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I limiti di responsabilità fra lavoratori e datori di lavoro
Commento a cura di G. Porreca.
Si ritiene importante questa sentenza della Corte di Cassazione penale e fondamentale per determinare i limiti di corresponsabilità dei lavoratori con il datore di lavoro nel caso di un infortunio collegato ad una loro condotta che, benché non potesse essere considerata abnorme, travalichi la mera esecuzione dei lavori affidati. Dalla Corte suprema, infatti, così come poche volte è stato fatto in precedenza, è stato ritenuto sussistere un concorso di colpa del lavoratore nel caso in cui questi tenga una condotta non conforme alle istruzioni ricevute o nel caso che abbia volutamente trasgredito le disposizioni del datore di lavoro o abbia ancora adottato di sua iniziativa modalità pericolose nella esecuzione dei lavori affidatigli. In tali casi, sostiene la Corte di Cassazione, pur non potendo essere considerato il comportamento del lavoratore abnorme perché prevedibile e rientrante nelle sue mansioni e pur in presenza di una condotta colposa dei soggetti che devono gestire la sicurezza, non può certamente essere escluso il suo concorso di responsabilità considerato che gli obblighi di prevenzione gravano anche sul lavoratore stesso. Si tratta solo, secondo la Corte di Cassazione, di stabilire i limiti della responsabilità concorrente.
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Il caso e l’iter giudiziario.
Il caso riguarda un infortunio mortale accaduto in un cantiere edile nel quale un lavoratore, mentre operava su di un ponteggio, è caduto dall’alto nello spazio lasciato vuoto fra il ponteggio stesso, risultato privo di parapetto e di tavola fermapiede, ed un castelletto situati su piani diversi ed installati per i lavori di rifacimento di una facciata nel mentre cercava di passare dall’uno all’altro. Il Tribunale per l’accaduto ha condannato il coordinatore in fase di esecuzione nonché il datore di lavoro alle pene ritenute di giustizia per il delitto di omicidio colposo in danno del lavoratore, deceduto a seguito dell’infortunio, mentre ha assolto con la stessa sentenza il direttore dei lavori.
La Corte di Appello ha solo parzialmente confermata la sentenza di primo grado assolvendo il coordinatore con la formula "perché il fatto non costituisce reato" e confermando invece la penale responsabilità del datore di lavoro ma ha individuata l'esistenza, ai fini dell'azione civile, di un concorso di colpa della persona offesa pari al 45%. Secondo la stessa Corte, infatti, l’infortunato si era spostato dal ponteggio al castelletto per eseguire lavori di rifinitura costituiti da ritocchi del frontalino del balcone del piano superiore e questa attività faceva parte di quella che il suo datore di lavoro aveva avuto in subappalto e rientrava perciò fra le mansioni assegnate alla vittima stessa per cui il datore di lavoro doveva essere ritenuto in colpa perché aveva consentito che il suo dipendente operasse in una situazione di assenza di misure di prevenzione anche se la condotta della persona offesa era da ritenere gravemente imprudente per cui l'affermato concorso di colpa. La Corte di merito ha invece ritenuto di escludere la colpa del coordinatore, pur riconfermando l'esistenza della sua posizione di garanzia, in quanto nella circostanza, avendo l'appaltante sospeso i lavori e avendo dopo questa sospensione iniziato lo smontaggio del ponteggio, non era emersa la prova che lo stesso coordinatore fosse stato informato della ripresa dei lavori.
Il ricorso in Cassazione e le decisioni della Suprema Corte.
Contro la sentenza della Corte di Appello hanno proposto ricorso sia il datore di lavoro che le parti civili. Il primo ha sostenuto che il lavoratore infortunato nella circostanza stava operando per conto dell’appaltante i cui dipendenti dovevano eseguire l’incarico di ritoccare i frontalini ed ha lamentato, altresì, che la Corte di Appello non avesse ritenuta abnorme la condotta del lavoratore. Le parti civili, dal canto loro, hanno riscontrato un vizio di motivazione nella sentenza con riferimento al riconosciuto concorso di colpa della vittima nella dinamica dell'incidente sostenendo che nell'imprudenza o nella negligenza del lavoratore infortunato non potesse individuarsi un concorso di colpa, essendo l'evento riconducibile alla mancanza o insufficienza delle cautele antinfortunistiche.
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal datore di lavoro ed ha confermata la sua condanna avendo ritenute del tutto generiche le censure in merito alla asserita esistenza di una condotta abnorme del lavoratore infortunato e alla esistenza di una dipendenza funzionale e operativa della ditta appaltatrice rispetto a quella appaltante. La stessa Corte ha invece annullata la sentenza impugnata limitatamente al concorso di colpa avendo ritenuto fondato il motivo di ricorso delle parti civili che avevano censurato la sentenza della Corte d'Appello, nella parte in cui, modificando sul punto quella di primo grado, aveva ritenuto l'esistenza di un concorso di colpa del lavoratore infortunato pari al quarantacinque per cento.
