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I metodi di indagine per l’analisi dei rischi chimici occupazionali

Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Medico competente

08/07/2011

Il contenuto delle relazioni al 73° Congresso SIMLII in merito ai criteri e metodologie per la valutazione del rischio chimico. La pluralità di metodologie, l’analisi del processo correlata alla mansione, i principi di precauzione e ragionevolezza.

 
Roma, 8 Lug – Il 73° Congresso Nazionale SIMLII, dal titolo “La Medicina del Lavoro quale elemento migliorativo per la tutela e sicurezza del Lavoratore e delle attività dell’Impresa”, ha affrontato alcuni temi molto importanti per la sicurezza dei lavoratori e il ruolo dei medici del lavoro.
Negli articoli passati abbiamo presentato interventi - pubblicati nel primo supplemento del numero di ottobre/dicembre 2010 del Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia – dedicati all’esposizione a radiazioni ottiche artificiali, ai dispositivi di protezione individuale, al rischio biologico e ai problemi dell’ obesità nei lavoratori.
 
Con questo articolo iniziamo la presentazione degli interventi raccolti nella sezione dal titolo “ Criteri e metodologie per la valutazione del rischio chimico”.
 
In “Aspetti metodologici e normativi per l’analisi dei Rischi Chimici Occupazionali” - a cura di G. Gino (Consiglio Direttivo AIDII, Studio Sirt Milano) – si sottolinea come negli ultimi anni l’attenzione dei “professionisti OHS” (Occupational Health and Safety) “sembra essersi concentrata sugli aspetti gestionali (formativi e organizzativi inclusi), quali fattori di salute e sicurezza”. Tuttavia l’introduzione di nuovi e potenti strumenti di prevenzione e protezione non può “far arretrare, neanche in ipotesi, la preminenza degli aspetti valutativi e di analisi di rischio”. Infatti “l’individuazione esaustiva e corretta dei pericoli e, conseguentemente, dei rischi e danni potenziali, è presupposto imprescindibile e ‘sottostante’ a qualunque modello di gestione per la minimizzazione degli stessi”.
 
Se “per l’igienista occupazionale la metodologia di approccio nell’individuazione dei rischi derivanti dall’impiego di ‘ agenti’, è sempre stata di grande importanza”, l’impegno imposto dal Legislatore europeo di valutare tutti i rischi per la salute e la sicurezza rende “più confacente il riferimento ad una pluralità di ‘metodologie’.
Una ricerca così ampia può essere sviluppata solo coniugando efficacia ed efficienza in una materia che, a fronte di una a volte non banale complessità, richiede necessariamente di pervenire a conclusioni operative concrete”.
E – continua l’autore – “la criticità del passaggio non può essere sottovalutata perché ne possono conseguire scelte e responsabilità penalmente rilevanti (e a volte anche civili), ma anche, e ancora prima, etiche e sociali”.
 
L’intervento indica che l’analisi del processo produttivo ed organizzativo correlata alle mansioni è il “fondamento per l’identificazione dei pericoli e dei conseguenti rischi, pre-condizione per l’adozione di idonee misure precauzionali e protettive”.
Un approccio metodologicamente corretto per la valutazione dei rischi chimici non può prescindere dall’analisi dei processi produttivi ed organizzativi specifici, “esaminando le mansioni da incrociare con tutte le caratteristiche chimicofisico- tossicologiche delle sostanze”. 
 
In una realtà così complessa è inevitabile che “non si sia consolidato un unico insieme condiviso di metodologie ‘corrette’ ed anzi è con ogni ragionevolezza inutile, e forse sbagliato, ipotizzare che vi sia un percorso standard che possa fungere da pietra di paragone”.
In realtà  i metodi di indagine “devono risultare consoni agli obiettivi inizialmente pre-fissati ed in grado di conseguire i risultati affidabili con le risorse adeguate alle necessità della situazione da verificare messe a disposizione e non, come spesso accade, viceversa”.


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Per le non poche situazioni in cui una “risposta certa non c’è (o meglio ancora non c’è) e in cui i dati scientifici non consentono una quantificazione del rischio con sufficiente certezza, è necessario declinare i metodi classici con lo spesso citato principio di precauzione o di cautela”.
Tale ricorso al principio “si iscrive nel quadro generale dell’analisi del rischio (che comprende, oltre alla valutazione del rischio, la gestione e la comunicazione del rischio) e più particolarmente nel segmento della gestione del rischio che, al termine del processo di valutazione, richiede scelte e l’assunzione di decisioni che porteranno a due soli esiti: Agire (adottare misure preventive e/o integrative) / Non agire (usuali buone prassi)”.
E la “risposta dipende da una decisione politica, che è funzione del livello di rischio considerato come accettabile dagli attori che devono assumere il rischio individuato.
Questo principio, spesso impropriamente citato a supporto di interpretazioni negative ‘estreme’, non dev’essere disgiunto dall’associato ‘principio di ragionevolezza’”.
A questo proposito l’autore sottolinea che in Italia il dibattito sui criteri di accettazione del rischio “appare insufficiente, viziato troppo spesso dalla scarsa competenza e dall’assenza di un serio confronto”. E “la facile affermazione ‘il rischio non deve esistere’ nasconde spesso il comportamento ‘allora è meglio non vederlo’. Oppure si confonde il concetto di moderato, prima, ed ora, ancor più, di irrilevante, con ‘accettabile’, mentre sembra quasi un tabù valutare e gestire rischi non irrilevanti ma proprio per questo ‘adeguatamente controllati’”.
 
