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Dispositivi di protezione uditiva: la valutazione dell’adeguatezza
Roma, 19 Mag - PuntoSicuro ha iniziato nei giorni scorsi la presentazione degli interventi relativi alla sezione “I dispositivi di protezione individuale: criteri di scelta e di gestione” del 73° Congresso Nazionale SIMLII (Società Italiana di Medicina del Lavoro ed Igiene Industriale) dal titolo “La Medicina del Lavoro quale elemento migliorativo per la tutela e sicurezza del Lavoratore e delle attività dell’Impresa” (Roma 1-4 dicembre 2010).
Presentando questi interventi, pubblicati nel primo supplemento del numero di ottobre/dicembre 2010 del Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia, ci siamo occupati di scelta dei dispositivi di protezione e di linee operative per orientare le attività di controllo e vigilanza specifica in tema di DPI.
Uno di questi interventi entra nello specifico di una specifica categoria di DPI: i dispositivi individuali di protezione uditiva.
In “Valutazione dell’adeguatezza dei dispositivi individuali di protezione uditiva” - a cura di A. Peretti, F. Pedrielli, A. Pasqua di Bisceglie e F. Bonomini – si sottolinea che i dispositivi individuali di protezione uditiva “non sempre garantiscono la salvaguardia della salute dei lavoratori”. E andrebbero impiegati solo quando i rischi da rumore non possano essere evitati con altri mezzi.
Tuttavia “a causa del loro costo contenuto e dell’impegno modesto che la loro gestione comporta”, l’adozione di tali dispositivi rappresenta spesso in molte aziende “l’unico intervento di riduzione dei rischi messo in atto”.
Con un impiego così “generalizzato” deve essere posta molta attenzione sia ai “fattori che direttamente o indirettamente influiscono sulle prestazioni dei dispositivi ( deterioramento nel tempo, movimenti temporo-mandibolari e della testa, interferenza con occhiali, capelli, ecc., discomfort, insufficiente formazione dei lavoratori)” che alla eventuale “eccessiva riduzione della percezione uditiva (iperprotezione) che può favorire il verificarsi di infortuni”.
Senza dimenticare tuttavia che “uno dei problemi più rilevanti riguarda la valutazione dell’adeguatezza dei dispositivi stessi in termini acustici”.
Tale valutazione richiede la stima del livello di esposizione a dispositivi indossati. Stima che si “fonda su due aspetti: la capacità di attenuazione, frequenza per frequenza, del dispositivo e le caratteristiche spettrali del rumore che il dispositivo stesso deve attenuare”.
In particolare la stima viene effettuata “mediante uno dei tre metodi definiti dalla norma EN ISO 4869-2 che differiscono tra loro a seconda dei parametri acustici rilevati dal tecnico negli ambienti di lavoro”. Tutti e tre i metodi si basano sui “medesimi valori di attenuazione del dispositivo in esame; se questi ultimi sono incongrui, lo saranno anche i livelli di esposizione a dispositivi indossati calcolati a partire da questi valori di attenuazione”.
I valori di attenuazione dei dispositivi vengono “determinati sulla base di un metodo definito dalla norma EN 24869-1 che richiede la valutazione della soglia uditiva a dispositivi indossati e non indossati; dalle differenze, banda per banda, dei livelli di soglia si ricavano i valori di attenuazione. Le prove vengono effettuate su 16 soggetti esperti e selezionati, esposti al rumore emesso da casse acustiche in un ambiente con determinate caratteristiche acustiche. La procedura di vestizione dei dispositivi è particolarmente laboriosa e mira a ottenere la massima attenuazione da parte dei dispositivi”.
I valori di attenuazione così ottenuti, “per esplicita affermazione della norma, vanno quindi considerati come prossimi ai massimi raggiungibili e normalmente non conseguibili negli ambienti di lavoro”.
