Coronavirus: sulla responsabilità penale del datore di lavoro
In questa situazione di emergenza e di fronte al rischio, sempre più reale, che qualche azienda, sanitaria e non, possa essere chiamata a rispondere del caso di infezione da COVID-19 di qualche dipendente, è necessario approfondire il tema delle eventuali responsabilità penali dei datori di lavoro. Per fornire qualche utile riflessione su questo tema pubblichiamo un interessante documento realizzato e inviato da un nostro lettore, Daniele Pomata, avvocato del Foro di Genova. Il contributo si sofferma non solo sulla responsabilità penale del datore di lavoro per contagio dal virus SARS-CoV-2, ma fornisce indicazioni anche sui presupposti e limiti di tale responsabilità.
Il deflagrare dell’epidemia di Covid-19 comporterà, tra le molteplici conseguenze, anche quella di modificare la nozione giuridica stessa del concetto di “sicurezza sul luogo di lavoro” cui la nostra normativa fa riferimento.
Quello degli obblighi di sicurezza che, a vario titolo, gravano sull’imprenditore/datore di lavoro è tema, su cui, come noto, il legislatore si è profuso, negli ultimi anni, in una pluralità di interventi normativi di vario grado il cui intento è quello di garantire in maniera sempre più stringente il lavoratore da qualsiasi rischio inerente al luogo di lavoro.
Ciò, come noto, comportava già, prima dell’emergenza Covid-19, un onere piuttosto gravoso in capo al datore di lavoro, chiamato a dotarsi, a sue spese e a pena di incorrere in responsabilità (anche) di natura penale, dei necessari presidi di sicurezza nonchè a provvedere, tra l’altro, all’adeguata formazione del personale.
L’emergenza Covid-19 tuttora in atto ha posto tutti noi al cospetto di un rischio evidentemente imprevisto (ancorchè oggettivamente non imprevedibile, quantomeno dagli organi sanitari a ciò deputati) e di natura peculiare perché, lungi dall’essere relegato, come avviene per la quasi totalità degli altri fattori di rischio, a specifiche attività lavorative, incombe potenzialmente su tutti noi e, ovviamente, sulla pressochè totalità dei lavoratori.
Con il presente contributo ci proponiamo dunque, con taglio il più possibile pratico e conciso, di fornire risposta agli imprenditori/datori di lavoro che, nell’arco delle ultime settimane, hanno richiesto delucidazioni in merito ai profili di responsabilità in cui potrebbero incorrere nella malaugurata ipotesi in cui un loro dipendente (o anche un terzo) dovesse contrarre l’infezione Covid-19 sul luogo di lavoro.
L’eco mediatica suscitata da alcune inchieste giudiziarie attualmente in corso presso diverse Procure italiane, volte ad accertare eventuali responsabilità per il contagio di ospiti di R.S.A. e aziende ospedaliere, fa comprendere che la preoccupazione degli imprenditori non è infondata e che verosimilmente i controlli sull’osservanza delle relative misure di sicurezza si intensificheranno nei prossimi mesi.
Il quadro normativo cui occorre fare riferimento riposa principalmente su due note disposizioni normative che, oramai da diversi anni, disciplinano, rispettivamente, la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro (D. L.vo 81/2008) e la responsabilità penale-amministrativa delle persone giuridiche per fatto costituente reato (D. L.vo 231/2001).
Si tratta, come anzidetto, di norme le cui prescrizioni sono – generalmente - già note agli imprenditori, non fosse altro per le conseguenze di natura penale che prevedono in capo al legale rappresentante in caso di loro inosservanza.
Il quadro così tratteggiato si completa se alle predette disposizioni normative, in funzione integrativa delle medesime, affianchiamo la pluralità di interventi di rango secondario (circolari, linee guida, protocolli, ecc.) emanati proprio per fronteggiare l’emergenza Covid-19 sui luoghi di lavoro, di cui proveremo a fornire un quadro sintetico.
I presupposti della responsabilità penale
Per il principio generale di prevedibilità e evitabilità dell’evento sostanziato dal combinato disposto degli artt. 40-42 del nostro Codice Penale, per rispondere in sede penale di un evento, occorre che quest’ultimo fosse prevedibile e evitabile da chi era investito dell’obbligo giuridico di impedirlo.
Il predetto criterio va sempre tenuto a mente nell’interpretare le dettagliate prescrizioni della normativa in materia di sicurezza sul luogo di lavoro nonché per fondare la responsabilità penale di un soggetto per il contagio da Covid-19.
Ora, va detto che, se da un lato l’emergenza Covid-19 ha colto clamorosamente impreparati alcuni settori del Paese che avrebbero dovuto ragionevolmente ipotizzare l’eventualità, già più volte manifestatasi anche in un recente passato, di un’epidemia e provvedere, ad esempio, a rifornire per tempo gli ospedali di sufficienti forniture di dispositivi di protezione individuale e di specifiche procedure di trattamento dei casi, dall’altro lato quello dell’esposizione a un agente infettivo patogeno e del relativo contagio sul luogo di lavoro è rischio già da tempo contemplato dall’ordinamento e dalla giurisprudenza [1].
Ragionando di responsabilità penale del datore di lavoro e avendo a mente il principio di tassatività, in funzione del quale nessuno può essere chiamato a rispondere in sede penale di un fatto che non sia espressamente previsto come reato, la prima domanda (la cui risposta, a giudicare da quanto è dato leggere sui mass media in questi giorni, non è poi così scontata) è: quale reato si può ipotizzare in caso di contagio da Covid-19?
Il contagio viene equiparato, per consolidatissima giurisprudenza, alla “malattia” che forma oggetto del reato di lesioni personali previsto dall’art. 590 del Codice Penale.
La “malattia”, infatti, secondo la nozione costantemente recepita nelle corti di giustizia è “…qualsiasi alterazione anatomica o funzionale dell’organismo…” [2].
Il predetto principio viene ribadito peraltro proprio dall’art. 42 del D.L. 18/2020 (c.d. Decreto Cura Italia), laddove si precisa espressamente che il contagio da Covid-19 deve essere trattato dal datore di lavoro (pubblico o privato che sia) e dall’Inail come un infortunio.
