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Il medico competente: criticità attuali e prospettive future
Pubblichiamo un articolo sul ruolo e la professione del medico competente oggetto di una relazione all'ultimo congresso SIMLII (Società italiana di medicina del lavoro e igiene industriale) tenutosi a Roma nel dicembre 2010 e pubblicato su il " Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia".
L’attività professionale del medico competente: criticità attuali e prospettive future
Di E. Ramistella e A. Maviglia, medici del lavoro competenti
Introduzione
La vastità è l’ampiezza dell’argomento in trattazione, per le numerose e complesse implicazioni di carattere pratico e operativo connesse, richiederebbe sicuramente grande spazio a disposizione al fine di poter sviscerare al meglio ogni singolo aspetto.
E questo, ancor più, in considerazione dei contenuti del D.Lgs. 81/08, già modificato e integrato dal D.Lgs. 106/09 (impropriamente definito “ Testo Unico”), che definire “nuovo” a poco più di due anni dall’entrata in vigore sembrerebbe anacronistico, sia pure per motivi cronologici e non sostanziali.
Le numerose incertezze e interpretazioni da parte degli organi di vigilanza, riguardanti sia la forma che il merito di attuazione di taluni obblighi, le interpretazioni di alcune disposizioni, a volte le più diverse per specifici aspetti, le rigidità applicative di alcuni articoli, rendono l’argomento nel suo complesso molto interessante e vasto, non solo e non esclusivamente per i medici competenti.
Nell’esaminare i vari punti presi in considerazione nella presente relazione si sono voluti approfondire gli aspetti più critici delle concrete realtà professionali vissute quotidianamente dai medici competenti nel nostro paese; ci si scusa sin d’ora per il tono apparentemente polemico che taluni passaggi potranno rivestire.
L’identità del medico competente oggi
Chissà se l’anonimo Legislatore, nell’ormai lontano 1956, avrebbe immaginato quale “fortuna” - e quale dibattito - avrebbe avuto quella dizione di “ medico competente”, indicata all’articolo 33 del famoso (oggi abrogato) DPR n. 303 del 1956? Eppure quella generica indicazione, che voleva sottolineare che l’allora medico di fabbrica (chiamiamolo così) non poteva essere un medico qualunque, ma doveva possedere una certa “competenza” - sia pure non specificata - ha resistito nel nostro paese per lungo tempo, nonostante la successiva istituzione di cattedre e di scuole di specializzazione in Medicina del Lavoro e discipline affini (medicina preventiva dei lavoratori, igiene e tossicologia industriale etc.).
Tralasciando alcune definizioni particolari e parziali dovute a normative intercorrenti (come ad esempio il DPR 1124/65 o il decreto sul Cloruro di Vinile Monomero), occorre giungere al D.Lgs. 277/91, che peraltro introdusse la prima sanatoria per esercitare le funzioni di medico competente, e poi al D.Lgs. 626/94 per colmare questa lacuna, fissando i titoli per l’attribuzione della “competenza”.
In tempi più recenti il Legislatore, con il D.Lgs. 81/08, ha ribadito concettualmente la definizione precedente, ma poco tempo dopo, introducendo il D.Lgs. 106/09, ha pensato bene di riproporre una ennesima, differente, definizione.
Quindi, in sostanza, chi è oggi il medico competente?
L’articolo 38 del D.Lgs. 81/08 (titoli e requisiti del medico competente), modificato dal D.Lgs. 106/09, lo identifica e definisce formalmente nel seguente modo:
a) medico specialista in Medicina del Lavoro (o specializzazioni affini);
b) medico docente universitario di Medicina del Lavoro o discipline affini;
c) medici autorizzati ai sensi dell’articolo 55 del D.Lgs. 15 agosto 1991, n. 277;
d) medico specialista in Igiene e medicina preventiva o in Medicina Legale e delle Assicurazioni (con alcune, precise, limitazioni);
e) medico delle Forze armate, che abbia svolto l’attività di medico nel settore del lavoro per almeno quattro anni.
Il Legislatore, quindi, in un percorso storico che risulta difficilmente comprensibile, nel corso degli anni ha perseguito pervicacemente una politica che ha condotto all’ampliamento dei titoli e dei requisiti abilitanti per lo svolgimento delle funzioni del medico competente, invece di sottolineare e ribadire l’importanza della qualificazione professionale degli stessi professionisti mirando, nel contempo, alla semplificazione normativa delle procedure per lo svolgimento della stessa attività.
Tale approccio avrebbe consentito di ottenere un numero adeguato, non eccessivo, di medici del lavoro “competenti”, altamente preparati e qualificati, in grado di rispondere a tutte le istanze provenienti da un mondo del lavoro in continua evoluzione e trasformazione.
Invece, oggi, il risultato è una sorta di perdita di identità.
