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La Cassazione sulla responsabilita' per l'utilizzo di una macchina

Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Datore di lavoro

26/01/2009

La marcatura “CE” non esonera dalle sue responsabilità il datore di lavoro utilizzatore nel caso in cui una macchina non risponda alle norme in materia di sicurezza sul lavoro. A cura di G. Porreca.

Commento a cura di Gerardo Porreca (www.porreca.it).
 
Abbastanza articolata e complessa è questa sentenza della Corte di Cassazione, come del resto il commento che ne è derivato in quanto riguarda la individuazione delle responsabilità per un infortunio sul lavoro occorso nei pressi di una macchina marcata “CE”. Con essa la stessa Corte perviene alla conclusione che tale marcatura CE non mette al riparo il datore di lavoro da responsabilità penali se la macchina stessa, contrariamente da quanto dichiarato dal costruttore, non risponde alle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro. La normativa  di prevenzione degli infortuni prevede, infatti, che il datore di lavoro debba garantire l’incolumità dei dipendenti ed evitare danni a quanti possano venire a contatto anche occasionalmente con elementi di lavorazione pericolosi e sprotetti di macchine sottoposte al suo controllo, né un eventuale concorso di colpa addebitabile al fabbricante della macchina o ad eventuali comportamenti colposi del lavoratore possono escludere il nesso causale tra la condotta del titolare e l’evento lesivo. 
 
È un argomento questo già trattato in passato in numerose sentenze dalla Corte di Cassazione nelle quali la stessa aveva avuto modo di evidenziare quanto sopra indicato. Fra le tante sentenze si cita in particolare la n. 1296 Sez. IV del 13/1/2006, Mollo, secondo la quale la responsabilità del costruttore di una macchina per eventuali carenze di misure di sicurezza non sono sufficienti, specie se queste sono visibili e verificabili con la normale diligenza, ad escludere la responsabilità dell’utilizzatore che è tenuto in ogni caso ad eliminare le fonti di pericolo in essa esistenti, ed ancor prima Cass. Pen. Sez. IV n. 32426 del 4/7/2001, in base alla quale  “già all'atto dell'acquisto il datore di lavoro ha l'obbligo di verificare in concreto la sussistenza dei requisiti di sicurezza provvedendo, se necessario, a dotare il macchinario dei dispositivi di prevenzione dei quali risulti sprovvisto oppure ad integrare quelli già esistenti se questi si presentano in maniera evidente insufficienti” e “né ad esonerare il datore di lavoro da tali obblighi si può invocare, secondo un meccanismo di pedissequa automaticità, la circostanza che la macchina fosse provvista della marcatura CE di cui al D.P.R. n. 459/1996”, ed infine Cass. 21/6/2004 Traversi, Cass. 16/5/2002 Argentieri, Cass. 9/5/2000 D’Urso, Cass. 28/4/2000 Galli e Cass. 24/9/1996 Ieritano in ognuna delle quali è stata individuata la responsabilità dei datori di lavoro per avere messo a disposizione dei propri lavoratori dipendenti macchine che, malgrado fossero marcate CE, presentavano palesi carenze in materia di prevenzione degli infortuni.
 
Il caso di cui alla sentenza all’esame riguarda il legale rappresentante di una società che era stato chiamato a rispondere del reato di cui all'art. 590 commi 2 e 3 c.p. in danno di un lavoratore dipendente che aveva subito un infortunio sul lavoro presso una macchina stabilizzatrice nel corso di alcuni lavori stradali e per colpa consistita nella inosservanza della normativa antinfortunistica ed in particolare dell'art. 68, D.P.R. 27/4/1955 in quanto la macchina stessa presentava un rischio di cesoiamento non risultato protetto. La macchina era costituita da un tamburo di fresatura munito di un elevato numero di utensili da taglio (denti) che, mentre ruota, fresa il materiale della pavimentazione stradale ed aveva come protezione del tamburo un tegolo per evitare che i sassi potessero andare a finire ai lati o nelle altre parti dell'ingranaggio. L’infortunio era accaduto mentre alcuni operai stavano caricando la macchina operatrice su di un rimorchio per essere trasportata altrove ed in particolare per avere il lavoratore infortunato inserito un braccio in una zona pericolosa della stessa nel mentre l’operatore provvedeva, una volta posizionata la macchina sul rimorchio, a calare il tegolo di protezione. L’infortunato riportava il distacco traumatico del braccio destro, poi riattaccatogli con un intervento chirurgico, con conseguente indebolimento permanente della funzionalità del braccio stesso ed incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni.
 
L’imputato veniva assolto dal Tribunale in quanto la macchina operatrice era risultata essere munita della dichiarazione CE di conformità ai requisiti essenziali di sicurezza per cui nessun altro presidio di sicurezza era stato ritenuto necessario a salvaguardia di ulteriori rischi prevedibili, e prevedibile non era stato considerato che un lavoratore potesse, nelle normali condizioni di esercizio, introdurre un braccio sotto il tegolo alzato della macchina, anche perché, per poterlo fare, lo stesso lavoratore avrebbe dovuto sdraiarsi a terra.
 