Completa il quadro la circolare Inail n. 13 del 3/4/2020 che precisa “…secondo l’indirizzo vigente in materia di trattazione dei casi di malattie infettive e parassitarie, l’Inail tutela tali affezioni morbose, inquadrandole, per l’aspetto assicurativo, nella categoria degli infortuni sul lavoro…”.
La sussistenza di una “malattia” così definita, pertanto, è condizione necessaria ma ancora non sufficiente, di per sé sola, per ipotizzare in capo al datore di lavoro una responsabilità penale.
A questo fine occorrerà ancora, infatti, valutare se in capo al medesimo vi fossero altresì:
• la posizione di garanzia, ovvero l’obbligo giuridico di evitare l’evento lesivo;
• la colpa, sia essa colpa c.d. “specifica o qualificata”, ovvero la violazione di prescrizioni di legge o di normativa secondaria che mirano proprio ad evitare l’evento che si è concretizzato (c.d. “norma cautelare”), o colpa c.d. “generica”, ovvero la violazione di ordinarie regole di prudenza.
I limiti della responsabilità penale
E’ a questo punto che emerge la centralità, per qualificare (o escludere) la responsabilità penale del datore di lavoro per contagio da Covid-19, delle prescrizioni di cui al già citato D. L.vo n. 81/2008 (Testo Unico sulla Sicurezza sul Luogo di Lavoro) e, come si dirà, del D. L.vo 231/2001 (Responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche).
Se, infatti, quasi sempre (ma non necessariamente, come si vedrà infra), il datore di lavoro/legale rappresentante dell’impresa è titolare della posizione di garanzia, ovvero dell’obbligo giuridico di evitare l’evento lesivo del contagio, al fine di poter contestare al medesimo la responsabilità penale legata alla relativa malattia (o, addirittura, al decesso), occorrerà altresì dimostrare che in capo al predetto vi sia un profilo di colpa nel senso anzidetto, in particolare di colpa specifica per violazione di legge o normativa secondaria, dunque la violazione di una o più “norme cautelari”.
Ora, parlando di legge o normativa secondaria le cui prescrizioni siano volte ad evitare l’evento lesivo a quali disposizioni facciamo riferimento?
Principalmente, a quelle contenute nel D. L.vo 81/2008 (Testo Unico sulla Sicurezza sul Luogo di Lavoro), eventualmente integrate dalle successive disposizioni di rango secondario (che di seguito sintetizzeremo) in materia di prevenzione del contagio da Coronavirus sul luogo di lavoro, nelle quali si deve oramai tenere conto anche della copiosa e recentissima regolamentazione emergenziale.
Sarebbe errato vedere in ciò un meccanismo di deminutio della tutela della persona offesa contagiata, sostanzialmente gravata (tramite il pubblico ministero) dell’onere di dimostrare la violazione di una norma cautelare da parte del datore di lavoro per poter ottenere giustizia in sede penale.
Si tratta, piuttosto, dell’applicazione di un basilare principio illuministico di civiltà giuridica e di buon senso, in funzione del quale non si può esigere che alcuno venga chiamato a rispondere in sede penale di eventi lesivi che non era per legge tenuto a evitare.
Ciò vale in generale, rispetto a qualsiasi rischio di natura lesiva che si possa concretizzare nell’ambito dell’attività produttiva e vale a maggior ragione per il rischio da contagio di Covid-19.
Il principio anzidetto comporta dunque che l’imprenditore/datore di lavoro è tenuto, a rischio di risponderne in sede (anche) penale, a rispettare le prescrizioni normative dettate dal D. L.vo 81/2008 in materia di sicurezza (che impongono le relative norme cautelari nel senso anzidetto) ma, per converso, laddove egli osservi le predette prescrizioni e occorra un infortunio (incluso il contagio), risulterà assai difficile per il pubblico ministero ipotizzare a suo carico qualsiasi responsabilità di natura penale, difettando la colpa consistente nella violazione di una norma cautelare.
Di qui l’assoluta importanza di conoscere in maniera dettagliata le prescrizioni che il D. L.vo 81/2008 (Testo Unico della Sicurezza sul Luogo di Lavoro) pone a carico degli imprenditori/datori di lavoro, dal momento che, nell’esperienza delle corti, nella quasi totalità dei casi, la differenza tra l’esito assolutorio e la condanna, con tutte le relative conseguenze anche in materia di D. L.vo 231/2001, risiede nell’adozione di alcune, minime misure che tuttavia consentono di dimostrare in giudizio l’insussistenza della colpa per violazione di una norma cautelare.
E’ palese anche il contrario: un datore di lavoro (e si badi, sono inclusi nel novero dei soggetti destinatari delle prescrizioni di cui al D. L.vo 81/2008 anche le strutture sanitarie e ciò darà luogo a non poche azioni della magistratura inquirente nei prossimi mesi) che non si cura di adeguarsi minimamente alle prescrizioni del D. L.vo 81/2008 e, laddove applicabile, del D. L.vo 231/2001 (Responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche) si espone al rischio assai concreto di essere inosservante (a sua insaputa) di una miriade di norme cautelari che nondimeno lo individuano come titolare della posizione di garanzia e per ciò solo ha un’altissima probabilità, non appena occorra un infortunio di qualsiasi genere, di incorrere in una condanna penale, con tutto ciò che ne consegue anche in punto di responsabilità dell’ente ex D. L.vo 231/2001.
Vale dunque la pena dedicare qualche istante all’individuazione delle predette norme cautelari, la cui osservanza da parte dell’imprenditore/datore di lavoro può evitargli conseguenze di natura penale in caso di infortunio e, nella specie, di contagio da Covid-19.
La fonte delle norme cautelari: il D. L.vo 81/2008
La prima e principale fonte delle predette norme cautelari, nella prassi e nelle corti giudiziarie, è proprio il D. L.vo 81/2008 (Testo Unico della Sicurezza sul Luogo di Lavoro) che, a sua volta, costituisce un’attuazione del principio generale sancito dall’art. 2087 del nostro Codice Civile, in virtù del quale il datore di lavoro ha l’obbligo di attuare, nell’esercizio dell’impresa, tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, risultano necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro, dovendosi includere, alla luce dell’orientamento giurisprudenziale assolutamente consolidato in materia, anche a prevenire l’insorgenza di malattie correlate al lavoro stesso.