Riguardo allo sviluppo della valutazione, l’autore ricorda che la valutazione di tutti i rischi derivanti da agenti chimici pericolosi per la sicurezza e la salute è da sviluppare in “tre fasi successive:
- preventiva (art. 223 c. 6 TU/81);
- a regime, con verifica dell’efficacia delle misure adottate e dei livelli di esposizione (art.
 223 c. 1 e 225 c. 2 TU/81);
- periodica, con i risultati della sorveglianza sanitaria intrapresa e i dati aggiornati [art.
 223 c. 7 TU/81)”.
E nei tre distinti momenti si hanno “crescenti gradi di conoscenza sul processo e sulle mansioni”.
 
Rimandiamo il lettore alla lettura integrale del documento agli atti pubblicato, ad esempio in relazione:
- al “passaggio” dal processo ai rischi: “partire dall’analisi del processo significa esaminarlo dall’ingresso dei chimici ‘ai limiti di batteria’ dell’attività fino al rilascio del prodotto e dei sottoprodotti all’esterno di questi limiti (intera azienda/ singola lavorazione), tenendo conto delle mansioni e dei task svolti per ogni sotto-fase. Questo studio è preliminare in ordine di tempo ma centrale rispetto alla valutazione dei rischi”;
- ai rischi per la sicurezza e la salute: la “partizione dei rischi”, introdotta anche nel Decreto legislativo 81/2008, fra ‘sicurezza’ e ‘salute’ ha “punti di confine non univoci e variabili in funzione della definizione che si adotta”.
 
Può essere utile per i nostri lettori riportare un elenco di strumenti per l’individuazione dei rischi,  di tecniche di analisi, “consolidatesi inizialmente in diversi settori, che possono essere utilmente impiegate nell’individuazione dei rischi chimici”:
– l’analisi storica;
– le liste di controllo, check list;
– il metodo cosa succede se, what if;
– l’analisi di operabilità, HAZ-OP;
-  l’analisi delle barriere di protezione (LOPA);
-  l’analisi dei modi guasto del sistema, FMEA;
-  l’albero dei guasti o degli eventi, fault tree / event tree;
-  l’analisi degli errori umani, HRA;
-  i metodi indicizzati (cui si affiancano gli strumenti di verifica a posteriori quali  il monitoraggio ambientale, il monitoraggio biologico, …).
 
In particolare l’autore si sofferma:
- sull’analisi storica, “uno strumento poco o parzialmente utilizzato nelle valutazioni di rischio ‘convenzionale’”;
- sull’analisi del worst-case: “l’individuazione ed analisi del peggior caso ragionevolmente possibile a stretto rigore non è un metodo di valutazione ma un uno short-cut che consente di stabilire l’ordine di grandezza di un incidente possibile o escluderne la pericolosità”.
 
Dunque – conclude l’autore – “la previsione normativa di valutare tutti i rischi per i lavoratori derivanti dall’impiego di agenti chimici, impone un lavoro rigoroso ed in grado di utilizzare in modo efficace e efficiente un mix di strumenti, per giungere a risultati che garantiscano le migliori condizioni di ‘controllo’”.
E “l’impegno di risorse quali-quantitativamente inadeguate o la ricerca di scorciatoie può determinare non solo una non conformità alle previsioni normative ma gravi carenze per la sicurezza e la salute dei lavoratori”.
 
Non bisogna dimenticare che “una buona valutazione del rischio è più conveniente ed al contempo efficace dell’installazione di misure precauzionali generiche, ‘a buon senso’ (o casuali) che possono rivelarsi inefficaci e/o costose”.
Inoltre “dall’utilizzo appropriato delle diverse tecniche di valutazione possono emergere interessanti sinergie e seri programmi di miglioramento delle condizioni di lavoro valorizzando sinergicamente le risorse utilizzate”.
   
 
 
Criteri e metodologie per la valutazione del rischio chimico”, raccolta di relazioni di G. Gino, D. Cottica, E. Grignani, M.C. Aprea, G. Nano, G. Sciarra, D. Cardelli, S. Giglioli, S. Luni, C. Nanni, M. Ridoni, L. Lucietto, A. Giomarelli, M. Fantacci, E. Marianelli che si sono tenute al 73° Congresso Nazionale SIMLII “La Medicina del Lavoro quale elemento migliorativo per la tutela e sicurezza del Lavoratore e delle attività dell’Impresa”, pubblicate in Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia, Volume XXXII n°4/suppl.1, ottobre/dicembre 2010 (formato PDF, 310 kB).
 
 
Tiziano Menduto


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