La Corte di Appello ha successivamente, invece, ritenuto l’imputato responsabile del reato di lesioni colpose aggravate dalla violazione della normativa antinfortunistica, e lo condannava alla pena di mesi uno e giorni dieci di reclusione, con la concessione dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna.  Evidenziava la Corte di Appello che l'infortunio si era verificato perché non erano state rispettate alcune norme di prevenzione degli infortuni e non erano state adottate tutte le procedure di sicurezza indicate dal costruttore e riportate nel libretto di istruzioni, dalla informazione alla formazione del lavoratore, dall’assistenza durante le operazioni avendo la macchina alcune zone non visibili dall’operatore stesso alla verifica che nessuno stazionasse nel raggio di azione della macchina stessa.
 
Il legale rappresentante della società proponeva ricorso alla Corte di Cassazione per una serie di motivazioni fra le quali spicca una richiesta di esonero totale di responsabilità in quanto la macchina oggetto dell’infortunio era fornita di certificazione CE di conformità ed inoltre perché la norma speciale di cui al D.P.R. n. 459/1996 individua nel costruttore e non nell’utilizzatore finale il soggetto competente alla gestione del rischio. L’imputato ha posto altresì in evidenza alla Corte di Cassazione che la stessa ditta costruttrice aveva individuato il pericolo di cesoiamento durante le fasi di sistemazione, ai fini del trasporto, della macchina sul rimorchio e ne aveva fatto anche oggetto di segnalazione all’utente nonché oggetto di un intervento diretto proprio su quella macchina consistito nella installazione di un riparo nella zona di pericolo.
 
La Suprema Corte ha però rigettato il ricorso proposto dall’imputato confermando la sua condanna. In particolare la Sez. Feriale, in merito al richiesto concorso di responsabilità del costruttore  ha condiviso le conclusioni alle quali era pervenuta la Corte di Appello sostenendo che “nel caso di specie, eventuali concorrenti profili colposi addebitabili al fabbricante non elidono certamente il nesso causale tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo in danno del lavoratore” ed ha ribadito altri concetti, anche essi già espressi in precedenza in altre sentenze e cioè che da un lato “la disciplina normativa di cui al citato art. 68 del D.P.R. n. 547 del 1955 - nel prescrivere che in ogni caso ed in qualsiasi fase dell'uso di una macchina, il pericolo derivante dagli organi lavoratori della stessa deve essere rimosso mediante idonei sistemi di protezione, oppure, quando ciò non sia tecnicamente possibile, mediante l'adozione di dispositivi di sicurezza - non lascia comunque alcun margine di discrezionalità in ordine alla necessità di evitare il funzionamento della macchina stessa quando lo stesso costituisca pericolo per il lavoratore addetto (ex multis, Cass. SEZ. IV, n. 4066 del 23.02.1996, rv. 204978; Sez. IV, 30.11.1992, n. 1208” e dall’altro ha ribadito, mediante una affermazione che poggia sul disposto dell'art. 2087 c.c., che “il datore di lavoro deve ispirare la sua condotta alle acquisizioni della migliore scienza ed esperienza per fare in modo che il lavoratore sia posto nelle condizioni di operare con assoluta sicurezza”. “Pertanto”, secondo  la stessa Sez. IV - non sarebbe sufficiente, per mandare esente da responsabilità il datore di lavoro, che non abbia assolto appieno il suddetto obbligo cautelare, neppure che una macchina sia munita degli accorgimenti previsti dalla legge in un certo momento storico, se il processo tecnologico sia cresciuto in modo tale da suggerire ulteriori e più sofisticati presidi per rendere la stessa sempre più sicura (Cass. Sez. IV, 11.12.2007, n. 6280; Sez. IV, 10.11.2005, n. 2382, Minesso; Sez. IV, 26.04. 2000, Maantero ed altri)”. Ribadisce ancora la Corte di Cassazione la affermazione secondo cui è configurabile la responsabilità del datore di lavoro il quale introduce nell'azienda e mette a disposizione del lavoratore una macchina - che per vizi di costruzione possa essere fonte di danno per le persone - senza avere appositamente accertato che il costruttore, e l'eventuale diverso venditore, abbia sottoposto la stessa macchina a tutti i controlli rilevanti per accertarne la resistenza e l'idoneità all'uso, non valendo ad escludere la propria responsabilità la mera dichiarazione di avere fatto affidamento sull'osservanza da parte del costruttore delle regole della migliore tecnica (Cass., Sez. IV, 03.07.2002, Del Bianco Barbacucchia)”.
 
Del tutto inconferente ha ritenuto infine la Suprema Corte il discorso relativo alla certificazione di conformità CE “considerato che, per quanto sopra esposto, la violazione è davvero macroscopica, tanto da sconfinare nella violazione di regole di comune prudenza”. “Il carico della fresa sul rimorchio – conclude la Sezione Feriale -  costituiva operazione delicata e pericolosa sia per la mole e il peso del congegno sia per l'uso di assi da porre sulla rampa di carico (onde evitare il contatto metallo contro metallo) e che potevano per la pressione spostarsi e creare intralcio” e aggiunge che “sarebbe stato quindi doveroso prevedere e disciplinare una procedura di caricamento che tutelasse appieno la incolumità dei lavoratori, se del caso, integrando quella fornita dal manuale”.
 
 
 



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