L’obbligo di vigilare sull’applicazione e sull’osservanza delle misure di sicurezza all’interno dell’azienda, del resto, grava sullo stesso datore di lavoro, a meno che egli non rilasci apposita delega con le forme previste dall’art. 16 D. L.vo 81/2008.
La giurisprudenza prevalente, comunque, stenta ad escludere, per la sola esistenza delle delega, la responsabilità penale del datore di lavoro, essendo casomai più frequente il caso in cui vengano rinviati a giudizio, contestualmente, il datore di lavoro e il delegato, magari per violazioni di norme cautelari differenti [3].
Senza ulteriormente soffermarci in questa sede sui limiti del concorso di responsabilità penale del datore di lavoro in presenza di altre figure previste dalla normativa (R.S.P.P., preposto, ecc.), basti rilevare che tanto rigore nell’attuazione delle prescrizioni del Testo Unico sulla Sicurezza può talvolta apparire eccessivo e poco consapevole delle concrete difficoltà che affronta il datore, soprattutto in caso di imprese medio-grandi, nel gestire direttamente ogni aspetto organizzativo dell’operare quotidiano d’impresa.
Tuttavia, non va neppure dimenticato che esistono comunque obblighi che, ai sensi dello stesso D. L.vo 81/2008, il datore di lavoro non può comunque delegare e che ciò nonostante, spiace rilevarlo, non di rado non vengono comunque correttamente osservati, anche in imprese di dimensioni considerevoli.
I predetti obblighi, individuati dall’art. 17 del D. L.vo 81/2008, sono:
- la designazione del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione;
- la valutazione dei rischi e l’elaborazione del Documento di Valutazione dei Rischi.
Il D. L.vo 81/2008 pone poi, agli artt. 18-55, l’osservanza di altri obblighi in capo al datore di lavoro, che risultano ancor più rilevanti per quanto concerne il rischio di contagio da Covid-19.
Si tratta di obblighi che, tuttavia, possono essere delegati dal datore di lavoro e, in particolare:
- la nomina di un medico competente per la sorveglianza sanitaria in azienda e la gestione delle emergenze;
- la programmazione delle misure di prevenzione;
- la valutazione dei rischi derivanti dall’esposizione agli agenti biologici presenti nell’ambiente;
- informare i lavoratori circa il pericolo esistente, le misure predisposte e i comportamenti da adottare;
- richiedere l’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro e di uso dei mezzi di protezione;
- prevedere le condotte da attuare in caso di pericolo immediato;
- richiedere al medico competente l’osservanza degli obblighi previsti a suo carico;
- fornire i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale.
E’ proprio quest’ultimo obbligo che, per le specificità proprie del rischio di contagio da Covid-19, risulta, a quanto è dato intendere dalle prime attività di indagine condotte dalle procure, maggiormente disatteso, anche dalle strutture sanitarie (e non solo da quelle private!), dal momento che, è bene rammentarlo, le prescrizioni del D. L.vo 81/2008 risultano vincolanti anche per le strutture sanitarie, anche rivestenti natura pubblica.
E’ di tutta evidenza, peraltro, che l’art. 18, lett. “d” del D. L.vo 81/2008 che contempla il predetto obbligo, è esplicito nell’affermare che i dispositivi di protezione individuale debbono essere “…necessari…” e “…idonei…”.
Il pensiero corre dunque, prima ancora che alle imprese, alle (tante) strutture sanitarie in cui gli operatori hanno denunciato l’assenza di idonei dispositivi (mascherine non adeguate al rischio Covid-19, assenza di guanti, tute monouso, ecc.).
E’ evidente che, in casi analoghi, la violazione del predetto obbligo risulta già di per se stessa sufficiente a costituire l’inosservanza di una norma cautelare sulla quale il pubblico ministero procedente potrà agevolmente strutturare un’ipotesi di accusa colposa (per lesioni o per omicidio) per colpa specifica consistente in (evidente) violazione di legge.
E’ inoltre da tenere sempre presente, per ogni impresa, sia essa di natura sanitaria o meno, che l’obbligo di tutela vale anche nei riguardi degli infortuni (incluso, ovviamente, il contagio) patiti da terzi (ad esempio, visitatori dei pazienti ricoverati) nell’area di pertinenza dell’azienda stessa [4].
Stupisce pertanto, nel senso anzidetto, che alcune procure, in presenza di un numero di contagi degli operatori di strutture sanitarie così elevato da far ipotizzare l’inosservanza di basilari misure di sicurezza quali l’adeguata fornitura di dispositivi di protezione individuale, si siano cimentate nel compito (ben più arduo) di cercare di dimostrare la sussistenza degli elementi costitutivi delle fattispecie di reato di cui agli artt. 452-438 del Codice Penale (epidemia colposa) che, per giurisprudenza prevalente, non è integrabile mediante una condotta omissiva ma, al contrario, solo con una condotta commissiva e per di più a modalità vincolata [5].
Ben più agevole, in chiave accusatoria, sarebbe infatti dimostrare la (probabile) inosservanza di una o più disposizioni del D. L.vo 81/2008 per disporre di un’ipotesi di accusa agevolmente spendibile in giudizio e non banale da smontare per la difesa.
Per quanto qui rileva, comunque, il dato da acquisire è quello per cui il datore di lavoro/legale rappresentante è titolare (anche) della posizione di garanzia rispetto al rischio che i suoi stessi dipendenti o terzi contraggano in ambiente lavorativo il Covid-19 e, salvo provare che la condotta del danneggiato fosse assolutamente abnorme e imprevedibile, l’unico modo per smontare l’ipotesi accusatoria sarà quello di provare di aver adottato tutte le cautele previste dalla normativa [6].
