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Cassazione Sezione IV Penale - Sentenza n. 37840 del 25 settembre 2009 - Pres. Brusco – Est. Piccialli – P.M. Montagna - Ric. V. A. e Z. C.
Commento a cura di G. Porreca.
Due gli insegnamenti che discendono dalla lettura di questa sentenza della Corte di Cassazione penale. Uno è che in materia di normativa antinfortunistica l’obbligo dei datori di lavoro di garantire la sicurezza nei luoghi di lavoro si estende a tutti i soggetti che nell’impresa prestano la loro opera, qualunque sia la forma utilizzata per lo svolgimento della stessa, ed indipendentemente dal loro rapporto con il titolare dell’impresa ma anche a coloro che vengono a trovarsi sia pure occasionalmente nei luoghi stessi. Quanto sopra sostenuto deriva, secondo la stessa Corte suprema, dall’applicazione dell’art. 2087 del c.c. che può essere esteso anche a persone estranee all’impresa purché sia ravvisabile il nesso causale fra l’infortunio e le violazioni alle norme di sicurezza sul lavoro. Questo è altresì desumibile e ravvisabile secondo la stessa Corte anche dall’art. 18 comma 1 lettera q) del D. Lgs. 9/4/2008 n. 81, contenente il Testo Unico in materia di salute e di sicurezza sul lavoro, il quale impone al datore di lavoro di “prendere appropriati provvedimenti per evitare che le misure tecniche adottate possano causare rischi per la salute della popolazione o deteriorare l'ambiente esterno verificando periodicamente la perdurante assenza di rischio “. L’altro insegnamento è quello relativo alla posizione di responsabilità di un committente in merito ad un infortunio occorso ad un lavoratore di una ditta appaltatrice allorquando lo stesso si inserisce nella organizzazione della ditta appaltatrice medesima sia fornendo attrezzature che impartendo istruzioni sul lavoro da farsi.
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La Cassazione: la sicurezza a prescindere dal rapporto di lavoro
Cassazione Sezione IV Penale - Sentenza n. 37840 del 25 settembre 2009 - Pres. Brusco – Est. Piccialli – P.M. Montagna - Ric. V. A. e Z. C.
Commento a cura di G. Porreca.
Due gli insegnamenti che discendono dalla lettura di questa sentenza della Corte di Cassazione penale. Uno è che in materia di normativa antinfortunistica l’obbligo dei datori di lavoro di garantire la sicurezza nei luoghi di lavoro si estende a tutti i soggetti che nell’impresa prestano la loro opera, qualunque sia la forma utilizzata per lo svolgimento della stessa, ed indipendentemente dal loro rapporto con il titolare dell’impresa ma anche a coloro che vengono a trovarsi sia pure occasionalmente nei luoghi stessi. Quanto sopra sostenuto deriva, secondo la stessa Corte suprema, dall’applicazione dell’art. 2087 del c.c. che può essere esteso anche a persone estranee all’impresa purché sia ravvisabile il nesso causale fra l’infortunio e le violazioni alle norme di sicurezza sul lavoro. Questo è altresì desumibile e ravvisabile secondo la stessa Corte anche dall’art. 18 comma 1 lettera q) del D. Lgs. 9/4/2008 n. 81, contenente il Testo Unico in materia di salute e di sicurezza sul lavoro, il quale impone al datore di lavoro di “prendere appropriati provvedimenti per evitare che le misure tecniche adottate possano causare rischi per la salute della popolazione o deteriorare l'ambiente esterno verificando periodicamente la perdurante assenza di rischio “. L’altro insegnamento è quello relativo alla posizione di responsabilità di un committente in merito ad un infortunio occorso ad un lavoratore di una ditta appaltatrice allorquando lo stesso si inserisce nella organizzazione della ditta appaltatrice medesima sia fornendo attrezzature che impartendo istruzioni sul lavoro da farsi.
