La Cassazione sulle prescrizioni di igiene del lavoro
Commento a cura di G. Porreca.
La pronuncia contenuta in questa sentenza della Corte di Cassazione si inserisce fra le prime da questa emanate dopo l’entrata in vigore del D. Lgs. 9/4/2008 n. 81, contenente il Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro, sulla individuazione della figura del datore di lavoro nelle pubbliche amministrazioni.
Nella sentenza è stato ribadito dalla suprema Corte che l’obbligo di osservare le norme di prevenzione e sicurezza sul lavoro nelle pubbliche amministrazioni grava, in assenza di una delega, sulle figure collocate al vertice amministrativo e gestionale di tali strutture e possono tuttavia gravare anche su di un funzionario non avente una qualifica dirigenziale qualora lo stesso, ai sensi dell’art. 2 del citato D. Lgs. n. 81/2008, sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale, individuato dall’organo di vertice dell’amministrazione stessa tenendo conto dell’ubicazione e dell’ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l’attività, e lo stesso sia altresì dotato di poteri decisionali e di spesa.
Il caso
Il caso posto questa volta all’esame della Corte di Cassazione riguarda la struttura di una Azienda Unità Sanitaria Locale presso la quale erano state riscontrate delle carenze in materia di igiene del lavoro. In particolare era stata contestata al Commissario Straordinario ed al direttore generale della A.S.L. la violazione dell’art. 7 comma 1 lettera c) del D.P.R. 19/3/1956 n. 303 per aver consentito l’utilizzo di locali della loro amministrazione senza i necessari requisiti di igiene. Citati in giudizio davanti al Tribunale, in composizione monocratica, gli imputati venivano condannati ciascuno, concesse le circostanze attenuanti generiche, alla pena di euro 1.200,00 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali con pena sospesa, per aver in concorso fra loro, in qualità di datore di lavoro e di Commissario Straordinario dell’amministrazione, consentito l’utilizzo dei locali dell’ufficio protocollo senza i necessari requisiti di igiene del lavoro in quanto risultati non ben difesi dall’umidità.
Il ricorso e le decisioni della Corte di Cassazione
Avverso tale sentenza sia il direttore generale che il Commissario Straordinario hanno proposto ricorso per Cassazione sostenendo il primo che nella circostanza non era stata rilevata l’abolitio criminis per effetto della nuova disciplina della materia ad opera del D. Lgs. n. 81/2008 e che inoltre lo stesso aveva cessato dall'incarico di commissario straordinario qualche giorno dopo l'invito alla regolarizzazione ed il secondo sostenendo che non poteva essere considerato "datore di lavoro" in base all’articolo 2, comma 1, lettera b) del D. Lgs. n. 626 del 1994.
La suprema Corte ha rigettato i ricorsi degli imputati per motivi diversi ed ha rilevato che “non c'è abolitio criminis, ma continuità normativa” fra il D.P.R. n. 303/1956 ed il D. Lgs. n. 81/2008. Il primo, infatti, contenente le norme generali per l'igiene del lavoro con l’articolo 7 vietava che fossero adibiti a lavori continuativi i locali chiusi i quali non rispondessero a determinate condizioni tra le quali quella di essere ben asciutti e ben difesi contro l'umidità, divieto questo punito dal successivo articolo 58 con l'ammenda da lire 200.000 a lire 300.000, ed il secondo, il D. Lgs. n. 81/2008, prescrive con l'articolo 63, riguardante i requisiti di salute e di sicurezza dei luoghi di lavoro, con un obbligo sanzionato per gli inadempienti dal successivo articolo 68, che gli stessi luoghi di lavoro devono essere conformi ai requisiti indicati nell'allegato IV dello stesso D. Lgs.che regolamenta i requisiti dei luoghi di lavoro e che al punto 1.3.1. prevede che è vietato adibire a lavori continuativi, a meno che non sia richiesto diversamente da necessità di lavorazione, locali chiusi che non rispondano a determinate condizioni, tra le quali quella (punto 1.3.1.3.) di essere ben asciutti e ben difesi contro l'umidità.
“Quindi”, prosegue la Sez. III, “ c'è piena continuità normativa tra le due prescrizioni suddette: quella del Decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 303, articolo 7, e quella del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 63”. Secondo la suprema Corte, inoltre “il direttore generale della AUSL, essendo collocato al vertice amministrativo e gestionale dell'ente pubblico, è tenuto all'osservanza delle norme di prevenzione e di sicurezza che rientrano nella più ampia nozione di gestione dell'ente”.
“È vero che il Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 64” prosegue la Sez. III, “prevede che il ‘datore di lavoro’ provvede affinché i luoghi di lavoro siano conformi ai requisiti di cui all'articolo 63, commi 1, 2 e 3 (tra cui c'è il requisito della salubrità in questione). Ma a tal fine per ‘datore di lavoro’ negli enti pubblici deve intendersi chi in concreto abbia il potere gestionale sui luoghi di lavoro”. “Nel caso di un'Azienda sanitaria del Servizio Sanitario Nazionale”, ha ribadito la suprema Corte, “questo potere gestionale, in mancanza di alcuna delega, spetta al direttore generale (sull'accentramento di tutti i poteri di gestione, nonché della rappresentanza, al direttore generale, v. Decreto Legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, articolo 3, come modificato dal Decreto Legislativo 7 dicembre 1993, n. 517, articolo 4, lettera d))”.
“Il Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 2 infatti”, conclude la suprema Corte, “prevede espressamente che nelle pubbliche amministrazioni di cui al Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, articolo 1, comma 2, per ‘datore di lavoro’ si intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione. Solo nel caso in cui un funzionario non avente qualifica dirigenziale sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale, individuato dall'organo di vertice delle singole amministrazioni tenendo conto dell'ubicazione e dell'ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l'attività, e dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa, sullo stesso ricadono gli obblighi di prevenzione”.
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