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Manutenzione in ambito industriale: un processo critico per la sicurezza
La manutenzione è uno dei motori delle industrie; senza manutenzione la produzione si ferma. Non esistono impianti produttivi che non richiedano manutenzione, e quindi se non ci fosse manutenzione prima o poi comincerebbero i problemi.
Per giunta la manutenzione è qualcosa che dipende anche da fattori non del tutto controllabili, quindi si tratta di un insieme di attività che non sono ripetibili, ma che anzi spesso si presentano molto diverse da come ci si potrebbe aspettare.
La combinazione non è delle migliori: una serie di attività imprevedibili ma fondamentali per la continuità di produzione. Dove, per continuità intendiamo non solo la prevenzione dei fermi impianto, ma anche il mantenimento della qualità del prodotto e delle condizioni di sicurezza per chi opera in azienda.
Allora, se queste attività così importanti, venissero effettuate in modo disordinato ricorrendo a una sorta di buon senso artigianale, rischieremmo di mettere in crisi una intera azienda perché un suo settore chiave opera secondo principi superati, senza che sia definito un vero processo controllato e controllabile. E questo, nella realtà, si verifica molto più spesso di quello che crediamo.
Parlare di buon senso artigianale non vuole essere una offesa per chi è messo dalla azienda ad operare su richiesta (tipicamente su guasto) e spesso in condizioni di emergenza; anzi, dobbiamo complimentarci con i manutentori vecchia scuola che riuscivano e riescono comunque a mandare avanti gli impianti di produzione!
La questione è di metodo, questo a fronte di una innegabile “complicazione” degli obiettivi della funzione manutenzione; abbiamo parlato di qualità e sicurezza, potremmo aggiungere rispetto dell’ambiente, riduzione dei consumi, contenimento dei costi … tutti obiettivi che in un contesto sociale ed economico diverso, e in tempi diversi, avevano certo minor peso.
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Quindi la prima cosa che dobbiamo accettare è che la manutenzione è un processo che deve essere messo sotto controllo. La seconda questione da rendere parte del modo di ragionare di chi si occupa di manutenzione, è che la sicurezza è oggi la massima priorità delle aziende che vogliono continuare ad operare nella UE o nei paesi limitrofi.
Quindi il processo di manutenzione deve garantire la sicurezza. Ovvero è fondamentale che il processo di manutenzione venga regolamentato in modo che gli obiettivi di sicurezza abbiano la priorità. Questo non lo dice chi scrive, lo dicono i capi I e III del titolo III del D.Lgs. 81/2008, ma anche la lettera a del comma 1 dell’articolo 30 del medesimo decreto! Dunque il processo di manutenzione è, per definizione, un processo critico per i modelli organizzativi esimenti ex D.Lgs. 231/2001.
Quali sono quindi i punti chiave di questo processo che devono essere messi sotto controllo per garantire la sicurezza sul lavoro? partiamo dalla definizione di cosa è la manutenzione: è una attività volta al mantenimento o al ripristino di una situazione / condizione pre esistente. Questa è una definizione importante in certe tipologie di industrie, perché esclude tutte quelle attività di modifica degli impianti produttivi (migliorie) che normalmente coinvolgono anche il personale di manutenzione, e che per questo vengono confuse con la manutenzione.
L’atro aspetto da chiarire subito: la sicurezza di chi?? Ovvero, su quali lavoratori influisce la manutenzione in termini di sicurezza e salute sul lavoro? possiamo distinguere due categorie: prima di tutto i manutentori stessi, che durante gli interventi sono esposti a rischi particolari (ovvero non condivisi dagli altri lavoratori) e talvolta imprevedibili, quanto possono essere imprevedibili le attività di manutenzione. In secondo luogo tutti coloro che si troveranno ad utilizzare un bene dopo un intervento di manutenzione: è evidente che un errore o una mancanza durante la manutenzione, che lascia non ripristinati determinati aspetti di sicurezza, è fonte di rischi per gli utilizzatori del bene assoggettato alla manutenzione. In questo contesto la manutenzione non ha solo finalità correttive (sorge un problema di sicurezza, la manutenzione lo risolve) ma anche preventive.
Però tutte le buone intenzioni non funzionano (al meglio) senza una corretta organizzazione di partenza. Quindi la definizione del processo è la base.
