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Per visualizzare questo banner informativo è necessario accettare i cookie della categoria 'Marketing'La Cassazione sulla designazione dei coordinatori nei cantieri
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Commento a cura di G. Porreca (www.porreca.it).
Dalla sentenza può derivare un insegnamento in base al quale quand’anche un artigiano, per la esecuzioni di lavori a lui affidati in appalto, chiami a collaborare un altro artigiano ed eserciti su di esso nella esecuzione dei lavori stessi un azione di controllo, di dominio ed anche di coordinamento, rimane sempre l’obbligo da parte del committente, nei casi in cui questo è richiesto dalle disposizioni di legge, di designare un coordinatore in fase di progettazione e di esecuzione ed è tenuto a programmare i lavori da eseguirsi nonché a controllarli in esecuzione affinché gli stessi vengano eseguiti nella piena sicurezza degli operatori anche se questi, come si è verificato nella circostanza, assumano la veste di lavoratori autonomi.
Discende, altresì, dalla sentenza un utile indirizzo per un pratica e corretta applicazione delle disposizioni del D. Lgs. n. 81/2008 relative all’obbligo da parte del committente previsto dai commi 3 e 4 dell’art. 90 (esonero di cui al comma 11 a parte) di designare le figure dei coordinatori per la sicurezza nei cantieri temporanei o mobili nel caso in cui nel cantiere medesimo operino più imprese o anche solo, come nel caso della sentenza in esame, dei lavoratori autonomi.
In particolare un artigiano, nel corso di alcuni lavori di ripavimentazione di un cortile a lui appaltati dalla proprietaria, veniva travolto dal crollo di una scala, al di sotto della quale si era venuto a trovare, nel mentre questa veniva demolita mediante un escavatore da un altro artigiano chiamato da questi a collaborare. A seguito dell'infortunio la parte offesa riportava lesioni personali gravi.
Il Tribunale prima e poi la Corte di Appello hanno emesso sentenza di condanna nei confronti del committente per il delitto di lesioni colpose ai danni dell’infortunato ravvisando nella condotta dell'imputata elementi di colpa specifica per violazione della normativa antinfortunistica ed in particolare dell’art. 4 comma 1, lettera a), art. 6 comma 2 ed art. 3, comma 4 del D. Lgs. n. 494 del 1996 condannandola alla pena di euro 200,00, di multa e dichiarando estinti per prescrizione i reati contravvenzionali in quanto quale committente e responsabile dei lavori, non verificava l'adempimento degli obblighi di redazione del piano di sicurezza e di coordinamento e designava coordinatore per l'esecuzione dei lavori un tecnico privo dei prescritti requisiti richiesti dall’art. 10 dello stesso D. Lgs. n. 494 del 1996. I Giudici di merito hanno affermato che l'infortunio occorso al lavoratore si era verificato proprio per la mancanza di un coordinamento tra gli interventi di pavimentazione del cortile e quelli di demolizione della scala, lavori inevitabilmente e strettamente connessi tra loro, visto che la scala incombeva sul cortile.
L’imputata ha fatto ricorso alla Corte di Cassazione adducendo a propria difesa che l’artigiano al quale aveva affidato i lavori, rimasto poi vittima dell’infortunio, aveva la gestione del cantiere e la direzione ed il governo dell'unica maestranza ivi presente al momento dell'infortunio, cioè l’artigiano escavatorista da lui stesso incaricato della demolizione della scala ed evidenziando che la Corte di Appello non si era posta la domanda se la caduta della scala fosse stato frutto di un crollo accidentale o di una manovra volontaria e che nessun piano della sicurezza e nessun coordinatore per l'esecuzione avrebbe mai potuto evitare e/o impedire l'evento infortunistico atteso che i due artigiani non operavano l'uno all'insaputa dell'altro, bensì il primo dirigeva e coordinava il secondo ed inoltre che l’infortunato, che aveva assunto proprio lui il compito di demolire la scala, non avrebbe dovuto trovarsi al di sotto della stessa. Il crollo, secondo la ricorrente, era avvenuto nell'ambito di un'attività controllata dal primo artigiano il quale aveva la direzione di tutte le operazioni lavorative, ne conosceva la rilevanza ed aveva anche il coordinamento con il proprio ausiliario.