Il caso
Il rappresentante legale di una società committente-appaltante di alcuni lavori di pulitura di un capannone ed il datore di lavoro di una ditta appaltatrice sono stati ritenuti responsabili e condannati, prima dal Tribunale e poi dalla Corte di Appello, per un infortunio sul lavoro occorso ad un lavoratore dipendente della ditta appaltatrice il quale, nel mentre era intento alla pulizia ed alla tinteggiatura di alcuni locali, è caduto da una scala sulla quale si trovava da un’altezza di circa due metri riportando un trauma cranico encefalico con frattura a seguito del quale è derivata una malattia giudicata guaribile in oltre quaranta giorni. Dalle indagini era emerso che il giorno dell’infortunio l’appaltatore aveva accompagnato il lavoratore, cittadino non ancora regolarizzato in Italia né assunto ufficialmente, nel capannone dove poi è successo l’infortunio e che la scala, fornita dal committente il quale aiutava anche il lavoratore nelle sue operazioni, era risultata semplicemente appoggiata ad una trave e priva di tutti i presidi di sicurezza necessari. Ai due imputati veniva attribuita la titolarità della posizione di garanzia in considerazione della palese violazione di quanto previsto dall’art. 19 del D. P. R. 27/4/1955 n. 547 in materia di sicurezza delle scale, e, più in generale, dall’art. 35 comma 1 del D. Lgs. 19/9/1994 n. 626 con riferimento agli obblighi del datore di lavoro di mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature adeguate al lavoro da svolgere ed idonee ai fini della sicurezza sul lavoro.
Il ricorso e le decisioni della Corte di Cassazione
Entrambi gli imputati hanno fatto ricorso alla Corte di Cassazione. Il committente, da parte sua, ha sostenuto la tesi difensiva secondo la quale l’infortunato aveva ottenuto l’incarico di eseguire i lavori di pitturazione proprio il giorno in cui si era verificato l'incidente e che la tinteggiatura del soffitto del capannone era stata una sua iniziativa del tutto estemporanea ed imprevedibile in quanto lo stesso avrebbe dovuto svolgere opere di manutenzione e tinteggiatura esclusivamente sulle pareti raggiungibili con il pennello e con il rullo e non già sul soffitto. Secondo lo stesso committente, inoltre, il lavoratore non era caduto dalla scala per inidoneità della scala medesima, che dopo la caduta era stata rinvenuta appoggiata alla parete, ma perché lo stesso era stato colto da malore. L’appaltatore, dal canto suo, ha sostenuto di non aver dato disposizioni all’infortunato di procedere alla pulitura del soffitto ma che le stesse erano state impartite dal coimputato.
I ricorsi sono stati rigettati perché ritenuti entrambi infondati. In merito alle motivazioni addotte dal committente la suprema Corte ha fatto presente che la Corte di Appello aveva già escluso che l'iniziativa di salire sulla scala al fine di tinteggiare il soffitto del capannone fosse stata assunta estemporaneamente ed imprevedibilmente dal lavoratore proprio quel giorno in cui si verificò l'incidente ed ha invece ritenuto che i due imprenditori si fossero accordati perchè il giovane svolgesse le opere di tinteggiatura, iniziate tra l’altro qualche giorno prima dell'infortunio. Lo stesso metteva in evidenza che siffatte conclusioni erano state fondate sulle testimonianze rese sia dalla persona offesa che dall’ispettrice della ASL, intervenuta nella immediatezza dei fatti, nonché sulle dichiarazioni rilasciate dallo stesso imputato in dibattimento. Per quanto riguarda, invece, la posizione dell’appaltatore la Sez. IV ha posto in evidenza che, al di là della esistenza contestata della violazione della normativa in tema di sicurezza delle scale, all'imputato era stato contestato anche di non avere fornito il lavoratore di altre attrezzature adeguate (articolo 35, comma 1 del D. P. R. n. 626/1994), tra le quali certamente rientra il rullo risultato inidoneo a raggiungere l'altezza del soffitto.