Momento del contagio e norme applicabili
E’ a questo punto che occorre distinguere tra contagio concretizzatosi prima dell'intervento della normativa emergenziale di cui stiamo per dire e condotte maturate in seguito a quest'ultima, recentissima normativa, di cui possiamo individuare il primo “tassello” nella Circolare del Ministero della Salute n. 3190 del 3/2/2020.
Per queste ultime condotte, maturate prima del 3/2/2020, le norme cautelari di cui il datore di lavoro/legale rappresentante dovrà dimostrare l’osservanza per andare esente da responsabilità penale, saranno (solo) quelle appena analizzate e contenute nel D. L.vo 81/2008.
Sarebbe infatti assurdo chiamare a rispondere l’imprenditore/datore di lavoro delle conseguenze di un rischio che, evidentemente, non era stato opportunamente ponderato neppure dalla più specializzata comunità medico-scientifica, colta clamorosamente in contropiede dalla natura e dalla diffusione del contagio, e dalle stesse strutture sanitarie, anche pubbliche.
In parte differente è il ragionamento da fare per quanto concerne i contagi avvenuti dopo il 3/2/2020.
In questo caso, infatti, oltre che una maggiore e diffusa consapevolezza generalizzata del rischio, ha cominciato a consolidarsi una normativa (fin troppo) copiosa di natura secondaria che ha sostanzialmente integrato (spesso, per la verità, in apparente inconsapevolezza) le prescrizioni già presenti in materia nel D. L.vo 81/2008.
Sarà pertanto necessario per il datore di lavoro/legale rappresentante, in caso di contagio avvenuto dopo il 3/2/2020, dimostrare non solo l’osservanza delle prescrizioni di cui al D. L.vo 81/2008 ma altresì di quelle successive, di natura secondaria, che si sono susseguite in queste ultime concitate settimane di alluvionale produzione normativa e regolamentare.
Fin dal 3/2/2020, infatti, il Ministero della Salute emanava la Circolare n. 3190, con cui, rivolgendosi agli operatori a contatto quotidiano con il pubblico forniva alcune basilari indicazioni, quali:”
lavarsi frequentemente le mani;
porre attenzione all’igiene delle superfici;
evitare i contatti stretti e protratti con persone con sintoni simil influenzali;
adottare ogni ulteriore misura di prevenzione dettata dal datore di lavoro;
Seguivano, come noto, diversi Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, che hanno previsto la sospensione di tutte le attività industriali e commerciali salvo quelle di cui all’allegato 1 del D.P.C.M. 10/4/2020 e il Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure anti-contagio negli ambienti di lavoro, sottoscritto in data 14/3/2020 dal Governo e da Confindustria con il dichiarato fine di coniugare “...la prosecuzione delle attività produttive con la garanzia di condizioni di salubrità e sicurezza degli ambienti di lavoro e della modalità lavorative... ”.
In buona sostanza, il predetto Protocollo prevede la riduzione dell’attività lavorativa, invitando i lavoratori a ricorrere allo smart working, a usufruire degli ammortizzatori sociali o, in caso di impossibilità di ricorrervi, invita il datore di lavoro alla sanificazione periodica dei luoghi di lavoro, all’adozione di protocolli di sicurezza che possano prevenire il contagio, al rispetto della distanza interpersonale di almeno un metro, all’adozione di specifici dispositivi di protezione individuale e alla riduzione maggiore possibile delle occasioni di contatto all’interno degli spazi aziendali.
Si tratta, in realtà, di prescrizioni che un'accorta valutazione dei rischi, compendiata nel Documento di Valutazione dei Rischi, unita all’osservanza di alcune regole di comune buon senso e all’applicazione delle altre prescrizioni di cui al D. L.vo 81/2008 avrebbe potuto anche precorrere e infatti, nella prassi, molte aziende avevano già attuato di propria iniziativa prima dell’intervento del predetto Protocollo.
L’osservanza delle prescrizioni del Protocollo del 14/3/2020 e delle altre prescrizioni già analizzate e contenute nel D. L.vo 81/2008, magari unita all’aggiornamento del Documento di Valutazione dei Rischi, sentito il medico aziendale, rende realisticamente tranquillo il datore di lavoro/legale rappresentante di non incorrere in responsabilità penale in caso di contagio da Covid-19 occorso anche dopo il 3/2/2020.
La responsabilità penale-amministrativa dell'ente ex D. L.vo 231/2001
Come già cennato in precedenza, vi è, accanto al D. L.vo 81/2008 di cui già si è detto, un altro testo normativo, presente nel nostro ordinamento da ormai quasi un ventennio, con le cui previsioni le persone giuridiche (imprenditori ma non solo, anche enti pubblici e, per quanto qui rileva, aziende ospedaliere) si trovano sempre più a doversi adeguare.
Il D. L.vo 231/2001, infatti, come noto, è il provvedimento normativo che disciplina, con titolazione programmatica “...la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società, e delle associazioni anche prive di personalità giuridica... ”.
Il provvedimento è stato, a modo suo, rivoluzionario nella misura in cui ha previsto, per la prima volta nel nostro ordinamento, una responsabilità di natura para-penale (definita genericamente “amministrativa” anche per non incorrere nelle maglie del divieto di responsabilità extra-personale di cui agli artt. 27 Costituzione- 40 Codice Penale) a carico non “semplicemente” del legale rappresentante dell’ente, ma anche dell'ente stesso, che può pertanto essere destinatario di sanzioni para-penali di varia natura, da quelle economiche a quelle interdittive quali il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione o il divieto di operare.
Senza dimenticare l’obiettivo del presente contributo, che rimane quello di individuare i profili di responsabilità del legale rappresentante in caso di contagio da Covid-19, vale la pena spendere alcune brevi considerazioni anche in merito al predetto profilo di responsabilità, che può involgere dunque non più solamente il legale rappresentante ma altresì lo stesso ente rappresentato, rendendolo potenzialmente destinataria delle sanzioni previste dal D. L.vo 231/2001.
Non va dimenticato, peraltro, per i fini che qui rilevano, che la giurisprudenza maggioritaria ritiene applicabili le prescrizioni del D. L.vo 231/2001 e la relativa responsabilità di natura amministrativa, anche alle aziende ospedaliere pubbliche [7].