La Corte di Cassazione ha giudicato infondati i motivi addotti dalla ricorrente ed ha pertanto rigettato il ricorso. La stessa ha preliminarmente ricordato quanto più volte già ribadito dalla stessa Corte in passato e cioè che “l'obbligo di prevenzione si estende agli incidenti che derivino da negligenza, imprudenza e imperizia dell'infortunato, essendo esclusa, la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell'obbligo, solo in presenza di comportamenti che presentino i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo, alle direttive organizzative ricevute e alla comune prudenza” e che “ in ogni caso, nell'ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o dall'inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale venga attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento (confr. Cass. pen. n. 31303 del 2004 cit.)”. Il lavoratore infortunato poi, secondo la Sez. IV, ben sapendo che la stabilità del manufatto da demolire era già fortemente compromessa dal taglio degli ancoraggi all'edificio, nel porsi al di sotto di essa mentre l'escavatorista operava, ha posto in essere incontestabilmente un comportamento imprudente ma ha affermato poi che lo stesso non potesse considerarsi causa simultanea da sola, sufficiente a determinare l'evento ma comunque ha inciso significativamente sulla causazione dello stesso, tant’è che nella circostanza è stato riconosciuto dai giudici il concorso di colpa della parte offesa.
Quindi la suprema Corte ha proseguito affermando che “la mancanza di organizzazione dei lavori, secondo un piano ben preciso, volto a garantire la sicurezza di tutti i lavoratori, ha consentito che quella attività, che per altro richiedeva cognizioni tecniche relative alla stabilità, fosse svolta con molta leggerezza da solo due persone senza una preventiva programmazione” ed ha concluso ribadendo che “se, infatti, il piano di sicurezza fosse stato effettivamente predisposto e la nomina del coordinatore per l'esecuzione dei lavori correttamente e validamente effettuata, ne sarebbe derivata in concreto una precisa organizzazione degli interventi facenti capo alle varie ditte incaricate delle opere da eseguire ed una vigilanza sul coordinamento di tali interventi, come specificamente previsto dal Decreto Legislativo n. 494 del 1996 articolo 5”.
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Rispondi Autore: Nicola Belloni - likes: 0 | 25/03/2009 (17:45) |
Nel caso in esame, 2 lavoratori autonomi operanti all'interno di un edificio privato ad uso abitativo, anche se posso capire che vi sia un "buco" normativo riguardante il coordinamento e la cooperazione, mi sembra inaccettabile che ne debba rispondere, per "sentenza" e "per colpa specifica", il committente ancor più se la stessa colpa riguarda la mancata nomina di CSP / CSE, avrei digerito meglio, (pur sembrandomi nella fattispecie comunque una forzatura anche in virtù del fatto che il secondo lav. aut. è stato chiamato dal primo) la "mancata previsione della durata delle fasi ..." di cui all'art.90 c.1 secondo periodo (che tra l'altro è pure specificatamente sanzionabile) e che sembra meglio calzare con le motivazioni della Corte. Questa sentenza in buona sostanza, mi sembra allucinante e non so, a livello giuridico, quale ritorno comporti sull'intera strutturazione del Titolo IV e, non solo, su gran parte dell' 81. Nicola Belloni |
Rispondi Autore: Daniele Longo - likes: 0 | 15/07/2014 (12:32:40) |
Dissento fortemente da quanto riportato nella sentenza. Più chiarimenti ci sono stati sul fatto che i lavoratori autonomi non sono imprese ed in questo caso una lettura lessicale della norma non prevedeva l'elaborazione del Piano di sicurezza e coordinamento. Se poi vogliamo parlare di opportunità della redazione dello stesso andiamo nella follia pura, in quanto non possiamo applicare la legge quando fa comodo e interpretare la filosofia e lo spirito della legge stessa in altri casi (e viceversa). Come giustamente riportato nel commento precedente avrebbe avuto senso richiedere al committente di attenersi alle misure generali di tutela di cui all'art. 15 evidenziando quella centralità del committente più volte richiamata. Daniele Longo |