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Gli obblighi del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione
Commento a cura di Gerardo Porreca.
Tre sono i principi che vengono ribaditi in questa sentenza della Corte di Cassazione e che sono ormai consolidati nella giurisprudenza in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro:
- il coordinatore per la sicurezza è garante, in concorso con il datore di lavoro, della sicurezza dei lavoratori che vengono a trovarsi ad operare in un cantiere temporaneo o mobile;
- il lavoratore non risponde del suo operato, se pure ha commesso una imprudenza, se comunque l’infortunio accadutogli è legato a delle carenze in materia di salute e di sicurezza sul lavoro;
- nel caso in cui ci siano più persone titolari della garanzia di sicurezza e dell’obbligo di evitare un evento, ciascuno è destinatario per intero di quell’obbligo con la conseguenza che se un intervento è eseguito da uno dei garanti è necessario che l’altro o gli altri si accertino che il primo sia effettivamente intervenuto e nel caso in cui l’intervento non risulti adeguato questi versano in colpa se hanno confidato nello stesso.
Il fatto e la sentenza di condanna.
Un Tribunale ha condannato per il reato di omicidio colposo, in concorso fra loro, il responsabile dei lavori nonché coordinatore per la progettazione e per l'esecuzione di un cantiere edile installato per dei lavori di ampliamento di uno stabilimento industriale, ed il legale rappresentante dell’impresa appaltatrice per aver cagionata la morte di un lavoratore dipendente della ditta appaltatrice medesima commettendo il fatto in violazione di alcune norme antinfortunistiche ed in particolare, per quanto riguarda il coordinatore, degli articoli 2 e 4, commi 1 e 2, e 5, del D. Lgs. n. 494 del 1996 e, per quanto riguarda il legale rappresentante dell’impresa appaltatrice, degli articoli 4 ed 8 del medesimo D. Lgs. n. 494 del 1996. L'operaio infortunato, salito sulla copertura di un capannone, costituita in parte da pannelli in vetroresina traslucidi non calpestabili, senza alcun mezzo di protezione né individuale né collettivo, durante le operazioni di dismissione della preesistente copertura grecata del capannone stesso nonché di predisposizione per il successivo montaggio di nuovi tegoli, poggiando il proprio peso su uno dei suddetti pannelli in vetroresina ne ha provocato lo sfondamento precipitando al suolo da un'altezza di circa dieci metri, riportando trauma cranio - encefalico e trauma toracico che ne hanno determinato il decesso.
La Corte d'Appello ha confermata la sentenza di condanna degli imputati emessa dal Tribunale. Tale Corte ha ritenuto indubitabile che il coordinatore avesse assunto una specifica posizione di garanzia che lo esponeva a responsabilità per le conseguenze derivanti dalla violazione degli obblighi connessi a tale posizione. La stessa ha posto, altresì, in evidenza che dalle indagini era emerso che prima dell'avviamento dei lavori di ampliamento del capannone vi era stata una riunione tecnica di coordinamento alla quale aveva partecipato anche il coordinatore e durante la quale si era stabilito che, essendo i lavori di rimozione di una scossalina che ricopriva il tetto del vecchio capannone da eseguire "in quota", si rendeva necessaria, come del resto previsto dal piano di sicurezza, la predisposizione di dispositivi di protezione individuali e collettivi contro il rischio di caduta dall'alto, risultati del tutto assenti nel caso concreto. Al committente del resto, con una lettera inviata per conoscenza anche al coordinatore, era stato fatto presente che il capannone commissionato presentava lucernai a raso, ottenuti mediante distanziamento dei tegoli, non pedonabili per cui veniva consigliato di collocare una rete anti - caduta sotto le lastre traslucide, al di sotto delle quali non vi era alcuna struttura, e ciò "al fine di scongiurare spiacevoli eventi". Il coordinatore pertanto, ha sostenuto la Corte di Appello, era assolutamente consapevole della natura dei lavori che la ditta appaltatrice avrebbe dovuto eseguire "in quota" e della peculiare pericolosità degli stessi e non aveva provveduto a verificare l'applicazione delle disposizioni del piano operativo di sicurezza elaborato dalla ditta stessa con opportune azioni di effettivo controllo e non aveva neanche valutata la specifica proposta avanzata dall’impresa diretta a migliorare la sicurezza in cantiere, proprio con riferimento alle lastre traslucide poste sul tetto del capannone.
