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Alimentazione e lavoratori: stress, produttività, sicurezza sul lavoro
Roma, 27 Giu – Nei mesi scorsi PuntoSicuro ha affrontato i temi della promozione della salute e dell’educazione alimentare attraverso la presentazione di alcune relazioni che si sono tenute al 73° Congresso Nazionale SIMLII (Società Italiana di Medicina del Lavoro ed Igiene Industriale) dal titolo “La Medicina del Lavoro quale elemento migliorativo per la tutela e sicurezza del Lavoratore e delle attività dell’Impresa”. Relazioni che sono state pubblicate nel primo supplemento del numero di ottobre/dicembre 2010 del Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia e sono state raccolte nella sezione dedicata a “ Alimentazione e lavoratori”.
Nel precedente articolo ci siamo occupati del ruolo dell’alimentazione sui luoghi di lavoro, della promozione della salute, dei modelli integrati di educazione alimentare, dei programmi di intervento nutrizionale e dell’analisi dell’indice di massa corporea. E l’abbiamo fatto raccogliendo i risultati di ricerche, raccogliendo dati ed esperienze pratiche condotte in diverse realtà lavorative.
Tuttavia siamo convinti che in qualche lettore sia rimasto ancora qualche dubbio sul nesso tra la tutela della sicurezza e salute sul lavoro e l’educazione alimentare. Perché un lavoratore dovrebbe alimentarsi correttamente?
Rispondiamo a questa domanda presentando la relazione “I perché di una corretta alimentazione dei lavoratori”, a cura di T.P. Baccolo, D.Gagliardi, M.R. Marchetti ( ISPESL, Roma).
Nella relazione si ricorda innanzitutto che un rapporto del 2005 dell’Ufficio Internazionale del Lavoro (ILO) ha “analizzato le abitudini alimentari in diverse parti del mondo e ha messo in evidenza come un regime alimentare troppo povero o un’ alimentazione troppo ricca sul luogo di lavoro possano provocare una perdita di produttività del 20% circa”.
In particolare una delle “più frequenti e gravi conseguenze della scorretta alimentazione è l’ obesità che ha ripercussioni negative anche sull’attività lavorativa sia influendo sullo svolgimento del lavoro che favorendo gli infortuni”. E in Italia il costo sociale dell’obesità – secondo i risultati di uno studio del 2009 – sarebbe pari a 8,3 miliardi di Euro all’anno “considerando i costi diretti e indiretti generati dalla patologia”.
E – continua il rapporto ILO - sarebbe sufficiente una maggiore informazione e un miglioramento nella gestione dei pasti in azienda per “determinare un buon livello di performance mentale e fisica e una riduzione sia delle assenze per malattia che degli infortuni sul lavoro”.
L’obesità, come abbiamo visto nel precedente articolo sull’alimentazione, è “statisticamente più frequente nei lavoratori la cui occupazione prevede una prolungata sedentarietà, in coloro che svolgono lavoro a turni e in quelli di sesso maschile che lavorano più di 35 ore settimanali”.
Vi rimandiamo alla lettura integrale dell’intervento per leggere poi le varie malattie professionali per le quali l’obesità può essere considerata, in diverse condizioni di lavoro, un fattore predisponente.
Ci soffermiamo sulla correlazione tra obesità e stress.
L’obesità è “correlata positivamente a stress lavorativo, nel senso che un lavoro stressante è associato a maggiore Indice di Massa Corporea”. In questo senso uno studio prospettico condotto su 6.895 uomini e 3.413 donne ha dimostrato “che chi è esposto a stress cronico in ambiente lavorativo ha il 50% di possibilità in più di diventare obeso”.
Non solo. Spesso gli obesi sono discriminati in ambito lavorativo e “presentano una bassa autostima”. E anche la “sindrome metabolica”, dovuta a dieta ipercalorica e scarsa attività fisica, può essere correlata allo stress.
I relatori riportano poi i risultati di uno studio condotto per 14 anni su 10.308 impiegati pubblici di ambo i sessi di Londra. Risultati che mostrano come condizioni di stress cronico siano “associate allo sviluppo della sindrome metabolica, con una maggiore incidenza negli uomini, in particolare in quelli che hanno una posizione socio-economica inferiore e stili di vita scorretti”.
