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La responsabilita' penale e professionale del RSPP
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Condannato un responsabile del servizio di prevenzione e protezione per aver omesso di segnalare una situazione di pericolo che ha portato all'infortunio mortale di una lavoratrice dipendente di una ditta appaltatrice.
Si fa strada la “colpa professionale” e la “colpa tecnica” del RSPP.
A cura di Gereardo Porreca, www.porreca.it.
Sempre più spesso la Corte di Cassazione è chiamata ad esprimersi sulla responsabilità penale del RSPP e, come si prevedeva, dopo l’entrata in vigore del D. Lgs. n. 195/2003 sulla formazione e sulla qualificazione dei responsabili e degli addetti ai servizi di prevenzione e protezione con questa sentenza, nella quale la stessa Corte di Cassazione affronta per la prima volta il rapporto fra l’art. 9 del D. Lgs. n. 626/1994 sui compiti del SPP ed i reati di omicidio e di lesioni colpose di cui agli art. 589 e 590 c. p. e con la quale un RSPP è stato condannato assieme al datore di lavoro per non aver segnalato un pericolo che ha portato all’infortunio di una lavoratrice, si fa strada la “colpa professionale” e la “colpa tecnica” del RSPP, le quali si affiancano alla “colpa generica” del datore di lavoro nel caso in cui un infortunio sul lavoro sia derivato da una carenza di misura di sicurezza e sia legato a delle violazioni alla normativa in materia di sicurezza sul lavoro.
In passato più volte la giurisprudenza aveva considerata quella del RSPP come una figura integrativa e strumentale del datore di lavoro ed avulsa da responsabilità penali, così come è possibile leggere in alcune sentenze riportate di seguito in questa stessa rubrica (del sito www.porreca.it, ndr), ma ora sembra riscontrarsi nelle decisioni della Corte di Cassazione una sorta di ripercussione della sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee del 15 novembre 2001 e della conseguente emanazione del D. Lgs. n. 195/2003 con il quale, su espresso indirizzo della Comunità europea, è stata introdotta in Italia la specifica qualifica professionale del responsabile del servizio di prevenzione e protezione.
Il caso all’esame riguarda un infortunio mortale occorso ad una lavoratrice dipendente di una ditta alla quale erano stati appaltati i servizi di confezionamento e di gestione dei carrelli contenenti i pasti all’interno di un ospedale. In particolare la lavoratrice che si era introdotta nella cabina di un ascensore assieme ad un carrello portavivande, essendo il carrello finito nel corso della discesa contro una sporgenza del muro, era rimasta violentemente schiacciata dal carrello stesso contro la parete decedendo per asfissia.
Dell’accaduto erano stati originariamente chiamati a rispondere, oltre al datore di lavoro dell’infortunata, il direttore generale e il responsabile di zona della AUSL nonché il responsabile dell’ospedale ed il RSPP del presidio ospedaliero ma solo questi due ultimi venivano condannati per il reato di omicidio colposo.
Il RSPP ha inteso far ricorso alla Corte di Cassazione chiedendo alla stessa l’annullamento della condanna e sostenendo che, nella sua qualità di responsabile del servizio di prevenzione e protezione, era privo dei poteri di decisione e di spesa in materia antinfortunistica. La suprema Corte ha però rigettato il ricorso stesso confermando quando già asserito dal Giudice di merito il quale aveva ritenuto non rilevante il mancato potere di decisione e di spesa e che tale mancanza non escludeva comunque il potere dovere del RSPP di segnalare la situazione di pericolo ai soggetti muniti delle necessarie possibilità di intervento. Irrilevante veniva anche ritenuto dai Giudici di legittimità il fatto, asserito dal RSPP, che una segnalazione dello stesso sulla pericolosità dell’ascensore sarebbe stata in ogni caso inutile, perché la pericolosità era ben nota al datore di lavoro tanto da essere stata evidenziata attraverso l’affissione di un cartello alle cui disposizioni la lavoratrice infortunata non si era attenuta.
“il cartello che poneva il divieto di trasportare "carrelli e carichi mobili la cui sagoma fuoriesca dal piano di cabina con ruote in adiacenza ai risalti del pavimento", conteneva una prescrizione, non solo a prima vista piuttosto ermetica, ma che finiva per rimettere impropriamente al lavoratore, piuttosto che al datore di lavoro, una valutazione non agevole, da compiere per giunta di volta in volta, nella permanenza di una situazione di potenziale pericolosità” (estratto dalla sentenza, ndr).
La Corte di Cassazione ha ribadito che l’assenza di una capacità immediatamente operativa da parte del RSPP nella struttura aziendale non esclude che una eventuale inottemperanza allo svolgimento dei compiti di cui all’art. 9 del D. Lgs. n. 626/1994 ed in particolare una mancata individuazione e segnalazione dei fattori di rischio delle lavorazioni, una mancata elaborazione delle procedure di sicurezza nonché una mancata informazione e formazione dei lavoratori possa costituire una omissione rilevante ai fini della individuazione della responsabilità penale tutte le volte in cui un sinistro sia oggettivamente riconducibile a una situazione pericolosa ignorata dal responsabile del servizio e ciò specie in considerazione del fatto che, secondo quanto disposto dall’art. 7 dello stesso D. Lgs. n. 626/1994, il datore di lavoro committente risponde anche dei rischi delle lavorazioni cui vanno incontro i dipendenti della ditta appaltatrice.
