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La prima legge di tutela della salute e sicurezza nel suo contesto sociale

Rocco Vitale

Autore: Rocco Vitale

Categoria: Approfondimento

17/03/2011

Marzo 1898: viene promulgata la Legge n. 80 sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, la prima legge organica che affronta il tema della sicurezza sul lavoro in Italia. Di Rocco Vitale.

Il 17 marzo 1898 viene promulgata la Legge n. 80 [1] sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro. Si tratta della prima legge organica che affronta il tema della sicurezza sul lavoro in Italia.
 
Non erano mancate, nell'Italia pre-unitaria, esperienze legislative di una certa importanza emesse nel Regno di Sardegna e nell'Impero Austro-Ungarico dedicate a temi specifici e particolari come le miniere e le caldaie a vapore.
 
La prima legge emanata dal nuovo stato unitario ebbe vita difficile e complessa. Proposta dal governo non aveva l'adesione della propria maggioranza: solo il voto favorevole dei deputati socialisti, all'opposizione, ne consentì l'approvazione.
Del resto la discussione parlamentare andava avanti da circa 20 anni, dal momento della presentazione della prima proposta di legge. Non approvarla significava non avere nessuna legge e pertanto l'adesione, non totale ma sui principi di base aveva indotto la minoranza parlamentare al voto favorevole venendo così, a creare le condizioni numeriche utili ai fini dell'approvazione della legge.
 
La legge italiana riprende il modello della legge tedesca, approvata su impulso del cancelliere Bismarck che diede il via, ben 15 anni prima, alle leggi sociali in Germania.


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Il 1898, però, fu un anno denso di avvenimenti: importanti e tragici.
Guglielmo Marconi stabilisce i primi collegamenti, senza fili, da una nave alla terraferma in Inghilterra.
Negli Stati Uniti la fabbrica Kodak mette in commercio una macchina fotografica dotata di "rullini" che vanno a sostituire le lastre utilizzate finora.
Sempre nello stesso anno scoppia la guerra ispano-americana che si combatte a Cuba. Il conflitto ebbe una influenza diretta sull'economia dell'epoca che in Italia si tradusse in un aumento del costo dei cereali e del grano. Si ebbero in tutto il paese sommosse e disordini di protesta, una propria e vera guerra del pane.
Le manifestazioni più sanguinose si ebbero a Milano dove la folla nella sua protesta contro il carovita innalzò barricate. Per sedare la rivolta fu inviata la truppa al comando del generale Bava Beccaris, ufficiale di vecchio stampo che pensava di trovarsi di fronte ad una rivoluzione anarchica o socialista. Represse la rivolta nel sangue, fece sparare con i cannoni sulla folla, si ebbero circa 100 morti e feriti, furono arrestati cattolici come Don Albertario e il deputato socialista Filippo Turati.
 
In questo contesto nacque la prima legge sul lavoro che, per i tragici avvenimenti, trovo, applicazione solamente negli anni successivi. Del resto anche la lunga discussione parlamentare ne aveva fatto passare in silenzio la sua portata innovativa.
Inizia quindi nel 1898 la lunga storia legislativa che ha portato all'inizio dell'intervento dello stato nella legislazione sociale.
 
Rocco Vitale, sociologo, presidente Aifos (Associazione Italiana Formatori della Sicurezza sul Lavoro).
 


[1] Promulgata dal Re il 17 marzo 1898, si suddivideva in quattro Titoli: nel primo, Limiti ed applicazioni della legge, venivano enumerate le industrie alle quali la legge doveva essere applicata, stabilendo quali persone agli effetti di essa dovevano qualificarsi come “operai”.
I criteri per definire questa qualifica (art. 2 della legge) sono da ricercare nel luogo di lavoro (fuori della propria abitazione e, in particolare, in industrie, miniere, costruzioni ed imprese edili), nel tipo di mansione svolta e nella misura della mercede da essi percepita: venivano inclusi in questa categoria coloro che partecipavano manualmente al lavoro (che doveva essere retribuito), ed anche chi sovraintendeva al lavoro degli altri, purché percepisse un salario non superiore alle sette lire al giorno; erano inclusi nella tutela assicurativa anche gli apprendisti, con o senza salario.
Esclusi quindi i lavoratori agricoli e quelli a domicilio.
Nel secondo Titolo, Regolamenti preventivi, si stabilivano disposizioni relative alle misure da adottarsi per la prevenzione degli infortuni. Nel terzo Titolo, Assicurazione, veniva prescritta l’obbligatorietà dell’assicurazione.
Essa doveva farsi interamente a spese del capo o esercente dell’impresa, industria o costruzione, per gli infortuni avvenuti per “causa violenta” e “in occasione di lavoro” e che avessero portato conseguenze oltre i cinque giorni: l’adempimento di tale obbligo era garantito con un sistema di controlli, di denunce e di sanzioni esplicati poi con maggiore precisione nel Regolamento.
Erano inoltre stabiliti i criteri per la determinazione delle indennità e per le eventuali revisioni dei giudizi relativi.
L’assicurazione doveva, di norma, farsi presso la Cassa Nazionale Infortuni, tuttavia era ammessa anche l’assicurazione mutua tra gli industriali per mezzo di Casse private consorziali e di Sindacati, sia per gruppi di industrie che per competenza territoriale, con particolari cautele e garanzie.
Nel quarto Titolo, Disposizioni generali, venivano stabiliti i casi in cui sarebbe risorta la responsabilità civile, con l’ammissione dell’azione di regresso da parte degli assicuratori.
Questa azione consisteva nel farsi restituire le somme pagate per l’erogazione delle prestazioni agli aventi diritto, dal datore di lavoro giudicato dal tribunale penalmente responsabile dell’infortunio.
Nel complesso, quindi, la prima legge italiana che istituiva l’obbligatorietà dell’assicurazione infortuni sul lavoro, ispirata al sistema privatistico, poteva ritenersi fondata essenzialmente sopra tre basi: - Diritto all’indennità da parte dell’operaio colpito da infortunio professionale, subordinato al pagamento del premio da parte del datore di lavoro; - Obbligo dell’assicurazione a tutto carico dell’imprenditore, lasciando libera, in genere e salvo eccezioni, la scelta dell’assicuratore; - Mantenimento della responsabilità civile quando il fatto che dava titolo alla domanda di pieno risarcimento, a tenore del diritto comune, fosse stato riconosciuto sussistente e vero dal magistrato per sentenza di condanna in sede penale.
 


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