Quindi, ha sostenuto la Corte di Appello nella sua sentenza di conferma della condanna, se il coordinatore fosse intervenuto sui luoghi verificando l'assenza dei dispositivi di sicurezza sia individuali (cinture di sicurezza con bretelle collegate a dispositivi di trattenuta) che collettivi, (come, ad esempio, la predisposizione di reti di protezione in corrispondenza delle lastre traslucide), l'evento non si sarebbe verificato. La stessa Corte non ha altresì condivisa l’osservazione difensiva del coordinatore secondo cui il ruolo ricoperto da questa figura non impone un obbligo di presenza costante in cantiere, in quanto, in base alle norme di riferimento, grava certamente sullo stesso l'obbligo di verificare, con opportune azioni di coordinamento e controllo, l'applicazione da parte delle imprese esecutrici delle disposizioni di loro pertinenza contenute nel piano di sicurezza, nonché la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro, obblighi da intendersi necessariamente connessi a chi conduce effettivamente il cantiere. Quanto al rilievo dell'appellante che ha prospettata l'abnormità della condotta dell'operaio infortunato per essersi questi portato sul tetto del capannone mentre avrebbe dovuto invece lavorare restando all'interno di un cestello elevatore presente in cantiere, la Corte di Appello non ha condiviso tale tesi in quanto dalle indagini è emerso chiaramente che il lavoratore non avrebbe potuto eseguire talune operazioni se non portandosi sulla copertura zincata del capannone abbandonando il cestello stesso.
Per quanto riguarda poi le motivazioni della difesa del rappresentante legale della impresa appaltatrice la Corte di Appello ha semplicemente fatto osservare che dal piano operativo per la sicurezza redatto dalla stessa ditta risultava che era stata prevista, in relazione all'esecuzione di lavori di dismissioni della copertura del capannone, la presenza, in relazione alla possibilità di caduta dall'alto, di andatoie e parapetti, prescrivendosi anche l'adozione di cinture di sicurezza con fune di trattenuta vincolata ad elementi stabili del fabbricato, precauzione questa risultata assente in cantiere
Il ricorso e le decisioni della Corte di Cassazione.
Entrambi gli imputati hanno fatto ricorso alla Corte di Cassazione riproponendo sostanzialmente le tesi difensive già sottoposte al vaglio dei giudici di merito. Nel ricorso il coordinatore ha sostenuto, fra l’altro, che solo il datore di lavoro sarebbe titolare del potere gerarchico nei confronti dei lavoratori impegnati nel cantiere con l'obbligo di individuare i rischi e prevenirli mentre al coordinatore spetterebbe principalmente la verifica circa il rispetto delle regole dettate dal piano di sicurezza e di coordinamento, senza alcun obbligo di una sua continua e giornaliera presenza in cantiere ed ha sostenuto, altresì, che non vi sarebbe nesso di causalità fra la sua condotta e l’evento infortunistico essendo questo esclusivamente riconducibile alla condotta colposa del datore di lavoro ed alla improvvisa ed autonoma iniziativa del lavoratore. L’ impresa appaltatrice dal canto suo ha sostenuto che i lavori ad essa appaltati non erano da eseguirsi in quota ma solo esclusivamente a terra essendo stati i lavori di copertura affidati dal committente ad altra impresa.
Entrambi i ricorsi degli imputati sono stati rigettati dalla suprema Corte che ha pertanto confermata la loro condanna. Nel far ciò la Sez. IV ha formulato delle osservazioni e delle considerazioni per quanto riguarda la figura del coordinatore. “In tema di infortuni sul lavoro”, ha sostenuto la stessa, “il coordinatore per la progettazione, ai sensi del Decreto Legislativo n. 494 del 1996, articolo 4 ha essenzialmente il compito di redigere il piano di sicurezza e coordinamento (PSC), che contiene l'individuazione, l'analisi e la valutazione dei rischi, e le conseguenti procedure, apprestamenti ed attrezzature per tutta la durata dei lavori; diversamente, il coordinatore per l'esecuzione dei lavori, ai sensi dell'articolo 5 stesso Decreto Legislativo, ha i compiti: (a) di verificare, con opportune azioni di coordinamento e di controllo, l'applicazione delle disposizioni del piano di sicurezza; (b) di verificare l'idoneità del piano operativo di sicurezza (POS), piano complementare di dettaglio del PSC, che deve essere redatto da ciascuna impresa presente nel cantiere; (c) di adeguare il piano di sicurezza in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, di vigilare sul rispetto del piano stesso e sospendere, in caso di pericolo grave ed imminente, le singole lavorazioni”. “Trattasi di figure” ha proseguito la suprema Corte, “le cui posizioni di garanzia non si sovrappongono a quelle degli altri soggetti responsabili nel campo della sicurezza sul lavoro, ma ad esse si affiancano per realizzare, attraverso la valorizzazione di una figura unitaria con compiti di coordinamento e controllo, la massima garanzia dell'incolumità dei lavoratori”.
