimento. Il ruolo del servizio pubblico è fondamentale per costruire una coscienza civile. Grazie al lavoro sull’archivio della Rai, nonostante in passato la televisione sia stata tanto criticata, posso dire che, rivedendo alcuni documenti, insegnavano qualcosa. 

 

– Fra le storie che hai raccontato, quali ti hanno maggiormente colpito?
Il dramma nel dramma sono i ragazzini. Ho visto due quindicenni che non avevano più le mani a causa di un incidente accaduto quando, di anni, ne avevano 13. Era il loro secondo giorno di lavoro e non sapevano neppure come funzionavano le macchine impastatrici che stavano usando. Mi ha toccato anche la storia di alcune ragazzine  napoletane, che avranno avuto al massimo 10 anni: incollavano borse e sono rimaste paralizzate a causa dei veleni. 

 

– Da allora ad oggi, credi che il tema dei morti sul lavoro si manifesti ancora in tutta la sua tragicità? 
Non credo che questo dramma accenni a diminuire. Ho conosciuto l’esistenza dell’ANMIL proprio leggendo le tragedie dei morti sul lavoro. Le vittime, rispetto agli anni scorsi, sono addirittura aumentate. A mio parere i controlli sono insufficienti. Ho un cantiere edile davanti alla mia casa e in tre anni non ho mai visto nessun ispettore. E poi c’è il lavoro nero, dove quasi tutti sono stranieri e non in regola. Di queste persone, in caso di incidenti, non sapremo mai nulla: quanti ne muoiono, quanti ne scompaiono. Ci vorrebbero pene più severe per i datori di lavoro, ma vediamo spesso come finiscono i processi. 

 

– Secondo te quali sono le parole chiave, da mettere in onda, per contribuire ad invertire la tendenza degli incidenti sul lavoro? 
Soltanto queste: cultura della prevenzione. Occorre sensibilizzare le persone fin da piccole. In un altro Blob, che ho fatto su questo tema, c’era una sequenza di immagini che ritraevano una maestra elementare che, di fronte ai bambini seduti in aula, parlava degli incidenti sul lavoro. Accadeva spesso nelle scuole, specie in quelle di campagna e di periferia, dove c’erano figli di contadini e di operai che dovevano essere educati. Esattamente quello che oggi fa l’ANMIL, portando le vittime del lavoro in aula a testimoniare quanto è accaduto loro. Un’attività che mi trova assolutamente d’accordo. Non c’è altro da aggiungere: dico sì a quanto fa questa associazione per contribuire a creare una cultura del lavoro diversa.

 

– Che schema hai seguito per costruire un Blob su un tema così importante e complesso?
E il terzo Blob che faccio su questo tema e come sempre sono partita dall’archivio. Il lavoro della trasmissione è una sorta di domino: si parte da una idea e poi si associano altre immagini. Prima di arrivare agli infortuni sul lavoro, ero partita da una ricerca sugli immigrati e mi sono resa conto che uscivano riprese straordinarie sugli incidenti e che non si vedono più nella televisione di oggi. Immagini forti, che riproponevano il girato senza essere schermate, come attualmente facciamo per la tutela dei minori nelle fasce protette. Di sorpresa in sorpresa, ho deciso di approfondire questo tema e di cercare altri documenti: ne ho trovati talmente tanti da poter fare milioni di puntate. Forse soltanto Rai Storia oggi è in grado di mandare in onda un repertorio come questo. 

 

– Le immagini e le testimonianze che hai proposto raccontano più di tante parole. Come consideri questa modalità di fare giornalismo anche rispetto a ciò che passa sul web? 
Penso che l’immagine e il documento audiovisivo siano più onesti di qualunque altro mezzo di informazione perché privi di commento. Non sono opera mia, io sfrutto il lavoro degli altri. Certo, ho di fronte una scelta rispetto a chi mi assomiglia di più o rispetto a chi mi suggestiona di più, offrendo immagini che ritengo più oneste. Le immagini parlano sempre in modo diretto e non possono essere falsificate. Fake news qui non sono possibili. Il dato esce sempre dall’archivio e, anche quando qualcuno mi manda un video, vado a controllare che il girato corrisponda al vero. Anche noi di Blob adesso usiamo molto il web e non soltanto i programmi televisivi, come in passato, perché in rete si trovano più cose, dalla politica estera ai video musicali.

 

– A che cosa lavorerai prossimamente? 
Adesso siamo in regime di par condicio e quindi non possiamo trattare argomenti politici. Nel prossimo futuro mi dedicherò agli immigrati, un altro tema che mi interessa tantissimo. Oltre al sociale mi occupo anche di musica e di ritratti di artisti, che trovano spazio negli speciali che facciamo, in aggiunta alla programmazione quotidiana.

 

– Tornerai sul tema delle vittime del lavoro? 
Sì, ciclicamente me ne occupo. Sto anche pensando di chiedere all’ANMIL dei filmati, magari girati nelle scuole, per costruire uno speciale di una decina di minuti che mostri documenti che parlino soprattutto di formazione e di prevenzione. Sarebbe bello portare testimonianze nuove per far vedere che cosa accade oggi e non solo quello che offriva ieri la televisione in bianco e nero.  

 

Vedi la puntata di Blob del 4 maggio

 

Fonte: ANMIL


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