“Ai fini penali”, ha fatto presente in merito la Sez. IV, “il concorso di colpa della persona offesa può avere rilievo sulla determinazione della pena (ai sensi dell'articolo 133 c.p.p., comma 1, n. 3) ma nel caso in esame l’entità della pena (peraltro applicata nel minimo) non aveva formato oggetto del ricorso dell'imputato”. Per quanto riguarda invece il risarcimento del danno cagionato dall'imputato la suprema Corte ha poi precisato che “il concorso di colpa del lavoratore non è ipotizzabile in ogni caso in cui egli abbia tenuto, nell'esecuzione dei compiti assegnatigli, una condotta colposa che abbia avuto efficienza causale sull'evento dannoso verificatosi in suo danno”. “La funzione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro”, ha quindi proseguito la Sez. IV, “non è infatti solo quella di evitare condizioni e modalità produttive pericolose per la salute del lavoratore sulle quali il medesimo non può interferire (per es. le esposizioni nocive nei luoghi di lavoro o situazioni insidiose non conoscibili dal dipendente) ma molto spesso anche quella di evitare le conseguenze degli errori commessi dai lavoratori e dovuti alle più svariate ragioni (inesperienza, negligenza, eccessiva sicurezza, disattenzione ecc.)”.
La Sez. IV ha precisato ancora che “non appare dunque giuridicamente configurabile un concorso di colpa del lavoratore nel caso di violazione, da parte di altre persone, di norme espressamente dirette a prevenire proprio le conseguenze di tali comportamenti colposi del lavoratore. Non v'è concorso di colpa se il lavoratore che presta la sua attività in altezza - e non è stato munito delle cinture di sicurezza - pone un piede in fallo per disattenzione; o nel caso in cui, sempre per disattenzione (quindi per una condotta negligente) viene a contatto con un meccanismo in movimento non protetto e in tutti i casi consimili nei quali la funzione della regola cautelare è diretta a prevenire proprio le conseguenze di tali condotte negligenti (o anche imprudenti o imperite)”.”In tutti questi casi”, prosegue la suprema Corte, “la norma di prevenzione è stata formata proprio con l'ulteriore finalità di evitare le conseguenze delle condotte negligenti o imprudenti dei lavoratori; condotte che dunque non possono avere efficacia parzialmente scusante, sia pure ai soli fini civilistici, su chi era tenuto a garantire la sicurezza. E ciò anche se il lavoratore abbia acconsentito a prestare la sua attività in situazione di pericolo, in considerazione dell'indisponibilità del diritto alla salute”.
Comunque, pur annullando la sentenza della Corte di Appello con la quale era stato riconosciuto il concorso di colpa da parte del lavoratore, la Corte di Cassazione ha formulato delle considerazioni interessanti ed utili per determinare i limiti della corresponsabilità fra i lavoratori ed il datore di lavoro. Secondo la stessa, infatti, “ poiché gli obblighi di prevenzione gravano anche sui lavoratori (Decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, articolo 6; Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, articolo 20) il concorso di colpa del lavoratore, pur in presenza di una condotta colposa dei soggetti che dovevano garantirne la sicurezza, non può certamente essere escluso. Si tratta dunque di stabilire i limiti di questa responsabilità concorrente e questi limiti possono essere individuati nei casi in cui ci si trovi in presenza non solo di una condotta negligente o imprudente del lavoratore che, pur non potendo essere considerata abnorme (perché prevedibile e rientrante nelle sue mansioni), consenta di affermare che questi abbia travalicato dalla mera esecuzione delle mansioni affidategli” e cita in merito degli esempi quali “i casi in cui l'infortunato abbia volontariamente trasgredito alle disposizioni del datore di lavoro, o abbia adottato di sua iniziativa modalità pericolose di esecuzione del lavoro. In tali casi potrà affermarsi, ai fini civilistici che interessano, l'eventuale suo concorso di colpa”.
Sulla base delle considerazioni appena svolte e riferendosi, invece, al caso in esame la Sezione IV ha fatto osservare in conclusione che, secondo quanto accertato dal giudice di merito, “il lavoratore si è limitato ad eseguire il compito affidatogli scegliendo una modalità pericolosa per raggiungere il punto nel quale poteva operare per la pitturazione dei frontalini” e che quindi “non era dunque ipotizzabile una colpa del lavoratore che non aveva l'obbligo di osservare una specifica disposizione impartitagli dal datore di lavoro e, tanto meno, di predisporre le misure di prevenzione ma quello di osservare le cautele predisposte dal datore di lavoro il quale, nel caso in esame, per quanto si è detto in precedenza, non aveva a tale obbligo adempiuto. Né può dirsi che il lavoratore abbia trasgredito alle disposizioni impartitegli perché egli si è limitato, e ciò non è da alcuno contestato, ad eseguire i compiti assegnatigli con le modalità prescritte”.
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