Non ogni illecito, anche di natura penale, commesso in ambito aziendale, comporta di per sé l’applicazione del meccanismo sanzionatorio di cui al D. L.vo 231/2001 a carico della società.
La responsabilità di quest’ultima, infatti, può operare in presenza di alcune condizioni (art. 5 D. L.vo 231/2001), che debbono ricorrere cumulativamente:
l’illecito deve essere commesso dal legale rappresentante della società o da chi sia investito di poteri di rappresentanza, di amministrazione o comunque di gestione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia;
l’illecito deve essere commesso in vantaggio o nell’interesse dell’ente;
In presenza di questi presupposti, l’ente può essere chiamato a rispondere dell’illecito commesso ove non riesca a provare che:“...
A) l´organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
B) il compito di vigilare sul funzionamento e l´osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un organismo dell´ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo;
C) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione;
D) non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell´organismo di cui alla lettera b)....”.
Insomma, senza soffermarci ulteriormente sulla natura e i presupposti di questo peculiare tipo di responsabilità, per l’argomento che rileva nel presente contributo ci è sufficiente sapere che le condotte illecite dei legali rappresentanti o dei rispettivi delegati, ove commesse in vantaggio o nell’interesse dell’ente e in assenza della previsione di un adeguato modello di organizzazione e gestione (si noti il parallelo con il Documento di Valutazione dei Rischi. di cui al D. L.vo 81/2008), possono esporre a gravi conseguenze la stessa esistenza in vita dell’ente.
La domanda che occorre porsi, a questo punto, è: per qualsiasi reato commesso dai predetti soggetti “apicali” nell’interesse o a vantaggio dell’ente, risponderà (anche) quest’ultimo ex D. L.vo 231/2001?
Ci forniscono la risposta gli artt. 25 ss. del D. L.vo 231/2001, che contengono l’elenco, più volte aggiornato, anche recentemente, dei reati che, se commessi dai predetti soggetti nell’interesse o a vantaggio dell’ente, possono dare luogo, in assenza dell’adozione da parte dell’ente del modello di organizzazione e di gestione di cui all’art. 6 D. L.vo 231/2001, possono dar luogo a responsabilità penale-amministrativa dello stesso.
Ebbene, oramai numerose e assai eterogenee sono le fattispecie di reato che possono ingenerare la predetta responsabilità dell’ente e sarebbe dispersivo condurne un’analisi compiuta.
Ai nostri fini, è importante rilevare che, dall’Anno 2007, sono state inserite nel novero dei predetti reati due fattispecie tipicamente ricorrenti nell’ambito dell’operatività aziendale, ovvero le lesioni colpose e l’omicidio colposo legati all’inosservanza delle normative in materia di sicurezza sul luogo di lavoro.
A questo punto, il cerchio aperto con l’individuazione delle normative in materia di sicurezza applicabili nel caso di contagio da Covid-19 si chiude.
Laddove, infatti, venga ravvisata, nei termini già analizzati, l’inosservanza di prescrizioni normative in materia di sicurezza sul luogo di lavoro che ha cagionato delle lesioni o il decesso (e abbiamo già visto che il contagio da Covid-19 è equiparato, appunto, alla “malattia” costituente l’elemento materiale del reato di lesioni), (anche) l’ente ne verrà chiamato a rispondere ai sensi del D. L.vo 231/2001, con la possibilità di incorrere in gravi sanzioni, anche interdittive.
Il puntcum prurens parrebbe, a questo punto, quello di individuare il necessario “...vantaggio...” o “...interesse...” dell’ente, quale presupposto applicativo della relativa responsabilità, che deriverebbe all’ente stesso dalla condotta illecita, dal momento che, in assenza del predetto “vantaggio” o “interesse” non è possibile configurare validamente la responsabilità penale-amministrativa dell’ente.
Si tratta, però, di un falso problema, risolto in maniera invero piuttosto “creativa” da una pronuncia della Corte di Cassazione che ha individuato surrettiziamente il predetto
“... vantaggio...” necessario ai fini della configurazione della relativa responsabilità ex D. .L.vo 231/2001 nel “ ... risparmio...” che l’azienda, non fornendo i necessari dispositivi di protezione individuale conseguirebbe indebitamente, realizzando peraltro anche un maggiore profitto legato al fatto di ottimizzare i tempi di produzione non essendosi vincolata a seguire stringenti procedure di sicurezza [8].
E’ evidente l’incidenza che il principio predetto (invero contrastato da altre pronunce di segno contrario) può assumere nell’ipotesi di contagio da Covid-19.
A quanto pare emergere dai primi riscontri dell’autorità inquirente, infatti, numerosissime strutture sanitarie, anche pubbliche, non erano dotate, tra l’altro, di adeguati dispositivi di protezione individuale e/o di procedure idonee, di talchè, potenzialmente, in presenza di un contagio ivi occorso in violazione delle norme di cui al D. L.vo 81/2008, sarebbero destinatarie, mediante i loro legali rappresentanti, non “solo” delle sanzioni penali ma altresì di quelle di natura penale-amministrativa previste dal D. L.vo 231/2001.
Se vi sarà concreta applicazione del predetto principio negli accertamenti che l’autorità inquirente condurrà nei prossimi mesi, si assisterà alla contestazione da parte delle procure, non solo delle fattispecie riconnesse alla violazione del D. L.vo 81/2008 ma altresì a un’inedita “pioggia” di contestazioni di responsabilità ex D. L.vo 231/2001, con le relative ripercussioni sanzionatorie a carico dei rispettivi enti, sanitari e non, pubblici e privati che siano.
E’ a questo punto, dunque, che emerge in tutta la sua evidenza l’opportunità per ogni ente così come individuato dal D. L.vo 231/2001 di dotarsi di un adeguato modello di organizzazione e gestione, sì da non ritrovarsi destinatario di pesanti sanzioni, anche interdittive, che potrebbero condurre alla sua definitiva cessazione.
