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Il ruolo della protezione attiva nella sicurezza antincendio
Il ruolo della protezione attiva nella sicurezza antincendio: grande opportunità ma anche fonte di nuove responsabilità per progettisti, installatori e gestori.
A cura dell’Ing. Luciano Nigro – Comitato tecnico Aias prevenzione incendi - Vice presidente della Commissione protezione attiva dell’UNI.
La sicurezza contro l’incendio delle attività umane in genere è il risultato di un insieme di misure organizzative, strutturali ed impiantistiche che, opportunamente combinate, producono come risultato il cosiddetto livello di sicurezza “ottimale” ovvero riducono il rischio collegato all’incendio ad un livello minimo “accettabile”.
Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un progressivo “riposizionamento” del sistema di cui sopra verso un progressivo affermarsi dei sistemi di protezione attiva, quei sistemi cioè cui si attribuisce una capacità di azione positiva nei confronti dell’incendio con la funzione quantomeno di rilevarne l’insorgere, ma molto più frequentemente di svolgere un’azione di contrasto diretto con lo spegnimento dell’incendio stesso od almeno il suo controllo efficace.
Questo si potrebbe dire è avvenuto “a discapito” dei più tradizionali criteri di sicurezza antincendio basati sulla capacità delle strutture di resistere all’azione dell’incendio per tempi più o meno lunghi, tali comunque da consentire l’efficace intervento delle squadre di soccorso esterne, e sulle compartimentazioni destinate ad evitare la propagazione dell’incendio stesso alle aree non direttamente interessate.
Il maggior uso dei sistemi di protezione attiva ha trovato una sua motivazione più nella libertà di fruizione delle opere e nella possibilità di eseguire opere impensabili con i criteri più tradizionali, che nella economicità. Infatti non necessariamente costa meno proteggere con sistemi di controllo dell’incendio un vasto edificio industriale o commerciale, rispetto alla sua realizzazione con strutture caratterizzate da una resistenza al fuoco predeterminata e comunque paragonabile, nel caso delle lavorazioni o delle attività commerciali, al carico d’incendio presente nell’edificio stesso. Il fatto è che difficilmente si potrebbero realizzare con i criteri “passati” edifici di grandissime dimensioni ovvero edifici di altezza e “luce libera” considerevole, e soprattutto edifici nei quali si possa muoversi liberamente godendo anche della visibilità dei grandi spazi oltre che della possibilità di movimentazione cui oggi difficilmente si può rinunciare.
Gruppo di pompaggio antincendio di grandi dimensioni
È un dato di fatto che ormai nessuno penserebbe alla realizzazione di opere quali un magazzino intensivo di grandi dimensioni, un centro commerciale, un edificio di altezza superiore ad alcune decine di metri, senza pensare alla protezione dell’opera mediante un impianto automatico ad acqua di tipo sprinkler o simile.
Eppure, come direbbero alcuni, non è neanche prescritto da alcuna norma di prevenzione incendi!
Vuol dire che la coscienza della necessità di prevedere una protezione automatica di alcune tipologie di “pericolo” che non possono essere facilmente controllate con mezzi manuali, è ormai entrata nella mentalità e nella prassi quotidiana, a prescindere dagli obblighi di legge spesso presi ad alibi per la mancata realizzazione di opere che il solo buon senso indurrebbe viceversa a prevedere.
È un segno evidente che la cultura stessa della prevenzione incendi sta cambiano e che anche il nostro paese, grazie al ruolo svolto fin qui dal Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, ma anche all’attenzione che i grandi gruppi multinazionali hanno dedicato al problema della protezione contro l’incendio, si sta finalmente allineando almeno al resto dell’Europa continentale, se non proprio al mondo anglosassone che ancora ci distanzia per una bella lunghezza!
E che dire poi della protezione degli edifici storici, dove la semplice idea di porre in opera interventi di carattere strutturale fa irrigidire in maniera drammatica gli addetti alla conservazione, che malamente tollerano, o meglio non tollerano affatto che si pensi di intervenire con qualcosa di poco più che invisibile sulle loro opere. Ecco che anche in questi contesti i sistemi di protezione attiva, magari i più raffinati e “nascosti” stanno facendo la differenza rispetto ad interventi tradizionali non realizzabili.
