Il rischio chimico in edilizia: i DPI per le vie respiratorie
Nei precedenti articoli abbiamo affrontato i riferimenti normativi vigenti al rischio chimico, i rischi per la salute e la sicurezza, la valutazione del rischio e abbiamo dato indicazioni su alcuni dispositivi di protezione individuale: gli indumenti, gli occhiali, i guanti e le calzature.
Continuiamo parlando dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie.
Il manuale indica che quando, “nonostante il ricorso a misure tecniche di prevenzione, come gli impianti di aspirazione o ventilazione e i sistemi di contenimento, o a misure, metodi o procedimenti di riorganizzazione del lavoro, il livello d’inquinamento non può essere contenuto a sufficienza, occorre utilizzare i dispositivi di protezione delle vie respiratorie idonei alla situazione contemplata e assicurarne l’adeguato uso, attraverso l’indispensabile formazione teorica e pratica, la manutenzione e l’immagazzinamento”. E l’inquinamento è “eliminato o ridotto a sufficienza quando dalla valutazione dei rischi, quello chimico risulta irrilevante per la salute”.
I dispositivi di protezione delle vie respiratorie (maschere) – con riferimento alla norma UNI EN 529:2006 che ha sostituito la norma UNI 10720:1998 – si distinguono essenzialmente in due categorie:
- “dispositivi filtranti (o respiratori a filtro), in grado di trattenere le sostanze inquinanti presenti nell’ambiente;
- respiratori (isolanti), in grado di rendere indipendente l’utilizzatore dall’ambiente inquinato”.
Il loro funzionamento consiste nel “filtrare l’aria inquinata o nel fornire aria respirabile da una sorgente alternativa all’aria pericolosa dell’ambiente di lavoro”. L’aria respirabile “raggiunge l’utilizzatore tramite un boccaglio (nel caso di respiratore), un quarto di maschera (copre naso e bocca), una semimaschera (copre naso, bocca e mento), una maschera intera (copre l’intero volto), un casco (elmetto), un cappuccio, un giubbotto o una tuta (questi ultimi con elmetto o cappuccio incorporati)”.
Dopo questa introduzione sui DPI respiratori, il manuale si sofferma sui criteri di scelta.
È evidente che la scelta di un dispositivo idoneo dovrebbe essere intrapresa dopo una corretta valutazione dei rischi e tener conto dell’adeguatezza e dell’idoneità del DPI.
Un dispositivo di protezione delle vie respiratorie “si può considerare adeguato se è in grado di ridurre a un livello accettabile l’esposizione del portatore a un rischio (esempio: soddisfare i valori limite di esposizione professionale)”. È invece idoneo se è marcato CE, adeguato, compatibile (con l’ambiente, l’attività, il portatore e altri DPI utilizzati), in buone condizioni di funzionamento.
Inoltre la scelta del tipo di respiratore deve essere fatta in “relazione al tipo di attività svolta”, alla “qualità e quantità dell’agente inquinante presente” e ai VLE, valori limite, “stabiliti dalla norma o, in assenza, dagli elenchi di organizzazioni scientifiche riconosciute (come la SCOEL e l’ACGIH)”. Bisogna poi tener conto anche di molti altri fattori (fatica e durata dell’attività, durata di filtri e riserve, libertà di movimento, campo visivo, comunicazione orale, necessità di proteggere occhi e viso,…).
Dopo aver affrontato l’identificazione qualitativa e quantitativa degli inquinanti, la perdita verso l’interno della maschera (quantità di aria inquinata che penetra all’interno del respiratore) e i fattori di protezione assegnati (o operativi), il documento si sofferma sui limiti per l’utilizzo.