Anche in questo caso, in realtà, in analogia a quanto avviene per le prescrizioni presenti nel D. L.vo 81/2008, per l’impresa adeguarsi a quanto prescritto è assai meno oneroso che operare senza averlo fatto.
E’ realistico supporre, infatti, che la “scure” della magistratura, in caso di indagini di natura penale conseguenti a casi di contagio Covid-19, colpirà primariamente chi di tale modello di organizzazione e gestione, a suo rischio, non ha mai inteso dotarsi, esponendo così se stesso e l’ente rappresentato alle relative responsabilità.
Al contrario, però, l’esperienza delle corti insegna che, in presenza di un modello di organizzazione e gestione impostato e attuato, ancorchè perfettibile, l’interesse della norma risulta tutelato e, conseguentemente, è raro che il magistrato si inoltri in un’analisi dettagliatissima delle prescrizioni che si sarebbero eventualmente potute includere nel modello di gestione al fine di ricomprendervi ogni rischio immaginabile.
Conclusioni
In conclusione, il quadro normativo richiamato ci suggerisce che l’ipotesi che il datore di lavoro venga chiamato a rispondere in sede penale per il contagio da Covid-19 occorso in ambienti di lavoro è fondata.
Il contagio da Covid-19 viene trattato nel nostro ordinamento alla stregua di una “malattia” costituente l’elemento materiale di cui agli artt. 589- 590 del Codice Penale, ovvero lesioni personali colpose o omicidio colposo.
Per tracciare correttamente i confini della predetta responsabilità è necessario prendere in considerazione la normativa applicabile in materia, e in particolare:
D. L.vo 81/2008 (Testo Unico sulla Sicurezza sul Posto di Lavoro);
D. L.vo 231/2001 (Responsabilità amministrativa delle persone giuridiche);
la normativa secondaria emergenziale emanata dal 3/2/2020 in poi.
Al fine di chiamare a rispondere in sede penale il legale rappresentante/datore di lavoro in caso di avvenuto contagio, occorrerà distinguere a seconda del momento dell'evento.
Se il contagio avviene prima del 3/2/2020, per andare esente da responsabilità penale il datore di lavoro/legale rappresentante dovrà dimostrare di aver adempiuto le prescrizioni in materia di sicurezza del lavoro previste dal D. L.vo 81/2008 o che la condotta del contagiato fosse obiettivamente imprevedibile.
Se, invece, il contagio avviene dopo il 3/2/2020, per andare esente da responsabilità al datore di lavoro/legale rappresentante non sarà sufficiente dimostrare la corretta osservanza delle prescrizioni in materia di sicurezza di cui al D. L.vo 81/2008 ma occorrerà altresì che egli dimostri di essere osservante delle prescrizioni integrative che trovano la loro fonte nella normativa emergenziale emanata dal 3/2/2020 fino ai giorni nostri, con particolare rilevanza delle linee guida previste dal Protocollo sottoscritto in data 14/3/2020 dal Governo e da Confindustria.
In caso venga ravvisata l’inosservanza di una norma in materia di prevenzione degli infortuni sul luogo di lavoro, ad essere esposto a conseguenze non sarà, in virtù delle previsioni del D. L.vo 231/2001, solamente il legale rappresentante/datore di lavoro ma altresì l’ente, sia esso una società, un’associazione o perfino l’ente pubblico nel cui interesse/vantaggio è stato compiuto il reato.
Il D. L.vo 231/2001, infatti, richiede, al fine della sussistenza della responsabilità penaleamministrativa dell'ente, che un reato tra quelli tassativamente elencati negli artt. 25 ss. della predetta disposizione venga compiuto da figure apicali dell’ente stesso e in vantaggio o nell’interesse dell’ente.
Le lesioni colpose e l’omicidio colposo sono incluse nel novero delle figure di reato che possono dare luogo a responsabilità penale-amministrativa dell’ente ex D. L.vo 231/2001.
L’orientamento giurisprudenziale più recente, inoltre, qualifica come “vantaggio” quello che l’ente conseguirebbe da una condotta costituente reato, quale è l’inosservanza di normative di sicurezza sul luogo di lavoro che cagiona il contagio da Covid-19, ad esempio non fornendo il personale di idonei dispositivi di protezione individuale.
E’ realistico dunque ritenere che, qualora, come risulterebbe dai primi esiti dell’attività di indagine condotta da varie procure sul territorio nazionale, il contagio da Covid-19 sia stato determinato dall’assenza di dispositivi di protezione individuale o da altre violazioni del D.L.vo 81/2008, non solo il legale rappresentante ma anche lo stesso ente rappresentato risulterà destinatario delle sanzioni previste dal D. L.vo 231/2001, incluse quelle di natura interdittiva.
Se non è possibile in astratto scongiurare ogni rischio connaturato all’attività aziendale, è tuttavia possibile escludere che il concretizzarsi del rischio possa avere conseguenze di natura penale (sul legale rappresentante della società) e penale-amministrativa (sull'ente rappresentato) adottando preventivamente alcune fondamentali cautele, quali l’attuazione delle principali prescrizioni in materia di sicurezza sul luogo di lavoro previste dal D. L.vo 81/2008 e la redazione di un adeguato modello di organizzazione e di gestione ex art. 6 D. L.vo 231/2001.
Daniele Pomata
Avvocato del Foro di Genova
Circolare n. 3190 del 3 febbraio 2020 del Ministero della Salute - Direzione generale della prevenzione sanitaria (Ufficio 05 – Prevenzione delle malattie trasmissibili e profilassi internazionale), oggetto “Indicazioni per gli operatori dei servizi/esercizi a contatto con il pubblico” (formato PDF, 205 kB).
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[1] Così, ex multis, Cass. Pen., Sez. V^, Sent. N. 38388/2012.
[2] Così, Cass. Pen., Sez. V^, Sent. N. 43763/2010
[3] Così, Cass. Pen., Sez- VII^, Sent. N. 14127/2018. Contra, però, Cass. Pen., Sez. IV^, Sent. N. 4340/2016.
[4] Così, Cass. Pen., Sez. IV^, Sent. N. 18444/2015.
[5] Così, Cass. Pen., Sez. IV^, Sent. N. 9133/2018.