Un moderno impianto water mist nascosto fra le decorazioni di un edificio storico
A supportare questo sviluppo che potremmo quasi definire tumultuoso per la tecnologia dei sistemi di protezione attiva è stata chiamata nel recente passato, la normazione tecnica applicabile, nel caso dei sistemi di protezione attiva contro l’incendio, sia alla componentistica utilizzata, con il procedimento di marcatura CE dei componenti principali dei sistemi ormai giunto alla piena maturazione, sia soprattutto al procedimento di progettazione ed installazione prima, ed alla gestione e manutenzione una volta che il sistema è stato realizzato.
Praticamente tutti i sistemi di protezione attiva oggi utilizzati sono coperti da una norma tecnica nazionale od europea, ed anche la loro manutenzione è regolata da norme tecniche costantemente aggiornate dai gruppi di lavoro competenti nell’ambito della cosiddetta Commissione Protezione Attiva dell’UNI.
Non solo quindi i sistemi automatici a pioggia (sprinkler) hanno trovato una loro normazione europea, con la EN 12845 che nella II versione, di prossima pubblicazione, raggiungerà un buon livello di maturazione, ma allo stesso modo hanno trovato una standardizzazione avanzata i sistemi di estinzione a gas (EN 15004), i sistemi a polvere (EN 12416), i sistemi ad acqua-schiuma (EN 13565), i sistemi water mist (TS 14972), i sistemi water spray (TS 14816) ed i sistemi che utilizzano estinguenti in forma di aerosol (TR 15276). Per quei sistemi per i quali l’Europa non ha trovato un accordo di normalizzazione comune sono rimaste applicabili le standardizzazioni nazionali dei sistemi di rivelazione d’incendio (UNI 9795), dei sistemi di controllo del fumo e del calore (UNI 9494) e primi fra tutti dei sistemi ad idranti (UNI 10779).
Almeno da un punto di vista normativo non vi è alcun dubbio, oggigiorno, su come debba essere realizzato un sistema di protezione attiva “a regola d’arte”, sebbene la cultura tecnica nel settore sia ancora lontana dalla piena diffusione fra gli operatori tutti. A fianco di una formazione tecnica praticamente “esaustiva” vi è una situazione legislativa altrettanto chiara e netta: la pubblicazione nel 2008 del DM 37 da parte del Ministero dello Sviluppo Economico, che impone a progettisti ed installatori la progettazione e l’installazione “ a regola d’arte” e che ha attribuito, come ormai è prassi, la presunzione di conformità alla regola dell’arte ai sistemi realizzati in conformità alle norme tecniche, ha in un certo qual modo “chiuso il cerchio” fra la formazione tecnica e la realizzazione pratica dei sistemi.
Per quanto concerne poi la gestione, vi è anche una completa copertura dell’attività da parte delle norme tecniche sulla manutenzione dei sistemi di protezione attiva, in parte pubblicate nell’ambito stesso delle norme di sistema, in parte pubblicate come norme specifiche, ed anche qui esiste sostanziale chiarezza sulle operazioni da fare per una corretta gestione e manutenzione, mentre manca ogni qualsivoglia riferimento sulla qualifica degli operatori che sono abilitati all’esecuzione delle suddette operazioni.
Si potrebbe quindi affermare che la situazione sia fra le più rosee, e che i sistemi di protezione attiva nel nostro paese vengano realizzati a regola d’arte nella gran parte dei casi. Invece non è così e sono almeno due le ragioni per cui questo accade: non è prevista alcuna entità, funzione o figura professionale che debba prendersi la responsabilità di rivedere ed approvare ognuna delle installazioni fatte, né in sede di progettazione, né in sede di realizzazione; non è previsto alcun collaudo formale delle installazioni fatte.