Il problema è che “altre norme (EN ISO 4869-2; EN 458; EN 352-1,2,3) e alcune disposizioni di legge (Decreto del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale del 2/5/2001)” prevedono che “i valori così ottenuti siano impiegati negli ambienti di lavoro dove gli addetti non sono esperti, né selezionati, dove le procedure di vestizione sono minimali e dove i dispositivi possono deteriorarsi nel tempo e spostarsi dalla loro sede a causa dei movimenti temporo-mandibolari e della testa. Ne consegue che i valori di attenuazione riportati a corredo dei dispositivi risultano del tutto diversi da quelli che si possono riscontrare sui lavoratori”.
E sul fatto che i valori di attenuazione siano “fortemente sovrastimati rispetto a quelli effettivi, sussiste una completa unanimità di giudizio da parte di tutta la comunità scientifica internazionale da metà degli anni ’70 ad oggi”. E infatti gli stessi NIOSH e OSHA raccomandano di “correggere drasticamente” tali valori.
In particolare “tra i valori di attenuazione dichiarati e quelli effettivi la differenza è tale che un dispositivo può esser considerato congruo sulla base dei primi (ad esempio perché riduce il livello di esposizione da 100 a 70 dB(A)), mentre nella realtà è incongruo sulla base dei secondi (perché riduce il livello da 100 a 85 dB(A))”.
Tra le possibili soluzioni a questo problema, oltre a una valutazione dell’attenuazione dei dispositivi tramite procedura subject-fit (fare le prove su soggetti non esperti e selezionati, chiedendo loro di indossare normalmente i dispositivi), c’è la possibilità di operare una correzione dei valori di attenuazione a corredo dei dispositivi, in attesa del recepimento e dell’applicazione della procedura subject-fit.
Il NIOSH propone i “seguenti fattori correttivi: 0.75 per le cuffie, 0.50 per gli inserti espandibili, 0.30 per gli altri tipi di inserti auricolari, mentre l’OSHA prevede un coefficiente pari a 0.50 nel caso di tutti i tipi di dispositivi”.
I relatori sottolineano che, a loro parere, anche se “le procedure di correzione sollevano non pochi dubbi”, i coefficienti proposti dal NIOSH vanno applicati.
In relazione alla criticità dei valori statistici il documento si sofferma inoltre sul rapporto tra valori di attenuazione statistici e individuali. Esiste, insomma, un problema di variabilità dell’attenuazione dei dispositivi tra soggetto e soggetto.
Rimandiamo i nostri lettori alla lettura del documento originale, specialmente in relazione al tema della valutazione dell’attenuazione del dispositivo sul singolo lavoratore con riferimento alle diverse tecniche utilizzabili.
Gli autori concludono sottolineando che oggi, “a causa di valori di attenuazione a corredo dei dispositivi di protezione fortemente sovrastimati, la valutazione dell’adeguatezza dei dispositivi stessi soffre di gravi criticità”.
In relazione a questi problemi e alla variabilità dell’attenuazione dei dispositivi tra soggetto e soggetto, “nel caso di rischio uditivo elevato o di peggioramento dei deficit uditivi potrebbe essere così necessario valutare l’attenuazione del dispositivo sul singolo lavoratore”.
In particolare la tecnica che si basa sulla valutazione della soglia uditiva a dispositivi indossati e non indossati – descritta nel documento – “potrebbe essere attuata dal medico competente in occasione dell’ esame audiometrico periodico”.
“ Valutazione dell’adeguatezza dei dispositivi individuali di protezione uditiva”, a cura di A. Peretti (Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro, Università di Padova), F. Pedrielli (IMAMOTER - CNR, Cassana - Ferrara), A. Pasqua di Bisceglie (Dipartimento di Medicina Ambientale e Sanità Pubblica, Università di Padova) e F. Bonomini (Peretti e Associati srl, Padova), relazione che si è tenuta al 73° Congresso Nazionale SIMLII “La Medicina del Lavoro quale elemento migliorativo per la tutela e sicurezza del Lavoratore e delle attività dell’Impresa”, pubblicata in Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia, Volume XXXII n°4/suppl.1, ottobre/dicembre 2010 (formato PDF, 56 kB).
Tiziano Menduto
Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.
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