[6] Così, Cass. Pen., Sent. N. 4916/2018.
[7] Così, Cass. SS. UU., Sent. N. 38343/14.
[8] Così, Cass. Pen., Sez. IV^, Sent. N. 31210/2016.
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Rispondi Autore: Antonio - likes: 0 | 07/05/2020 (06:21:24) |
Gent. Avv. Per come la vedo io sarebbe come dire o regolamentare cosa NON deve fare il lavoratore e come può immaginare è impossibile, tra l'altro anche assolvendo a tutte le linee guida che vuole, non ti esime dall'essere denunciato dal lavoratore, tuttavia siccome a differenza di altri comportamenti lavorativi, il virus può essere preso più facilmente fuori dall'ambiente lavorativo, sta al lavoratore attenersi alle direttive e obblighi imposti dai dpcm e linee guida, e visto che sarebbe impossibile dimostrare quando ti sei contaminato, la responsabilità deve ricadere sul lavoratore fatto salvo forse per quelli minorenni. |
Autore: avv Daniele Pomata | 07/05/2020 (11:25:57) |
Il principio che deve guidare i destinatari della copiosa normativa (e che troppo spesso pare dimenticarsi) è quello del buon senso. In nome di quest'ultimo criterio che, per fortuna, generalmente prevale ancora nelle aule di Giustizia, sarebbe obiettivamente paradossale accollare al datore di lavoro l'onere di garantire contro ogni possibilità di contagio quando le stesse strutture sanitarie a ciò preposte non sono state in grado di farlo: basti guardare alle tante indagini di natura penale sull'assenza di d.p.i. adeguati che coinvolgono R.S.A. ma anche Ospedali Pubblici. Vi sono dunque già ad oggi procedimenti penali in fase di indagini per casi di contagio da Covid-19 avvenuti sul luogo di lavoro e dimostrare l'avvenuto contagio in ambiente lavorativo è arduo ma non impossibile. La riflessione da trarne, però, a mio avviso, è che non bisogna farsi disorientare nè allarmare oltremisura dalla valanga di normazione emergenziale proliferata in materia e adeguarsi con buon senso e nei limiti delle caratteristiche operative di ogni azienda ai protocolli, consapevoli del fatto che il datore di lavoro e chi, con lui, si occupa di sicurezza, sta fronteggiando una fonte di rischio imprevista, ripeto, in primis da chi avrebbe dovuto istituzionalmente prevederla. I pubblici ministeri e i giudici non potranno non tenere conto di ciò nel valutare il livello di diligenza che può realisticamente essere richiesto al datore di lavoro e a chi si occupa di sicurezza in azienda. Insomma, ancora una volta nell'interpretazione dell'alluvionale normativa emergenziale deve guidarci un principio generale, quello di cui all'art. 42 del Codice Penale e il vecchio ma sempre valido brocardo per cui "ad impossibilia nemo tenetur". |
Rispondi Autore: Arturo Micelotta - likes: 0 | 07/05/2020 (09:42:49) |
Bisognerebbe rimettere mano ad alcuni decreti; L'Ente pubblico dovrebbe avere finalità pubbliche e reati commessi nell'interesse pubblico non possono vedere come condannati gli enti pubblici, cioè la popolazione. Sarebbe ora di smettere di proteggere gli errori di interessi privati per farli ricadere sulla collettivitò. Se funzionari pubblici sbagliano a pagare non possono essere i cittadini (i più poveri, perchè si pagherà tramite indebitamento che porta a pagare interessi ai più ricchi). Propongo a chi ha le capacità ed i titoli per lavorare in tal senso in modo da reindirizzare la normativa verso l'interesse pubblico dei più deboli |
Rispondi Autore: Renato D'Avenia - likes: 0 | 07/05/2020 (10:09:03) |
Grazie Avvocato per il "ripasso", che a mio avviso risulta esser sempre utile. Traggo dal suo ragionamento, una saggia conclusione, ovvero, sarebbe bene non farsi accecare dalla immane e talvolta assurda mole di pensieri, ipotesi su cosa deve fare un Datore di Lavoro. Deve fare ciò che la norma impone da sempre, il buon senso alla base delle decisioni. Sembrerà strano, ma per chi ha un minimo di esperienza forense, al netto del funzionamento del procedimento penale e i cavillosi approcci difensivi per scampare dalle sentenze di Cassazione, i ragionamenti sono sempre gli stessi, direi semplici e lineari. Ciò proprio in virtù delle sentenze della Suprema Corte degli ultimi anni. Mi preme rimarcare un concetto che trapela dal suo scritto e che si concilia con tutto il ragionamento. Attenzione che un protocollo d'intesa - certo in Italia ci vorranno chissà quanti processi per arrivare al concetto - non dovrebbe essere inteso come una cosiddetta norma in bianco. Vale sempre il ragionamento di base e i principi della Norma vigente, la quale offre, dagli anni '50 in Italia, tutte le indicazioni che servono per fare fronte alla contingenza attuale. Per chi vuole naturalmente... Buona giornata |
Rispondi Autore: Arturo Micelotta - likes: 0 | 07/05/2020 (10:47:04) |
Da una parte in nome del Rischio 0 non esiste ti dicono che si può lavorare, dall'altra in nome del Rischio 0 non esiste possono chiedere a discrezione qualsiasi tipo di intervento per la sicurezza ed infine sempre in nome del rischio 0 non esiste ti possono condannare per qualsiasi precauzione ex-post che non si è presa. |
Rispondi Autore: avv Daniele Pomata - likes: 0 | 07/05/2020 (11:39:39) |