Le scelte politiche compiute negli anni scorsi hanno condotto a una pletora di medici competenti (l’Italia, con circa 11.000 unità, è uno dei paesi dell’Unione Europea con più alto numero di tali professionisti), provenienti da percorsi formativi e da esperienze lavorative disparate e disomogenee, creando le premesse per una serie di situazioni di difficile gestione.
Tale condizione, oggi piuttosto evidente, costituisce anche il risultato della distorsione creata nel rapporto tra “domanda e offerta” (o, per meglio dire, tra “richiesta e disponibilità”) di medici competenti e le conseguenze possono essere elencate come segue:
- Eccessivo numero di medici abilitati a svolgere le funzioni di medico competente;
- Differente preparazione e formazione specifica, in considerazione dei differenti percorsi formativi (e delle varie “sanatorie” occorse negli anni);
- Modus operandi fortemente differenziati e frammentati nelle varie realtà territoriali nell’approccio alle varie problematiche professionali;
- Difficoltà da parte degli Organi di Vigilanza nell’avere una controparte coerente e significativamente omogenea;
- Livellamento verso il basso delle tariffe delle varie prestazioni professionali;
- Inevitabile abbassamento della qualità delle prestazioni professionali del MC;
- Fiorire di pratiche deprecabili (ad esempio gare al ribasso);
- Condizione di debolezza contrattuale e professionale del singolo medico competente, soprattutto neo-specialista, nei confronti del singolo datore di lavoro e, soprattutto, dei cosiddetti centri di servizi.
In tal modo la dignità professionale dei medici specialisti in Medicina del Lavoro è stata indubbiamente (e fortemente) ridimensionata.
La formazione del medico competente (o, meglio, il suo deficit di formazione)
Probabilmente pochi paesi al mondo, soprattutto nell’ambito dell’occidente industrializzato, possono vantare una situazione per la quale professionisti medici con determinati percorsi formativi specialistici sono abilitati dalla legge a esercitare le funzioni di colleghi che hanno seguito un percorso formativo ben differente; e - si badi - non solo differente nella forma, cioè nella definizione dello stesso corso di specializzazione, ma soprattutto nella forma mentis e negli stessi contenuti (sarebbe interessante registrare le reazioni dei notai se si consentisse a tutti gli avvocati, con esperienza di quattro anni in campo civilistico, di svolgere anche le funzioni notarili). Questa è una delle cause del deficit formativo del “medico competente”, in linea generale.
Esemplare è la vicenda relativa al ruolo dei sanitari delle Forze armate (compresa l’Arma dei carabinieri, della Polizia di Stato e della Guardia di finanza) che, avendo svolto l’attività di nel settore del lavoro per almeno quattro anni sono diventati ope legis “medici competenti” a tutti gli effetti.
Ovviamente senza alcun risentimento nei confronti di questi colleghi, è arduo comprendere la logica secondo la quale aver svolto un ruolo professionale “nel settore del lavoro” di strutture pubbliche per un certo lasso di tempo possa essere ritenuto sufficiente per svolgere la complessa attività di medico competente.
Appare evidente come tale percorso possa essere fortemente carente, perché misconosce le complessità di numerose tematiche specifiche relative ai disparati ambienti di lavoro (basti ricordare il rischio chimico, cancerogeno, mutageno; il rischio biologico; la valutazione dello stress lavoro-correlato, etc.).
Analoga la condizione, contenuta nel citato articolo 38 del D.Lgs. 81/08, in materia di percorsi formativi universitari obbligatori validi solo per i “nuovi” medici specializzati in Igiene e Medicina preventiva e in Medicina Legale e delle Assicurazioni.
Infatti i “vecchi” colleghi igienisti e medici legali, che avevano fino a quel momento esercitato l’attività di medico competente (anche solo per un anno) hanno avuto la possibilità di vedere confermato il loro ruolo (anche qui nessuna acrimonia personale nei confronti di questi colleghi, peraltro orientati verso altre attività professionali per loro più congeniali).
A questo proposito è opportuno sottolineare che i colleghi igienisti e medici legali seguono nei rispettivi corsi di specializzazione percorsi formativi molto differenti da quelli seguiti dagli specialisti in medicina del lavoro.
Nei loro programmi non è previsto alcun approfondimento dei rischi presenti nei luoghi di lavoro e dei loro effetti sulla salute, non è contemplato lo studio delle patologie professionali né viene sviluppata la competenza clinica richiesta per eseguire la sorveglianza sanitaria ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica.
Ciò nonostante, in molti casi è prevalente il carattere accademico della formazione universitaria specialistica anche in Medicina del Lavoro; solo negli ultimi anni (e purtroppo non in tutte le sedi universitarie) si sta rapidamente raggiungendo l’evoluzione normativa e moderna dello stesso mondo del lavoro.