Ciò che la Corte di Cassazione ha ritenuto importante al fine di individuare la responsabilità del committente è che “in materia di normativa antinfortunistica l'obbligo del datore di lavoro di garantire la sicurezza nel luogo di lavoro si estende anche ai soggetti che nell'impresa hanno prestato la loro opera, quale che sia stata la forma utilizzata per lo svolgimento della prestazione”. “E' di decisivo rilievo, in proposito”, ha sostenuto la suprema Corte, “il disposto dell'articolo 2087 c.c., in forza del quale, il datore di lavoro, anche al di là delle disposizioni specifiche, è comunque costituito garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale di quanti prestano la loro opera nell'impresa, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi all'obbligo di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo previsto dall'articolo 40 c.p., comma 2”. “Tale obbligo”, ha proseguito la Sez. IV, “è di così ampia portata che non può distinguersi, al riguardo, che si tratti di un lavoratore subordinato, di un soggetto a questi equiparato (cfr. Decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, articolo 3, comma 2) o, anche, di persona estranea all'ambito imprenditoriale, purché sia ravvisabile il nesso causale tra l'infortunio e la violazione della disciplina sugli obblighi di sicurezza”.
“Le norme antinfortunistiche” ha sostenuto ancora la Sez. IV, “non sono dettate soltanto per la tutela dei lavoratori, ossia per eliminare il rischio che i lavoratori possano subire danni nell'esercizio della loro attività, ma sono dettate finanche a tutela dei terzi, cioè di tutti coloro che, per una qualsiasi legittima ragione, accedono là dove vi sono macchine che, se non munite dei presidi antinfortunistici voluti dalla legge, possono essere causa di eventi dannosi. Ciò, tra l'altro, dovendolo desumere dal Decreto Legislativo 19 settembre 1994, n. 626, articolo 4, comma 5, lettera n), che, ponendo la regola di condotta in forza della quale il datore di lavoro ‘prende appropriati provvedimenti per evitare che le misure tecniche adottate possano causare rischi per la salute della popolazione o deteriorare l'ambiente esterno’, dimostra che le disposizioni prevenzionali sono da considerare emanate nell'interesse di tutti, anche degli estranei al rapporto di lavoro, occasionalmente presenti nel medesimo ambiente lavorativo, a prescindere, quindi, da un rapporto di dipendenza diretta con il titolare dell'impresa (cfr. anche, Sezione 4, 24 giugno 2008, Ansalone ed altro)”.
La Sez. IV ha riconosciuto nella circostanza, in particolare, la responsabilità del committente in quanto lo stesso ha consentito l'inizio dei lavori in condizioni di pericolo per la presenza in cantiere di attrezzature non idonee per l'esecuzione dei lavori oltre al fatto di essersi ingerito ed essere intervenuto a dettare istruzioni ed a controllare direttamente l'attività dei lavoratori nell'esecuzione delle opere appaltate di ripulitura e tinteggiatura del capannone in cui si è verificato l'incidente.
La Corte di Cassazione ha ritenuto, infine, infondato il ricorso anche dell’appaltatore in quanto lo stesso nella circostanza aveva assunto una posizione di garanzia nei confronti dell’infortunato per essersi sostanzialmente avvalso della sua prestazione per l'esecuzione del contratto di appalto con il conseguente obbligo di dover provvedere alla tutela dell'integrità fisica del lavoratore. Giustamente, infine, secondo la Sez IV è stato contestato all’appaltatore dai giudici di merito di essersi avvalso per l'esecuzione delle opere oggetto dell’appalto stesso di un lavoratore, pur non regolarmente assunto, senza fornire al medesimo dettagliate informazioni sui rischi specifici e senza collaborare all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dal rischio di incidenti connessi alla esecuzione della sua prestazione.
Corte di Cassazione - Sezione IV Penale - Sentenza n. 37840 del 25 settembre 2009 - Pres. Brusco – Est. Piccialli – P.M. Montagna - Ric. V. A. e Z. C. - Le disposizioni antinfortunistiche devono essere considerate emanate nell’interesse anche di persone occasionalmente presenti nell’ambiente di lavoro ed a prescindere dal rapporto di dipendenza con il titolare dell’impresa.