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La suprema Corte ha osservato, inoltre, che l’assenza nel D. Lgs. n. 626/1994 di una sanzione penale a carico del RSPP non impedisce che questi possa essere chiamato a rispondere per il mancato svolgimento delle proprie funzioni indicate nell’art. 9 del D. Lgs. n. 626/1994, il quale dispone che il servizio di prevenzione e protezione dai rischi professionali ha l’obbligo di provvedere, tra l’altro, «all’individuazione dei fattori di rischio, alla valutazione dei rischi e all’individuazione delle misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro, nel rispetto della normativa vigente sulla base della specifica conoscenza dell’organizzazione aziendale», nonché ad elaborare le misure preventive e protettive, i sistemi di protezione individuale e le procedure di sicurezza per le varie attività aziendali. Assumere che il RSPP non possa essere chiamato a rispondere di delitti colposi contro la vita e l’incolumità, sostiene ancora la Corte, equivale alla negazione dell’esistenza di un obbligo giuridicamente rilevante considerato che il D. Lgs. 626/1994 ha voluto individuare nel sistema prevenzionistico aziendale un soggetto, il RSPP, incaricato di monitorare costantemente la sicurezza degli impianti e di interloquire con il datore di lavoro affinché questi, informato di una situazione di pericolo, potesse intraprendere le iniziative idonee a neutralizzarla.
Già in precedenza la Corte di Cassazione aveva avuto modo, con la sentenza della sez. IV n. 41947 del 21 dicembre 2006 Ric. Pittarello e altro, di condannare un RSPP sostenendo che, pur essendo questi un semplice ausiliario del datore di lavoro e privo di un effettivo potere decisionale, potesse essere chiamato a rispondere, anche penalmente, per lo svolgimento della propria attività allorquando, agendo con imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia dato un suggerimento sbagliato o abbia trascurato di segnalare una situazione di rischio, inducendo, così, il datore di lavoro, ad omettere l’adozione di una doverosa misura prevenzionale. Il RSPP, infatti, ha sostenuto la suprema Corte risponde insieme al datore di lavoro di un evento dannoso derivante dal suggerimento sbagliato o dalla mancata segnalazione essendo a lui ascrivibile un titolo di “colpa professionale” che può assumere anche un carattere addirittura esclusivo.
Il testo della sentenza: Cassazione Penale Sez. IV - Sentenza n. 15226 del 17 aprile 2007 (udienza 15 febbraio 2007) - Pres. Marini – Rel. Amendola.
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Rispondi Autore: Francesco Cuccuini - likes: 0 | 23/11/2007 (09:19) |
Tutto questo é corretto e accettabile in CONDIZIONI NORMALI. Pesonalmente non temo maggiori responsabilità, che vedo come un elemento di qualificazione, in primis, per i RSPP. Vorrei che il tutto fosse accompagnato però, anche da controlli effettivi sulle aziende e sopratutto sul rispetto degli obblighi dei Datori di Lavoro (certezza della pena). Allora il sistema migliorerà. Altrimenti ogni tanto sarà sanzionato il "povero Cristo" di turno e gli organi di controllo sono tranquilli, la magistratura é tranquilla, le aziende sono tranquill, il paese é tranquillo, continueranno ad esserci 4 morti al giorno sul lavoro e ... e tutto prosegue. |
Rispondi Autore: michela - likes: 0 | 23/11/2007 (11:38) |
Penso che sia enormemente ingiusto che ci si accanisca con una figura, quella del RSPP, che non ha poteri decisionali e di spesa. Come si fa ad impartire, per esempio, formazione ed informazione se non si ha a disposizione il personale? Come si fa a elaborare le procedure di sicurezza se poi non sono avvallate e diffuse da chi ne ha il potere? Inoltre, data l'organizzazione delle aziende medio-piccole, come si fa a dimostrare di aver comunicato una segnalazione di pericolo al proprio datore di lavoro, per raccomandata? Per email con ricevuta di lettura? Secondo me in questo modo, con la sentenza della Cassazione, il RSPP diventerà un capro espiatorio perfetto. Possibile che non ci sia un giudice che capisca che è impossibile tenere tutto sotto controllo per una figura che non ha poteri decisionali e di spesa e non controlla direttamente le imprese appaltatrici o i dipendenti o gli investimenti ? Nessuno sa forse che è estremamente difficile stare dietro a ogni cambiamento organizzativo o strutturale che può intervenire in azienda? Non capisco perchè il D.Lgs 626/94 non preveda sanzioni penali e invece i giudici si incaponiscano a comminarle! |