La Sez. IV ha altresì citate le conclusioni alle quali la stessa Corte di Cassazione è pervenuta nell’esaminare un altro caso in cui il coordinamento per la progettazione e per l’esecuzione veniva fatto dalla stessa figura professionale. In un caso nel quale l'imputato rivestiva entrambe le qualifiche, ha fatto presente la Sez. IV, la stessa Corte “ha ritenuto che le giustificabili lacune del piano di sicurezza redatto in qualità di coordinatore per la progettazione avrebbero dovuto essere colmate attraverso una concreta e puntuale azione di controllo, che competeva allo stesso imputato in qualità di coordinatore per esecuzione, e la cui omissione comportava la sua responsabilità in ordine al sinistro verificatosi" (Sez. 4, n. 18472 del 04/03/2008 dep. 08/05/2008). Anche la Corte suprema quindi, allineandosi a quella di Appello, ha affermato che non vi è alcun dubbio sul nesso di causalità tra il mancato controllo del coordinatore e l'evento, stante l'inosservanza di ogni intervento cautelare finalizzato ad evitare il verificarsi dell’infortunio mortale e l’assenza di dispositivi di protezione individuali e collettivi contro il rischio di caduta dall'alto, la cui predisposizione era stata prevista dal piano di sicurezza della ditta e che, se esistenti, avrebbero impedito l'evento.
Circa l’osservazione più volte fatta in merito al comportamento anomalo del lavoratore che avrebbe provveduto autonomamente a salire sulla copertura del capannone, la Sez. IV ha fatto osservare che “la normativa antinfortunistica mira a salvaguardare l'incolumità del lavoratore non solo dai rischi derivanti da incidenti o fatalità, ma anche da quelli che possono scaturire dalla sue stesse disattenzioni, imprudenze o disubbidienze alle istruzioni o prassi raccomandate, purché connesse allo svolgimento dell'attività lavorativa” ed ancora che “è stato affermato dalla giurisprudenza consolidata di questa Corte il condivisibile principio giuridico che, in caso di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale esclusiva può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondursi anche alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare il rischio di siffatto comportamento”.
In merito poi alle affermazioni fatte dal coordinatore circa l’obbligo di controllo delle operazioni poste a carico esclusivo del datore di lavoro e le funzioni poste a carico della figura del coordinatore stesso che non vuole essere una duplicazione di quella del datore di lavoro o del responsabile delle imprese appaltatrici ma trova una sua ragione d’essere ed un proprio ruolo in caso di compresenza di più soggetti che operano nello stesso cantiere e per cui si rende necessario il suo coordinamento, la suprema Corte ha tenuto a precisare che proprio tale azione è risultata mancante nel caso in esame. La Sez. IV ha quindi proseguito richiamando, a proposito, un consolidato indirizzo interpretativo affermatosi nella giurisprudenza di legittimità nell’ipotesi in cui si riscontri la presenza di una pluralità di garanti. “Se più sono i titolari della posizione di garanziaod obbligo di impedire l'evento”, ha quindi concluso la Sez. IV, “ciascuno è, per intero, destinatario di quell'obbligo, con la conseguenza che, se è possibile che determinati interventi siano eseguiti da uno dei garanti, è, però, doveroso per l'altro o per gli altri garanti, dai quali ci si aspetta la stessa condotta, accertarsi che il primo sia effettivamente e adeguatamente intervenuto. Se uno dei garanti è intervenuto e l'altro o gli altri, resi edotti dell'intervento e del tipo di intervento, hanno le capacità tecniche per rendersi conto dei limiti, delle insufficienze di quell'intervento, gli stessi non hanno il diritto di confidare nell'efficacia di quel precedente intervento, anche se effettuato da chi aveva specifiche capacità tecniche, sicché versano in colpa se confidano nello stesso".
Per quanto riguarda, infine, la posizione del datore di lavoro e la sua affermazione di avere informato e formato adeguatamente i propri lavoratori dipendenti sui rischi presenti in cantiere e sulla necessità di utilizzare i dispositivi di protezione individuali, la Sez. IV ha avuto modo di ribadire quanto già affermato in precedenza in occasione di altre sentenze e cioè che il datore di lavoro deve effettuare un controllo continuo e pressante per imporre che i lavoratori rispettino le norme di sicurezza ed adottino le misure in esse previste. “Il datore di lavoro”, ha così concluso la suprema Corte, ”deve avere la cultura e la forma mentis del garante del bene costituzionalmente rilevante costituito dalla integrità del lavoratore, e non deve perciò limitarsi ad informare i lavoratori sulle norme antinfortunistiche previste, ma deve attivarsi e controllare sino alla pedanteria, che tali norme siano assimilate dai lavoratori nella ordinaria prassi di lavoro”.
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