Il rappresentante legale di una società committente-appaltante di alcuni lavori di pulitura di un capannone ed il datore di lavoro di una ditta appaltatrice sono stati ritenuti responsabili e condannati, prima dal Tribunale e poi dalla Corte di Appello, per un infortunio sul lavoro occorso ad un lavoratore dipendente della ditta appaltatrice il quale, nel mentre era intento alla pulizia ed alla tinteggiatura di alcuni locali, è caduto da una scala sulla quale si trovava da un’altezza di circa due metri riportando un trauma cranico encefalico con frattura a seguito del quale è derivata una malattia giudicata guaribile in oltre quaranta giorni. Dalle indagini era emerso che il giorno dell’infortunio l’appaltatore aveva accompagnato il lavoratore, cittadino non ancora regolarizzato in Italia né assunto ufficialmente, nel capannone dove poi è successo l’infortunio e che la scala, fornita dal committente il quale aiutava anche il lavoratore nelle sue operazioni, era risultata semplicemente appoggiata ad una trave e priva di tutti i presidi di sicurezza necessari. Ai due imputati veniva attribuita la titolarità della posizione di garanzia in considerazione della palese violazione di quanto previsto dall’art. 19 del D. P. R. 27/4/1955 n. 547 in materia di sicurezza delle scale, e, più in generale, dall’art. 35 comma 1 del D. Lgs. 19/9/1994 n. 626 con riferimento agli obblighi del datore di lavoro di mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature adeguate al lavoro da svolgere ed idonee ai fini della sicurezza sul lavoro.
Il ricorso e le decisioni della Corte di Cassazione
Entrambi gli imputati hanno fatto ricorso alla Corte di Cassazione. Il committente, da parte sua, ha sostenuto la tesi difensiva secondo la quale l’infortunato aveva ottenuto l’incarico di eseguire i lavori di pitturazione proprio il giorno in cui si era verificato l'incidente e che la tinteggiatura del soffitto del capannone era stata una sua iniziativa del tutto estemporanea ed imprevedibile in quanto lo stesso avrebbe dovuto svolgere opere di manutenzione e tinteggiatura esclusivamente sulle pareti raggiungibili con il pennello e con il rullo e non già sul soffitto. Secondo lo stesso committente, inoltre, il lavoratore non era caduto dalla scala per inidoneità della scala medesima, che dopo la caduta era stata rinvenuta appoggiata alla parete, ma perché lo stesso era stato colto da malore. L’appaltatore, dal canto suo, ha sostenuto di non aver dato disposizioni all’infortunato di procedere alla pulitura del soffitto ma che le stesse erano state impartite dal coimputato.
I ricorsi sono stati rigettati perché ritenuti entrambi infondati. In merito alle motivazioni addotte dal committente la suprema Corte ha fatto presente che la Corte di Appello aveva già escluso che l'iniziativa di salire sulla scala al fine di tinteggiare il soffitto del capannone fosse stata assunta estemporaneamente ed imprevedibilmente dal lavoratore proprio quel giorno in cui si verificò l'incidente ed ha invece ritenuto che i due imprenditori si fossero accordati perchè il giovane svolgesse le opere di tinteggiatura, iniziate tra l’altro qualche giorno prima dell'infortunio. Lo stesso metteva in evidenza che siffatte conclusioni erano state fondate sulle testimonianze rese sia dalla persona offesa che dall’ispettrice della ASL, intervenuta nella immediatezza dei fatti, nonché sulle dichiarazioni rilasciate dallo stesso imputato in dibattimento. Per quanto riguarda, invece, la posizione dell’appaltatore la Sez. IV ha posto in evidenza che, al di là della esistenza contestata della violazione della normativa in tema di sicurezza delle scale, all'imputato era stato contestato anche di non avere fornito il lavoratore di altre attrezzature adeguate (articolo 35, comma 1 del D. P. R. n. 626/1994), tra le quali certamente rientra il rullo risultato inidoneo a raggiungere l'altezza del soffitto.