Un’altra correlazione molto importante è quella tra obesità e sicurezza sul lavoro.
È evidente come l’ obesità possa determinare “importanti limitazioni fisiche nei movimenti e nell’agilità nello svolgimento dell’attività lavorativa con conseguente riduzione della sicurezza. È stato dimostrato che in caso di incidente stradale, le persone obese sono quelle che subiscono le conseguenze più gravi”.
Secondo uno “studio dell’Università di Modena e Reggio effettuato con la Provincia di Modena, l’INAIL Emilia Romagna, l’Osservatorio Regionale della Sicurezza Stradale, la Polizia Stradale, la Motorizzazione Civile e la Croce Rossa, su un campione di 134 autotrasportatori fermati dalla polizia nel 2008, il 59% degli autisti era in sovrappeso e il 20% era obeso”. E l’obesità può essere causa di sonnolenza diurna e di abitudini di sonno irregolari. In particolare il 10% degli intervistati ha riferito di soffrire di apnea notturna, una “patologia pericolosa per la sicurezza stradale”.
Un’indagine del 2005 dell’Inail mostra poi che “la maggior parte degli infortuni avviene nelle ore post-prandiali, probabilmente anche a causa del tipo di dieta che rende più rischiose le ore pomeridiane”.
Anche riguardo ai dispositivi di protezione individuale i lavoratori obesi hanno maggiore difficoltà a reperire DPI “idonei alla loro conformazione fisica (respiratori, guanti, indumenti, giubbetti di salvataggio, giubbetti antiproiettile) che, indossati male e risultando scomodi, non assicurano la dovuta protezione”.
Torniamo infine al nesso con la produttività.
Secondo uno studio condotto nel Regno Unito, “gli impiegati obesi hanno una probabilità di assenteismo 1,5 volte maggiore rispetto ai colleghi con peso ottimale”.
Un altro studio effettuato su 7.338 adulti diabetici o a rischio di diabete, “ha evidenziato che i lavoratori obesi con diabete di tipo II erano meno produttivi nel lavoro rispetto ai colleghi normopeso”.
È dunque “chiaro che il problema dell’alimentazione dei lavoratori, a casa e fuori, ha notevoli ripercussioni sulla loro salute psicofisica e sulla sicurezza al lavoro”.
La promozione della salute, svolta dalle aziende in ambito alimentare, può produrre “una ricaduta favorevole non solo sul benessere del lavoratore ma anche sul fattore umano per la sicurezza sul lavoro, sul rendimento lavorativo e sulla produttività aziendale”.
E i medici competenti, “oltre a partecipare alle campagne aziendali di promozione della salute, durante le visite mediche con la raccolta di semplici parametri quali altezza, peso, circonferenza vita e pressione arteriosa possono valutare il rischio cardiovascolare, identificare la classe di appartenenza secondo l’Indice di Massa Corporea, calcolare il fabbisogno calorico rispetto al lavoro svolto, informare sui rischi della non corretta alimentazione e valorizzare gli effetti positivi sulla salute della dieta”.
Se adeguatamente formati, i medici competenti possono aiutare i lavoratori in sovrappeso o obesi a “prendere in considerazione l’opportunità di modificare un’abitudine scorretta. L’intervento del sanitario può facilitare la ricerca delle motivazioni per il cambiamento, sostenere la decisione di cambiare e aiutare ad affrontare le ricadute”.
“ Alimentazione e lavoratori”, raccolta di relazioni di A. Pezzana, M. Sillano, E. Quirico, M. Zanardi, V. Cometti, E. Pira, M. Coggiola, C. Romano, D. Lettieri Barbato, A. Sancini, T. Caciari, M.V. Rosati, F. Tomei, G. Tomei, L. Perbellini, C. Zonzin, M. Baldo, T.P. Baccolo, D. Gagliardi, M.R. Marchetti che si sono tenute al 73° Congresso Nazionale SIMLII “La Medicina del Lavoro quale elemento migliorativo per la tutela e sicurezza del Lavoratore e delle attività dell’Impresa”, pubblicate in Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia, Volume XXXII n°4/suppl.1, ottobre/dicembre 2010 (formato PDF, 442 kB).
Tiziano Menduto
Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.
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