Nelle condizioni descritte, l’attuale eterogeneo e variegato mondo dei “medici competenti”, dal punto di vista formativo, si presenta carente e bisognoso di interventi urgenti.
Probabilmente in questa direzione potrebbe migliorare la situazione il recente progetto didattico mirante alla creazione di un’area complessiva di “Sanità pubblica” che include le specializzazioni in Igiene e Medicina Preventiva, Medicina Aeronautica e Spaziale, Medicina del Lavoro, Medicina Legale e Statistica Sanitaria.
Si tratta di un “corso unico” di tipo specialistico con un tronco comune (biennio) e una successiva ulteriore scelta in relazione alla specializzazione finale (triennio), auspicando che i vari settori siano adeguatamente specificati e rinnovati.
La “scarsa autorevolezza” del medico competente sui luoghi di lavoro e nei confronti del datore di lavoro
Per molti anni, diciamo a partire dal DPR 303/56 fino agli anni ‘90, il medico competente era chiamato essenzialmente a valutare una generica idoneità al lavoro, spesso avulsa da considerazioni specifiche legate alla conoscenza diretta dell’ambiente di lavoro e, soprattutto, in assenza di dati certi sui livelli di esposizione ai vari fattori di rischio nella “presunzione” della esposizione al rischio derivante dalla stessa norma giuridica (si rammenti la famosa tabella allegata all’art. 33 del DPR 303/56).
A partire dal 1991, inizialmente solo per piombo, rumore e amianto e successivamente in modo esteso agli altri vari rischi lavorativi nell’excursus normativo ben noto, si è giunti a individuare una attività di sorveglianza sanitaria ben più complessa e articolata, fortemente ancorata alla valutazione dei reali e specifici livelli espositivi (purtroppo ancora esclusivamente nei casi previsti dalla normativa vigente).
A rendere ancor più complessa l’attuale posizione del medico competente alcune recenti novità normative hanno inserito nuove problematiche, spesso multidisciplinari, fra cui si ricordano gli accertamenti per l’assenza di alcol-dipendenza e di assunzione di sostanze psicotrope e stupefacenti per mansioni individuate, la sorveglianza sanitaria dei lavoratori atipici, la valutazione del rischio da stress lavoro-correlato etc., Il medico competente, stretto nella morsa tra l’attuale complesso quadro normativo (con il conseguente apparato sanzionatorio) e le numerose criticità già rammentate in precedenza, vede materializzarsi con sempre maggiore evidenza una sua “scarsa autorevolezza” sui luoghi di lavoro e - soprattutto - nei confronti del datore di lavoro.
La diretta dipendenza economica da parte del committente può condurre, nei fatti, al conseguente scarso (o nullo) potere contrattuale sul luogo di lavoro, che si manifesta nella assenza di alcun potere decisionale e nella residuale possibilità di incidere realmente sulle problematiche di salute e sicurezza dei lavoratori.
Si è inoltre assistito, negli ultimi anni, a tentativi sempre più pressanti delle varie figure tecniche della sicurezza, (in particolar modo degli RSPP, di invadere il campo squisitamente medico, con tentativi di appropriazione - nelle medie e grandi aziende - talvolta anche degli spazi fisici destinati alle infermerie e agli uffici del medico competente).
Gravi sono stati i tentativi di ingerenze nel merito, fino ad arrivare alla pretesa - più o meno velata - di decidere se, quando e in quali casi attivare la sorveglianza sanitaria e addirittura, in alcuni casi (per fortuna ancora limitati) con l’assurda pretesa di avere voce in capitolo nella predisposizione del piano sanitario, il cosiddetto “protocollo sanitario” delle visite e degli accertamenti preventivi e periodici.
A fronte di simili episodi, forse tipici solo delle grandi aziende e che spesso fanno seguito alla autorevolezza e alla professionalità del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, si sono registrati analoghi episodi di conflittualità all’interno di strutture della Pubblica Amministrazione, sanitari e non.
A tal proposito possono essere citate situazioni in cui al medico competente è stato richiesto di essere inserito nel servizio di prevenzione e protezione, con subordinazione (anche gerarchica) al RSPP o, addirittura, con la qualifica di addetto al servizio.
D’altra parte è arduo sostenere come il medico competente possa avere maggiore autorevolezza sul luogo di lavoro, anche se culturalmente attrezzato, aggiornato, professionalmente preparato e scrupoloso nel lavoro quotidiano, quando risulti ricattabile economicamente.
In questo senso orienta anche la spinta al ribasso della tariffe sanitarie, in seguito al cosiddetto “decreto Bersani” che ha abolito le tariffe minime per tutte le professioni, rendendo così qualunque medico competente facilmente sostituibile da altri colleghi o anche dalle proposte di alcuni cosiddetti “centri servizi” che offrono pacchetti tutto compreso a costi molto contenuti, anche se di discutibile qualità complessiva.