Cosa significa definire un processo: stabilire in modo ordinato quali sono le attività che vanno a costituire il processo, se e quando tali attività devono essere eseguite, e chi le deve eseguire. Non è qui necessario entrare nel “come” eseguire una determinata attività, a meno che non si tratti di qualcosa di assolutamente nuovo. Un esempio: se io dico a un manutentore che prima di eseguire un intervento su un impianto deve raccogliere tutta la documentazione necessaria, e verificare che sia nella versione più aggiornata, gli dico qualcosa che non necessita di ulteriori precisazioni; forse per noi non è del tutto chiaro, ma un manutentore sa meglio di noi tecnici della sicurezza di cosa si parla; se invece gli dico che prima dell’intervento deve valutare i rischi, in particolar modo se l’intervento non è regolamentato da specifiche istruzioni, ebbene qui dovrò anche spiegargli cosa voglio che faccia.
Inoltre del processo di manutenzione a noi non interessano tutti gli aspetti, ma solo quelli che hanno rilevanza sulla sicurezza e salute sul lavoro. Per dare a questi la giusta efficacia dovremo comunque descrivere il processo nella sua sequenza complessiva, al fine di inserire le attività e i controlli necessari a garantire la sicurezza.
Alcuni esempi concreti che ci ripromettiamo di sviluppare in seguito:
• Stabilire quale è il livello di autonomia dei diversi soggetti, dal turnista che opera principalmente su chiamata, al responsabile meccanico che pianifica gli interventi più rilevanti, al capo di manutenzione che interviene ove necessario ma principalmente si dedica alla programmazione a medio/lungo termine. Queste distinzioni sono molto importanti sia per la sicurezza di chi esegue la manutenzione, sia per la bontà dell’intervento e quindi per la sicurezza di chi successivamente utilizza la macchina o l’impianto. Particolarmente importante, in questa ottica, è la definizione del confine oltre il quale determinate figure professionali non devono spingersi (per mancanza di competenze specifiche); in caso di mancata definizione può accadere che la buona volontà di un turnista vada a causare qualche grosso guaio. Chi scrive ha avuto modo di valutare un mancato infortunio su un impianto di olio in pressione: chi aveva eseguito la messa in sicurezza dell’impianto non era qualificato e ha commesso un errore banale lasciando parte dell’impianto sotto pressione.
• Stabilire quale è il ruolo delle ditte esterne, chi le deve gestire e come se ne deve controllare l’operato. Per esempio un errore comune è quello di pensare che se affido una attività a una ditta specializzata, poi non devo vigilare sul suo operato. Chi scrive ha avuto una brutta esperienza con una ditta che eseguiva le verifiche periodiche dei carroponte; dopo un mancato infortunio ci siamo resi conto che a nessuno era stato affidato il compito di vigilare sulla ditta.
• Definire quali attività devono essere svolte in sede di “progettazione dell’intervento”: valutazione dei rischi, scelta dei DPI, scelta delle modalità di segregazione della zona di lavoro ecc.
• Definire quali regole rispettare al momento della riconsegna della macchina o dell’impianto alla produzione.
Volontariamente abbiamo citato alcuni esempi molto diversi fra loro, proprio per dare evidenza della considerevole articolazione del processo di manutenzione.
Allora da dove partire? Riteniamo che le norme e le guide CEI sui lavori elettrici, che trattano approfonditamente gli aspetti di organizzazione della manutenzione, siano un ottimo spunto per focalizzare facilmente gli aspetti più rilevanti, dalla valutazione dell’intervento all’uso del permesso di lavoro, alla esecuzione delle messe in sicurezza. È vero che tali norme trattano nello specifico gli aspetti connessi al rischio elettrico, ma dal punto di vista della definizione del processo hanno valenza generale. Quindi possono essere, appunto, un ottimo punto di partenza da calzare, poi, sulla realtà aziendale.
Qui merita di fare un ultimo commento sul tema delle norme: il mondo elettrico ha una sua peculiarità, quella di essere piuttosto ripetibile da azienda ad azienda. Mentre altri aspetti, che sono più legati alla tipologia di produzione, sono estremamente variabili. Per questo nella parte elettrica le norme possono entrare più facilmente nel dettaglio operativo, mentre per i lavori non elettrici ogni realtà è diversa e quindi è praticamente impossibile dare regole specifiche valide per tutti; ci si deve fermare alla strutturazione del processo, che poi deve essere calato nella realtà.
Alessandro Mazzeranghi, Daniele Ruffini, Luca Belgero.
Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.
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