La violazione delle norme abrogate dal decreto 81
1. La continuità normativa
Il titolo primo del “Testo Unico” sulla salute e sicurezza sul lavoro (decreto legislativo 9 aprile 2008 n. 81) ha innestato numerose e importanti innovazioni sul tronco solido e secondo lo schema strutturale del D.Lgs. n. 626/94,. che sostituisce integralmente proponendo, sia pure all'interno di una evidente linea di continuità, ed imponendo ad imprese ed enti una più avanzata concezione della sicurezza come obbligo organizzativo, gestionale e di controllo.
Il Testo Unico assimila, riordina, coordina e innova, all'interno di questa prospettiva più evoluta di tutela della sicurezza, salute e prevenzione incendi nei luoghi di lavoro, tutta la legislazione previgente, come ad esempio D.P.R. 547/55, D.P.R. 164/56, D.P.R. 303/56, D.Lgs. 493/96, D.Lgs. 494/96 ecc., confermando quindi un impianto normativo ed un apparato sanzionatorio che nel corso degli anni ha dato buona prova di sé, conformemente agli imperativi categorici disegnati dal diritto comunitario, e agli orientamenti giurisprudenziali consolidatisi negli ultimi 50 anni.
Il problema che si pone è quello della continuità normativa, ovvero cosa accade quando l'imputato viene processato per aver violato norme prevenzionistiche dei decreti abrogati dal D.Lgs. n. 81/2008 (Testo Unico di Sicurezza del lavoro) e il giudizio avviene dopo l'avvenuta abrogazione.
La Cassazione ha chiaramente e ripetutamente sottolineato, in tema di individuazione di continuità normativa o meno tra reati, la necessità di accertare ed identificare, secondo le regole proprie del concorso apparente di norme (si veda più oltre l'art. 2 del codice penale), gli elementi strutturali delle ipotesi tipiche, con riguardo alla natura ed modalità dei comportamenti (Cass. Pen. Sez.Un. 7.11.2000 n. 00027 imp. Di Mauro; Cass. Pen. Sez.Un. 15.1.2000 n. 00035 imp. Sagone). Elemento essenziale per identificare l'esistenza di una ininterrotta continuità normativa tra norme previgenti e norme vigenti del Testo Unico è che le condotte delineate dai decreti abrogati dall'art. 304 comma 1 del D.Lgs. n. 81/2008 e il D.Lgs. n. 81/2008 non siano "ontologicamente nonché strutturalmente diverse". La continuità normativa fa riferimento tanto al bene protetto quanto alla sussistenza di una identità e omogeneità delle condotte costituenti reato.
Il principio di continuità normativa viene dedotto logicamente dall'articolo 2 commi 1-2-3 del codice penale, che si occupa tra l'altro, del concorso apparente di norme:
“Art. 2 - Successione di leggi penali -
Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato.
Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore non costituisce reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano la esecuzione e gli effetti penali.
Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile.
Se si tratta di leggi eccezionali o temporanee, non si applicano le disposizioni dei capoversi precedenti.”.
Per quel che riguarda il principio della continuità normativa, dalla lettura sistematica dell'articolo 2 c.p. risulta chiaro che si può e si deve essere puniti penalmente quando si commette un fatto che costituiva reato secondo la legge del tempo in cui fu commesso, e che continua a costituire reato anche per la legge posteriore che ha sostituito abrogando la legge anteriore, salvo il caso di leggi temporanee ed eccezionali quali non sono i decreti in materia di sicurezza e salute del lavoro succedutisi dal 1950 in poi.
A tale principio allude anche l'articolo 304 del Testo Unico, ai sensi del quale “laddove disposizioni di legge o regolamentari dispongano un rinvio a norme del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni, ovvero ad altre disposizioni abrogate dal comma 1, tali rinvii si intendono riferiti alle corrispondenti norme del presente decreto legislativo”, ovvero il D.Lgs. n. 81/2008.
2. Sentenza Cassazione Penale, Sez. 3, 11 giugno 2009, n. 23976
La sentenza in oggetto ha dichiarato, con riferimento alla facilmente verificabile continuità tra la maggior parte delle disposizioni incriminatrici del d.p.r. n. 547/55 e le corrispondenti disposizioni D.Lgs. n. 81/08, precisamente appunto l'esistenza di una evidente e inoppugnabile continuità normativa tra uno dei decreti abrogati, in alcuni articoli oggetto del procedimento penale, e i corrispondenti articoli del suo "legittimo" erede, il D.Lgs. n. 81/2008:
La vicenda processuale riguarda la penale responsabilità del legale rappresentante di una società che gestrice di un impianto di depurazione per aver omesso di dotare i camminamenti e le piattaforme di idonee protezioni e per non aver mantenuto in buono stato di conservazione ed efficienza impianti e luoghi di lavoro.