Spesso gli stessi rapporti con i colleghi degli Organi di Vigilanza sono difficili, qualora non “conflittuali”, in quanto il medico competente è tenuto a far fronte ad un carico burocratico eccessivo e sostenuto da un apparato sanzionatorio che in alcuni casi può apparire vessatorio.
Alcune volte, inoltre, i medici del lavoro dei servizi delle aziende sanitarie locali si pongono come “coordinatori” dell’attività dei medici competenti del territorio, cosa che può essere di aiuto ma anche creare frizioni e difficoltà.
Prospettive future
Con un quadro dipinto a tinte così fosche nei paragrafi precedenti, parlare ottimisticamente di prospettive future potrebbe sembrare paradossale; d’altra parte, come già anticipato, si è voluto mantenere uno sguardo obiettivo nei confronti della realtà, senza nascondersi dietro considerazioni di facciata o superficiali.
Consapevoli che in molte situazioni è difficile - se non impossibile - tornare indietro, è opportuno formulare alcune ipotesi di lavoro sulla possibile evoluzione della condizione per ridare autorevolezza, maggiore dignità e una nuova professionalità alla figura del “medico competente”, come oggi tratteggiata.
Di seguito, in modo necessariamente sintetico, vengono elencate alcune iniziative che potrebbero andare nella giusta direzione.
Innanzitutto appare fondamentale prevedere apposite modifiche della normativa vigente che consentano al medico competente di dedicare la totalità del suo tempo alle attività sanitarie, riducendo al minimo possibile l’adempimento di quei formalismi burocratici che nulla aggiungono alla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.
La ripetuta sovrapposizione di leggi, decreti applicativi, intese Stato-Regione e altre simili disposizioni ha condotto a una devastante sensazione di incertezza e finisce per rendere difficile anche il lavoro quotidiano.
Molte sono le proposte venute in questi ultimi anni, da parte della SIMLII e di altre società scientifiche e professionali del settore, per cui non è necessario dilungarsi in questa sede; si rammenta solo l’importanza di quella modifica legislativa che consentirebbe esplicitamente l’attivazione della sorveglianza sanitaria, a valle della valutazione dei rischi e in tutti i casi necessari (non solo in quelli previsti dalla legge) su motivato parere del medico competente, che potrebbe così arricchire ulteriormente il suo importante contributo alla stessa valutazione dei rischi.
Altra interessante modifica potrebbe essere quella relativa alle modalità di svolgimento del ruolo di medico competente, modificando il comma 2 dell’articolo 39 del D.Lgs. 81/08 (nello specifico della lettera a), eliminando - semplicemente le parole “o privata”).
Ciò, tra l’altro, consentirebbe ai centri di servizi di concentrarsi sulla difficile attività di valutazione tecnica dei rischi.
Probabilmente sarebbe opportuno modificare anche il comma 3 dell’articolo 38 in tema di ECM, eliminando il vincolo del 70% dei crediti nella disciplina specifica, in quanto l’approccio multidisciplinare oggi richiesto dalle numerose problematiche emergenti negli ambienti di lavoro va proprio nella direzione opposta.
Infine, sarebbe interessante valutare una possibilità ancora più ambiziosa, cioè la creazione di una sorta di “Agenzia nazionale dei medici competenti”.
Una simile struttura potrebbe facilmente accogliere i vari professionisti abilitati (presenti, tra l’altro, nell’elenco nazionale dei medici competenti) e mantenere tariffe uniformi su tutto il territorio nazionale, garantendo nel contempo il rispetto della professionalità e dell’aggiornamento degli stessi medici e incrementandone l’autorevolezza nell’ambito dei vari luoghi di lavoro.
Si tratta, come è ovvio, di un importante rinnovamento della figura e del ruolo del medico competente, a fronte di una visione condivisa e di una azione congiunta da parte di tutti i protagonisti della prevenzione (lavoratori, sindacati, organizzazioni datoriali, organismi tecnici e di controllo etc.).
Sono spunti da approfondire e discutere fino in fondo, per migliorare la professionalità di tutti e con l’auspicio di poter finalmente esercitare la nostra attività professionale con serenità e nella consapevolezza di continuare a lavorare per la tutela e la promozione della salute di tutti i lavoratori.
Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.
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Rispondi Autore: Giovanni - likes: 0 | 28/03/2011 (18:43:02) |
Conosco tanti madici competenti bravi e responsabili, ma ancor di più tantissimi i quali mai si recano mai sui luoghi di lavoro per le previste visite obbligatorie ecc. . Spero che anche per tale categoria escludendo quelli responsabili il probblema non diventi business delle sole visite mediche lautamente pagate . Non me ne vogliate ma la lamentera non è generalizzata . Ciao a tutti R. G. |