Ha colto appieno il senso del mio intervento: mai come in periodi emergenziali, anche nel diritto, occorre avere a mente i principi generali e farsi condurre con fiducia dall'interpretazione della normativa (ricordiamolo, secondaria ed emergenziale poichè un vizio odierno è quello di portare ogni cosa sul medesimo piano e di disconoscere le gerarchie, anche quelle normative) mutuata da questi stessi principi. Non occorre allarmarsi oltremisura per alcune, per fortuna piuttosto isolate, pronunce della Suprema Corte che paiono ispirate dal "fuoco sacro" della caccia alle streghe ma adeguarsi con buon senso, calando la normativa nella concretezza della realtà aziendale, ad un rischio nuovo, imprevisto per tutti. Così facendo, il datore di lavoro avrà ottemperato a quel livello minimo di diligenza richiesto dalla natura del rischio e potrà fare ciò che la nostra Carta Costituzionale dovrebbe garantirgli: trarre i frutti della sua iniziativa e del suo lavoro, per sè e per i suoi dipendenti. Le misure di sicurezza, quali che siano, dovrebbero servire a garantire la prosecuzione dell'attività lavorativa e la vita dell'impresa, non il contrario. A volte, anche a chi è chiamato a formare e ad applicare la Legge, non farebbe male ripassare un pò l'art. 4 della nostra Costituzione. |
Rispondi Autore: carmelo catanoso - likes: 0 | 07/05/2020 (12:04:16) |
Le misure di sicurezza da attuare, per le aziende non sanitarie (chiamiamole così), sono quelle del Protocollo che rappresentano, oggi, le migliori conoscenze scientifiche disponibili. La valutazione del rischio da contagio da COVID-19 l'ha già fatta l'Autorità Pubblica e le misure da attuare sono quelle contenute nel Protocollo. Starà a di datori di lavori, applicarle contestualizzandole alle specificità della propria impresa. Se come datore di lavoro decidessi di procedere ad una autonoma valutazione del rischio da contagio da COVID-19 con conseguente adozione di misure diverse da quelle imposte dal Protocollo definito dalla comunità scientifica e fatto proprio dal legislatore d'emergenza (le norme di Igiene Pubblica mi risulta siano sovraordinate a quelle di Igiene Occupazionale), in caso di contagio plurimo verrei chiamato a rispondere riguardo il perché non abbia applicato quelle che, al tempo, erano ritenute le migliori conoscenze disponibili. Personalmente, continuo a ritenere che per le aziende non sanitarie, per quelle che non fanno uso deliberato di A.B. e per quelle che non svolgono attività di cui all'allegato XLIV, non sia necessario aggiornare il DVR interiorizzando tra i rischi professionali quello che rischio professionale non è e che, invece, va gestito attraverso l'applicazione puntuale del Protocollo contestualizzato in funzione delle specificità dell'impresa. In caso contrario, se facessimo passare l'idea che anche i rischi generici e non professionali come il COVID-19 debbano essere parte del DVR delle aziende prima citate, creeremmo un pericoloso precedente. Infatti, avremmo il sistematico coinvolgimento di DL, Dirigenti, Preposti, RSPP, MC e CSP/CSE, in caso di reati d'evento causati da rischi non professionali. |
Rispondi Autore: avv. Dubini Rolando - likes: 0 | 07/05/2020 (13:45:17) |
Un ottimo contributo, a parte l'incomprensione che il contagio covid-19 sul luogo di lavoro è infortunio sul lavoro, ai sensi dell'art. 42 del decreto cura Italia correttamente citato, e non malattia. |
Rispondi Autore: avv. Dubini Rolando - likes: 0 | 07/05/2020 (13:46:45) |
Il rispetto dei Protocolli condivisi anticontagio esime da responsabilità il datore di lavoro? No, deve rispettare anche il DLgs. n. 81/2008, richiamato dagli stessi protocolli più volte Non basta il rispetto dei soli protocolli condivisi anticontagio. Occorre anche rispettare anche il DLgs. n. 81/2008 (Testo Unico di Sicurezza sul lavoro) richiamato dagli stessi protocolli più volte, ai sensi del quale i Protocolli vanno declinati nella concreta realtà aziendale, che richiede scelte e decisioni concrete di esclusiva competenza imprenditoriale. |
Rispondi Autore: Lino Emilio Ceruti - likes: 0 | 07/05/2020 (14:24:17) |
Un'interessante disamina realistica dove all'interno del contributo emerge quanto il "buon senso... del buon padre di famiglia" dovrebbe risultare sempre presente nelle esplicitazioni professionali di tutte quelle Figure che fanno parte del processo costruttivo o organizzativo di un'opera o di un'azienda, ... a esclusione di quel "magari..." Rimango convinto assertore di quanto condiviso da Carmelo Catanoso. |
Rispondi Autore: Giorgio Gallo - likes: 0 | 07/05/2020 (14:31:28) |
Concordo con Carmelo Catanoso |
Rispondi Autore: alemazzzei - likes: 0 | 07/05/2020 (15:00:29) |
L'interpretazione dell'Ing. Catanoso mi sembra che sia quella più razionale e conforme alle normative esistenti in materia di COVID19. Grazie |
Rispondi Autore: Fausto Pane - likes: 0 | 07/05/2020 (16:34:40) |
Buongiorno. So di magazzini edili che hanno messo a disposizione DPI per gli ospedali locali perché in reparto NON CE N'ERANO. Ordinati dalla Direzione Sanitaria, non arrivavano, forniture di Protezione Civile, sappiamo com'é finita. Il malato non lo puoi curare in smartwork! Ma l'impossibilia, come la stabiliamo? Grazie Fausto Pane |
Rispondi Autore: Gaetano - likes: 0 | 09/05/2020 (19:54:54) |
È chiarissimo. Peccato per i primi due commenti di chi ancora pensa di dover aggiornare il DVR. |
Rispondi Autore: Fabio - likes: 0 | 06/03/2021 (12:46:41) |
Domanda ,nella mia azienda non viene detto chi sono i colleghi che contraggono il covid,con la conseguenza che rimaniamo col dubbio se possiamo essere entrati in contatto col virus visto che lavoriamo a stretto contatto. È tutto legale? |
Rispondi Autore: Tony - likes: 0 | 09/01/2022 (09:49:06) |
Perché nel mio posto di lavoro ci sono persone no vax non vaccinate ed io vaccinato ci lavoro a stretto contatto? Queste persone percepiscono una pensione e continuano a stare qui, io se decido di diventare no vax mi viene tolto il lavoro lo stipendio, mentre a queste persone non succede nulla, perché questa discriminazione? |