Il Tribunale di Lecce, inopinatamente, dichiarava di non doversi procedere per non essere il fatto più previsto come reato poichè la normativa contestata, ossia il D.P.R. n. 547 del 1955, era stata abrogata dal D.Lgs. n. 81 del 2008.
La Procura della Repubblica proponeva efficacemente ricorso in Cassazione, così argomentando:
"in effetti il D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 304, comma 1, lett. a), ha abrogato integralmente il D.P.R. n. 547 del 1955.
Tuttavia il precetto contenuto nel D.P.R. n. 547 del 1955, art. 8, comma 1 risulta integralmente trasfuso nella nuova norma precettiva contenuta nell'All. 4, al punto 1.4.1 del D.Lgs. n. 81 del 2008.
Tale norma precettiva, identica al testo del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 8, comma 1 è ora sanzionata dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 68, lett. b, che, attraverso il meccanismo dei richiami a catena (D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 64, lett. a), e art. 63, comma 1), rinvia al contenuto dell'All. 4, al punto 1.4.1 del D.Lgs. n. 81 del 2008.
Pertanto, essendo gli elementi strutturali delle due fattispecie incriminatici identici, sussiste continuità normativa tra le norme incriminatici succedutesi nel tempo con conseguente applicazione dell'art. 2 c.p., comma 4."
La Corte accoglie pienamente il ricorso della Procura e annulla con rinvio la sentenza impugnata sottolineando che:
"la nuova normativa (Decreto Legislativo n. 81 del 2008) pone tuttora delle prescrizioni - anzi più dettagliate - quanto alla sicurezza dei luoghi di lavoro, sanzionate penalmente; e tanto basta per ritenere la continuità normativa che vale ad escludere l'abolitio criminis".
Estratto dalla motivazione della sentenza.
“Il D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 8 (recante norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro) prescriveva che i pavimenti degli ambienti di lavoro e dei luoghi destinati al passaggio non dovessero presentare buche o sporgenze pericolose e dovessero essere in condizioni tali da rendere sicuro il movimento ed il transito delle persone e dei mezzi di trasporto.
Inoltre i pavimenti ed i passaggi non dovevano essere ingombrati da materiali che ostacolassero la normale circolazione.
Un'analoga prescrizione diretta a conformare iluoghi di lavoro a prescrizioni di prevenzione al fine di garantire la sicurezza dei lavoratori è ora contenuta nel D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 63 e 64.
Infatti il D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 63 prescrive in generale che i luoghi di lavoro devono essere conformi ai requisiti indicati nell'allegato 4^.
La Tabella 4^ al punto 1.4.1. prescrive che le vie di circolazione, comprese scale, scale fisse e banchine e rampe di carico, devono essere situate e calcolate in modo tale che i pedoni o i veicoli possano utilizzarle facilmente in piena sicurezza e conformemente alla loro destinazione e che i lavoratori operanti nelle vicinanze di queste vie di circolazione non corrano alcun rischio.
Il successivo art. 4 poi fa obbligo al datore di lavoro di provvedere a che i luoghi di lavoro siano conformi ai requisiti di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 63, commi 1, 2 e 3; che le vie di circolazione interne o all'aperto che conducono a uscite o ad uscite di emergenza e le uscite di emergenza siano sgombre allo scopo di consentirne l'utilizzazione in ogni evenienza; che i luoghi di lavoro, gli impianti e i dispositivi vengano sottoposti a regolare manutenzione tecnica e vengano eliminati, quanto più rapidamente possibile, i difetti rilevati che possano pregiudicare la sicurezza e la salute dei lavoratori; che i luoghi di lavoro, gli impianti e i dispositivi vengano sottoposti a regolare pulitura, onde assicurare condizioni igieniche adeguate; che gli impianti e i dispositivi di sicurezza, destinati alla prevenzione o all'eliminazione dei pericoli, vengano sottoposti a regolare manutenzione e al controllo del loro funzionamento.