Ad esempio è possibile utilizzare un dispositivo filtrante nei seguenti casi:
- “quantità di ossigeno nell’aria superiore al 17% di volume (in genere? i fabbricanti di dispositivi di protezione delle vie respiratorie sconsigliano l’uso del filtro in presenza di ossigeno inferiore al 19,5-20 %);
- inquinante conosciuto;
- concentrazioni degli inquinanti inferiore alla capacità filtrante del respiratore a filtro (dispositivo filtrante)”.
Fuori da questi casi è necessario utilizzare un respiratore (isolante). Inoltre “l’uso di un dispositivo filtrante è sconsigliato in presenza di gas e di vapori inodori o con soglia olfattiva superiore al loro valore limite di esposizione, perché è possibile, essere esposti a concentrazioni pericolose d’inquinante quando la capacità filtrante del dispositivo si esaurisce, senza che l’utilizzatore lo possa percepire”.
Vi rimandiamo alla lettura del documento originale che, oltre a contenere chiare tabelle relative alle tipologie di DPI delle vie respiratorie, di filtri e ai fattori di protezione, descrive in modo esauriente caratteristiche e problematiche d’utilizzo dei diversi dispositivi di protezione delle vie respiratorie: quarto di maschera (facciale filtrante), semimaschera filtrante, maschera intera filtrante, elettrorespiratore con maschera intera, elettrorespiratore con casco, respiratore a presa d’aria esterna non assistito, respiratore a presa d’aria esterna assistito manualmente e respiratore a presa d’aria esterna assistito con motore.
Ad esempio riguardo agli elettrorespiratori a maschera intera il manuale ricorda che questi apparecchi “sono costituiti da un facciale (maschera intera) e da un elettroventilatore, che fornisce all’interno del facciale l’aria filtrata e da uno o più filtri antipolvere. Possono avere anche la semimaschera o il quarto di maschera anziché la maschera intera”.
In questi DPI “la batteria per il ventilatore è generalmente trasportata dallo stesso utilizzatore. L’aria espirata e quella in eccesso passa direttamente nell’ambiente tramite le valvole di espirazione. Questo tipo di respiratore può essere indossato per un periodo prolungato: la batteria carica deve durare almeno 4 ore. I filtri antipolvere sono di tipo TMP1, TMP2 e TMP3”.
Concludiamo ricordando che il lavoratore che “per la prima volta utilizza un dispositivo di protezione delle vie respiratorie deve ricevere un’informazione, una formazione teorica e un addestramento all’uso”.? È inoltre opportuno che “tale attività formativa sia ripetuta a intervalli regolari in base alla complessità del dispositivo e alla frequenza d’uso”.
Il manuale si sofferma sui contenuti della formazione e dell’addestramento e sull’importanza che l’attività formativa sia eseguita da persone competenti.
A eccezione dei dispositivi monouso, le norme richiedono che anche la manutenzione dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie sia eseguita da persone competenti: “tutte le attività manutentive devono essere compiute nel rispetto delle indicazioni del fabbricante”.
Se poi il dispositivo “non è utilizzato in maniera personale, il datore di lavoro deve garantire che il dispositivo sia adeguatamente pulito e disinfettato. I dispositivi di protezione delle vie respiratorie dopo ogni impiego, esclusi i respiratori monouso, devono essere ispezionati, puliti, disinfettati e predisposti per l’uso successivo”.
Infine il manuale indica che “il datore di lavoro è tenuto a fornire una sistemazione idonea per l’immagazzinamento dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie”. Anche l’immagazzinamento “deve essere eseguito seguendo le istruzioni fornite dal fabbricante”.
In particolare è “opportuno che l’immagazzinamento avvenga in appositi locali e/o contenitori, dove sia garantita la protezione da polvere, umidità, calore, freddo, raggi solari o da sostanze” in grado di danneggiare i DPI.
CPT di Torino e Provincia, INAIL Piemonte:
- Capitolo 10 : Il rischio chimico (formato PDF, 639 kB);
- La valutazione dei rischi nelle costruzioni edili, l’intero manuale (formato ZIP, 19.5 MB);
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