Il primo punto ci pone al di fuori del contesto della stragrande maggioranza dei paesi europei, dove da sempre esistono enti di emanazione statale od assicurativa che hanno il compito di revisionare ed approvare almeno i progetti dei sistemi di protezione attiva, quando non anche le installazioni finite. Il secondo punto fa’ sì che i sistemi installati non siano mai pienamente verificati da persona competente e che quindi rimanga sempre un’area grigia fra la realizzazione del sistema, che viene dichiarata “a regola d’arte” dall’installatore, secondo il DM 37/2008, e l’esercizio del sistema di cui l’installatore non si fa in alcun modo responsabile, scaricandone l’onere sul titolare dell’attività e di conseguenza sugli operatori che nelle varie aziende si occupano a vario titolo di sicurezza.
Questa condizione di incertezza pone il titolare dell’attività in una condizione piuttosto scomoda, soprattutto se si pensa che i sistemi di protezione attiva, a differenza di quelli “tradizionali” basati sulla resistenza al fuoco di strutture portanti e separanti, hanno un elevato grado di criticità affidabilistica. Sono cioè tali da poter produrre effetti “straordinari” se perfettamente funzionanti, oppure del tutto nulli se anche uno solo dei fattori di funzionalità viene meno! Una struttura resistente al fuoco 120 minuti, se realizzata in maniera imperfetta, o se gestita in maniera non attenta, potrà perdere una parte della sua capacità di resistenza, ma non certo ridursi a nulla; una porta tagliafuoco che non chiude perfettamente potrà in ogni caso garantire un certo grado di compartimentazione. Ma un impianti di estinzione automatica ad acqua che rimane senz’acqua per il mancato avviamento di una pompa o per la presenza di una valvola di intercettazione chiusa, ovvero un impianto di rivelazione particolarmente sensibile il cui segnale di allarme non raggiunge un luogo presidiato sono degli impianti perfettamente inutili, come se non esistessero.
Il garantire la perfetta funzionalità dei sistemi di protezione attiva installati diventa quindi una funzione di importanza essenziale per poter contare sulle prestazioni per altro spesso straordinarie dei sistemi stessi (si pensi che le prime 3 testine sprinkler che intervengono su un incendio controllano oltre l’85% degli incendi totali accaduti in aree protette con sprinkler!).
Ad oggi nel nostro paese non esiste ancora una tradizione di indagine sul comportamento dei sistemi di protezione attiva a seguito di un incendio; questo tipo di verifica è molto comune invece nei paesi di cultura anglosassone, nei quali non si spende più di tanta energia nel cercar di capire che cosa ha causato un incendio, ma bensì nella ricerca delle cause che ne hanno determinato la propagazione ed il danno conseguente.
Fra questi fattori ovviamente ha un ruolo il sistema di protezione complessivamente adottato ed in particolare gl’impianti di protezione attiva eventualmente installati, e quindi spesso in quei paesi si crea un nesso si causalità fra danno arrecato ed eventuale mancato funzionamento dei sistemi di protezione per il quale possono venir chiamati a rispondere i progettisti, gl’installatori ed i gestori dei sistemi, ciascuno per la propria parte.
Come detto ad oggi questo tipo di cultura non si è ancora affermata nel nostro paese, ma riteniamo che non tarderà a divenire prassi comune a livello di giudizio, stante anche il contenuto degli articoli 22, 23 e 24 del D.lgs. 81/08, inerenti le responsabilità di progettisti ed installatori, e dell’articolo 46 dello stesso provvedimento riguardante l’attività di prevenzione degli incendi.
Per coloro i quali hanno in carico la responsabilità della gestione di uno o più sistemi di protezione attiva installati a protezione di una o più aree dell’insediamento da loro gestito assume particolare rilevanza la disponibilità di tutta la documentazione inerente la realizzazione dei sistemi stessi (progetto e dichiarazione di conformità ove disponibile), la disponibilità di almeno un verbale di collaudo redatto da professionista qualificato secondo le specifiche competenze, da ripetere secondo quanto indicato dalla normativa tecnica di riferimento nel caso il documento non fosse giudicato soddisfacente, nonché la corretta manutenzione del sistema, con le cadenze indicate dalle norme tecniche, e comunque ogni non oltre 6 mesi.
Solo in queste condizioni si può avere ragionevole certezza che i sistemi di protezione attiva installati siano in grado di fronteggiare ogni possibile incendio che possa insorgere nell’are protetta, avendone ragione in maniera efficace e sostanzialmente priva di danni collaterali.
Fonte: Informatore Aias
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