Quindi la nuova normativa (D.Lgs. n. 81 del 2008) pone tuttora delle prescrizioni - anzi più dettagliate - quanto alla sicurezza dei luoghi di lavoro, sanzionate penalmente; e tanto basta per ritenere la continuità normativa che vale ad escludere l'abolitio criminis.
Confrontando in una fattispecie analoga (Cass., sez. 3^, 10/10/2008 - 6/11/2008, n. 41367) che ha affermato che in tema di prevenzione infortuni ed igiene del lavoro, sussiste continuità normativa tra le fattispecie penali in materia di luoghi di lavoro (prima previste dal D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 32, comma 1, lett. b), dal D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 3, comma 10, e dal D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303, artt. 20 e 21) e quelle, più gravemente punite, oggi contemplate per il datore di lavoro dal D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 68, comma 1, lett. b) (recante "Attuazione della L. 3 agosto 2007, n. 123, art. 3, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro"). 3. Pertanto il ricorso va accolto limitatamente al reato di cui al D.P.R. n. 547 del 1955, art. 8 e art. 389, lett. a), avendo il P.M. proposto ricorso per Cassazione unicamente per questo reato. Va conseguentemente annullata l'impugnata sentenza con rinvio alla Corte d'appello di Lecce.”
3. Cassazione Penale, Sez. 3, 23 aprile 2009, n. 17218 - Estinzione incendi: D.P.R. 547 e D.Lgs. 81
Il procedimento penale riguarda la responsabilità dei soci di una società semplice per il reato di cui all'art. 34 del D.P.R. n. 547/55, per non aver predisposto idonei mezzi di estinzione a protezione del deposito di paglia di loro proprietà e per il reato di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, comma 5 lett. q) per non avere adottato le misure di prevenzione incendi.
La Corte afferma che: "in tema di tutela dei lavoratori, le disposizioni di cui al D.P.R. n. 547 del 1955, art. 34, misure necessarie ai fini della prevenzione incendi, sono in rapporto di specialità rispetto a quelle di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, atteso che nelle prime si rinvengono elementi specializzanti, costituiti dalla indicazione dei mezzi di prevenzione ed estinzione degli incendi, oltre alla menzione espressa dell'obbligo di assicurare, in caso di necessità, l'agevole e rapido allontanamento dei lavoratori dai luoghi interessati".
Inoltre "l'avvenuta abrogazione del D.P.R. n. 547 del 1955 da parte del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (art. 304) non incide sulla configurabilità del reato di cui al capo a), che continua ad essere previsto come reato dall'art. 64, art. 63, comma 1 (all. 4.4.1.3) art. 68, lett. b."
4. Cassazione Penale, Sez. 3, 12 luglio 2010, n. 26754
La sentenza riguarda la condanna penale in primo grado a seguito di accertamento ispettivo del "Servizio prevenzione sicurezza ambienti di lavoro" dell'ASL aveva rilevato il difettoso, anzi omesso, adeguamento alle disposizioni prevenzionali in imputazione da parte del M., legale rappresentante dell'impresa edile ****** impegnata nella ristrutturazione e ricostruzione di un nuovo edificio ad uso residenziale presso il cantiere predetto. Al M., titolare di impresa subappaltatrice delle opere in questione, era stato contestato l'uso di attrezzature (ponteggi perimetrali ed impalcature) carenti quanto ai descritti profili di sicurezza dei lavoratori addetti all'uso delle medesime e tipicamente connessi alle lavorazioni "dall'alto", nonché quelle ulteriori irregolarità inerenti i quadri ed i conduttori elettrici in rubrica.
Non risultava che in esito al successivo sopralluogo 16.1.2007 le situazioni di rischio fossero state rimosse né che il M. avesse attivato la procedura di estinzione delle infrazioni mediante il pagamento in sede amministrativa delle somme utili allo scopo, così come previsto dall'art. 21 co. 2 del d.lgs. 758/94.
Il tribunale poi, in riferimento all'osservazione difensiva circa la ritenuta abrogatio legis delle disposizioni in addebito in esito all'entrata in vigore del d.lgs. 9.4.08 n. 8l in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, osservava che tale deduzione non aveva pregio essendosi nella specie in presenza di mera successione di leggi nel tempo con piena applicazione del disposto dell'art. 2 co. 4 del codice penale.
3. Avverso questa pronuncia l'imputato propone ricorso per cassazione con due motivi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso, articolato in due motivi con cui il ricorrente deduce l'intervenuta abolitio criminis e si duole dell'eccessività della pena, è inammissibile.