Ciò che la Corte di Cassazione ha ritenuto importante al fine di individuare la responsabilità del committente è che “in materia di normativa antinfortunistica l'obbligo del datore di lavoro di garantire la sicurezza nel luogo di lavoro si estende anche ai soggetti che nell'impresa hanno prestato la loro opera, quale che sia stata la forma utilizzata per lo svolgimento della prestazione”. “E' di decisivo rilievo, in proposito”, ha sostenuto la suprema Corte, “il disposto dell'articolo 2087 c.c., in forza del quale, il datore di lavoro, anche al di là delle disposizioni specifiche, è comunque costituito garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale di quanti prestano la loro opera nell'impresa, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi all'obbligo di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo previsto dall'articolo 40 c.p., comma 2”. “Tale obbligo”, ha proseguito la Sez. IV, “è di così ampia portata che non può distinguersi, al riguardo, che si tratti di un lavoratore subordinato, di un soggetto a questi equiparato (cfr. Decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, articolo 3, comma 2) o, anche, di persona estranea all'ambito imprenditoriale, purché sia ravvisabile il nesso causale tra l'infortunio e la violazione della disciplina sugli obblighi di sicurezza”.
“Le norme antinfortunistiche” ha sostenuto ancora la Sez. IV, “non sono dettate soltanto per la tutela dei lavoratori, ossia per eliminare il rischio che i lavoratori possano subire danni nell'esercizio della loro attività, ma sono dettate finanche a tutela dei terzi, cioè di tutti coloro che, per una qualsiasi legittima ragione, accedono là dove vi sono macchine che, se non munite dei presidi antinfortunistici voluti dalla legge, possono essere causa di eventi dannosi. Ciò, tra l'altro, dovendolo desumere dal Decreto Legislativo 19 settembre 1994, n. 626, articolo 4, comma 5, lettera n), che, ponendo la regola di condotta in forza della quale il datore di lavoro ‘prende appropriati provvedimenti per evitare che le misure tecniche adottate possano causare rischi per la salute della popolazione o deteriorare l'ambiente esterno’, dimostra che le disposizioni prevenzionali sono da considerare emanate nell'interesse di tutti, anche degli estranei al rapporto di lavoro, occasionalmente presenti nel medesimo ambiente lavorativo, a prescindere, quindi, da un rapporto di dipendenza diretta con il titolare dell'impresa (cfr. anche, Sezione 4, 24 giugno 2008, Ansalone ed altro)”.
La Sez. IV ha riconosciuto nella circostanza, in particolare, la responsabilità del committente in quanto lo stesso ha consentito l'inizio dei lavori in condizioni di pericolo per la presenza in cantiere di attrezzature non idonee per l'esecuzione dei lavori oltre al fatto di essersi ingerito ed essere intervenuto a dettare istruzioni ed a controllare direttamente l'attività dei lavoratori nell'esecuzione delle opere appaltate di ripulitura e tinteggiatura del capannone in cui si è verificato l'incidente.
La Corte di Cassazione ha ritenuto, infine, infondato il ricorso anche dell’appaltatore in quanto lo stesso nella circostanza aveva assunto una posizione di garanzia nei confronti dell’infortunato per essersi sostanzialmente avvalso della sua prestazione per l'esecuzione del contratto di appalto con il conseguente obbligo di dover provvedere alla tutela dell'integrità fisica del lavoratore. Giustamente, infine, secondo la Sez IV è stato contestato all’appaltatore dai giudici di merito di essersi avvalso per l'esecuzione delle opere oggetto dell’appalto stesso di un lavoratore, pur non regolarmente assunto, senza fornire al medesimo dettagliate informazioni sui rischi specifici e senza collaborare all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dal rischio di incidenti connessi alla esecuzione della sua prestazione.
Corte di Cassazione - Sezione IV Penale - Sentenza n. 37840 del 25 settembre 2009 - Pres. Brusco – Est. Piccialli – P.M. Montagna - Ric. V. A. e Z. C. - Le disposizioni antinfortunistiche devono essere considerate emanate nell’interesse anche di persone occasionalmente presenti nell’ambiente di lavoro ed a prescindere dal rapporto di dipendenza con il titolare dell’impresa.
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