2. Quanto alla dedotta abolitio criminis, esattamente l'impugnata sentenza rileva che vi è mera successione di leggi nel tempo tra il d.lgs. 81 del 2008 e la precedente disciplina di prevenzione degli infortuni sul lavoro; vi e quindi continuità normativa ripetutamente affermata da questa Corte in relazione a numerose fattispecie previste dalla normativa di prevenzione degli infortuni sul lavoro: a) tra l'art. 8 dell'abrogato d.P.R. n. 547 e la nuova fattispecie prevista dal combinato disposto degli artt. 63, 64 e 68. lett. b), in relazione all'All. IV, punto 1.4.1. D.Lgs. n. 81 del 2008 (Cass., sez. IlI, 7 maggio 2009 - 11 giugno 2009 n. 23976); b) tra l'art. 7 dell'abrogato d.P.R. n. 303 del 1956 e la nuova fattispecie incriminatrice di cui all'art. 63 del D.Lgs. n. 81 del 2008 (Cass., sez. IlI, 7 maggio 2009 17 luglio 2009, n. 29543); c) tra l'art. 34 del d.P.R. n. 547 del 1955 e gli artt. 63 e 64 del D.Lgs. n. 81 del 2008 (Cass., sez. III. 3 marzo 2009 -23 aprile 2009, n. 17218); d) tra l'abrogato il d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, ed il D.Lgs. 9 aprile 2008. n. 81, quanto al reato di omessa richiesta ai Vigili del fuoco della visita preventiva di collaudo per un'attività sottoposta a prevenzione incendi (Cass., sez. IlI, 25 febbraio 2009 - 17 aprile 2009, n. 16313); e) tra l'art. 12, comma secondo, d.P.R. n. 164 del 1956, e quella, più gravemente punita, oggi contemplata dall'art. 118, comma secondo, D.Lgs. n. 81 del 2008 in riguardo all'obbligo di provvedere all'armatura ed al consolidamento del terreno (Cass., sez. III. 28 gennaio 2009 - 27 marzo 2009. n. 13533); f) tra l'art. 39, comma primo, d.P.R. n. 303 del 1956 e quella, più gravemente punita, oggi contemplata dagli artt. 63, comma primo, e 64 D.Lgs. n. 81 del 2008 (Cass., sez. III, 28 gennaio 2009 - 27 marzo 2009, n. 13533); g) tra le fattispecie penali in materia di luoghi di lavoro (prima previste dall'art. 32, comma primo, lett. b) D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, dall'art. 13, comma decimo, d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547 e dagli artt. 20 e 21, d.P.R. 19 marzo 1956, n. 303) e quelle, più gravemente punite, oggi contemplate per il datore di lavoro dall'art. 68, comma primo, lett. b) D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (Cass., sez. III, 10 ottobre 2008 - 6 novembre 2008, n. 41367).
Analogamente sussiste continuità normativa tra le fattispecie dì cui all'imputazione e quelle previste rispettivamente - per i capi sub a), b) e c) - dall'art. 126 d.lgs. 81/2008 che prevede come reato la violazione della prescrizione secondo cui gli impalcati e ponti di servizio, le passerelle, le andatoie, che siano posti ad un'altezza maggiore di 2 metri, devono essere provvisti su tutti i lati verso il vuoto di robusto parapetto e in buono stato di conservazione; per il capo sub d), dall'art. 111 del medesimo d.lgs. n. 81/2008 che prevede come reato la violazione degli obblighi del datore di lavoro nell'uso di attrezzature per lavori in quota; e per il capo sub e), dall'art. 80 che prevede come reato la violazione dell'obbligo del datore di lavoro di adottare misure necessarie affinché i lavoratori siano salvaguardati dai tutti i rischi di natura elettrica connessi all'impiego dei materiali, delle apparecchiature e degli impianti elettrici messi a loro disposizione”.
5. Sintesi
Rolando Dubini
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Rispondi Autore: dott. Marco Maggioli - likes: 0 | 17/09/2010 (11:04:25) |
Il giudice del Tribunale di Lecce, per aver motivato in quel modo il - non doversi procedere - andava semplicemento cacciato e radiato. Questo che lei riporta è di una ovvietà assoluta. Purtroppo nella magistratura, chi sbaglia non paga mai, a differenza di tutti i cittadini. |