Per utilizzare questa funzionalità di condivisione sui social network è necessario accettare i cookie della categoria 'Marketing' Roma, 2 Mag - Da alcuni anni ci si interroga su quali siano gli effetti sull’uomo delle particelle nanometriche o nanoparticelle, infatti proprio il rapido sviluppo delle nanotecnologie e le ricerche emergenti sui nanomateriali hanno posto l’attenzione sui possibili rischi lavorativi.
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Regolamento CLP: le ricadute sui nanomateriali
Ne parliamo, con riferimento all’applicazione del regolamento n. 1272/2008 (regolamento CLP), attraverso gli atti del convegno nazionale del 13 maggio 2010 " Applicazione del Regolamento CE 1272/2008: classificazione, etichettatura e imballaggio delle sostanze e delle miscele e ricadute nella legislazione correlata", organizzato dal Centro Nazionale Sostanze Chimiche ( CSC) dell’Istituto Superiore di Sanità ( ISS).
L’intervento “Nanomateriali: aspetti rilevanti ai fini della classificazione”, a cura di Maria Alessandrelli , ci ricorda che i nanomateriali “sono caratterizzati dall’avere una o più dimensioni dell’ordine di 100 nm”. E se un nanometro (nm) è pari ad un miliardesimo di metro, “per avere un’idea quantitativo-visiva di un materiale in nanoscala basti pensare che è circa 80000 volte più piccolo della sezione a croce di un capello umano”.
In realtà le diverse tipologie di nanomateriali “si differenziano in funzione delle dimensioni nanometriche”. Ad esempio “si parla di strutture zero dimensionali (quantum dots o punti quantici) nel caso di nanoparticelle come ossidi, metalli, semiconduttori, fullereni. Si definiscono strutture monodimensionali quelle con una sola dimensione finita, come i nanofili (strutture monodimensionali piene) e i nanotubi (strutture monodimensionali cave) e strutture bidimensionali quelle con solo due dimensioni finite, come i fili sottili (a singolo strato o multistrato)”.
La relatrice sottolinea che nella sfera legislativa “non esistono ancora regolamentazioni specifiche per i nanomateriali”. E i Regolamenti CE 1907/2006 ( REACH) e 1272/2008 ( CLP) non contengono definizioni o provvedimenti espliciti sui nanomateriali.
Partendo dalla definizione di sostanza dei due regolamenti (un elemento chimico e i suoi composti, allo stato naturale o ottenuti per mezzo di un procedimento di fabbricazione, compresi gli additivi necessari a mantenerne la stabilità e le impurità derivanti dal procedimento utilizzato, ma esclusi i solventi che possono essere separati senza compromettere la stabilità della sostanza o modificarne la composizione) si può dire che tali regolamenti si applicano “alle sostanze in qualsiasi dimensione, forma o stato fisico, anche sottoforma di nanomateriali”.
La Commissione Europea sta elaborando una definizione del termine “nanomateriale” che “assicuri la coerenza tra i futuri sviluppi della legislazione e, dove appropriato, l’effettiva implementazione della legislazione esistente per contribuire al dibattito internazionale in merito alla valutazione del pericolo dei nanomateriali”.
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L’intervento indica poi che il termine “nanoforma”, riguardo ai regolamenti REACH e CLP, “fa riferimento a forme particolari, che presentano proprietà di nanomateriale, e si contrappone alla definizione di forma bulk, con la quale si intende la forma convenzionale della sostanza in esame”.
“La classificazione e l’etichettatura devono essere basate sulle proprietà intrinseche: i nanomateriali, in ragione delle loro specifiche caratteristiche, potrebbero richiedere una classificazione ed etichettatura differenti dalla forma bulk. Per le sostanze prodotte/importate, sia in nanoscala che in forma bulk, sono richieste classificazione ed etichettatura diversificate quando i dati disponibili sulle proprietà intrinseche indicano che esistono differenze nelle classe di pericolo”.
Dunque “la conoscenza dei pericoli collegati ai principali parametri fisici e chimici (dimensioni, forma, carica superficiale, siti reattivi, composizione, modifiche della superficie e dello stato di aggregazione, elevata solubilità, alla insolubilità, dosimetria) rappresenta ilpunto chiave per la loro classificazione”.
Riguardo allapericolosità dei nanomateriali, i dati scientifici che giustificano ad oggi la loro tossicità “sono ancora scarsi e penalizzano un’adeguata e quantitativa valutazione del rischio”.
Tuttavia per alcuni tipi di nanomateriali, “le evidenze scientifiche indicano l’insorgere di effetti nocivi”.
In particolare lo SCENIHR (Scientific Committee on Emerging and Newly Identified Health Risks) ha riscontrato “che non è ancora possibile identificare regole sistematiche per la classificazione tossicologica dei nanomateriali”.
In ogni caso gli “effetti tossici a carico di organi bersaglio come cuore, polmoni, reni e sistema riproduttivo, documentati in vivo su animali da esperimento, comprovano l’applicazione del principio di precauzione, con la finalità di limitare l’esposizione e tutelare quanti potrebbero risultare potenzialmente esposti”.
Inoltre dagli studi emerge “che non tutte le nanoforme risultano più tossiche delle forme bulk della stessa sostanza”.
Riguardo allaclassificazione dei nanomateriali, “accertata l’inadeguatezza delle informazioni disponibili per la valutazione del pericolo, la comunità scientifica è finora orientata ad un approccio ‘caso per caso’, tenendo conto di tutti i dati rilevanti a disposizione (anche sulla forma bulk ed eventuali read-across con altri nanomateriali)”.
Sulla base delle conoscenze attuali, “un’adeguata identificazione, classificazione ed etichettatura di una sostanza in forma nano implica:
- esaminare tutte le informazioni scientifiche disponibili per la valutazione del pericolo;
- valutare come i cambiamenti nelle proprietà intrinseche possano incidere sulle caratteristiche di pericolosità dei nanomateriali;
- riportare, ai fini della condivisione dei dati, dimensioni, forme e morfologie insieme a tutti gli usi identificati”.
Si ricorda che a norma del REACH, fabbricanti e importatori “hanno l’obbligo di presentare un fascicolo di registrazione per le sostanze fabbricate o importate in quantitativi pari o superiori a 1 tonnellata all’anno” e per quantitativi pari o superiori a 10 tonnellate all’anno è necessaria una relazione sulla sicurezza chimica. E, se ritenuto necessario, l’Agenzia europea per le sostanze chimiche ( ECHA) “può richiedere altre informazioni sulla sostanza”.
“Quando una sostanza chimica, già presente sul mercato come sostanza in forma bulk, è introdotta in forma nano, il dossier di registrazione dovrà essere aggiornato includendo le specifiche proprietà della nano forma della sostanza”.
Dopo aver fatto riferimento a una versione del software IUCLID (per la registrazione di una sostanza) che consente di includere l’informazione “nanomateriale”, la relatrice conclude che “nonostante il significativo impatto sul mercato a causa degli elevati vantaggi applicativi, i nanomateriali costituiscono un nuovo pericolo che espone gli individui, i lavoratori e l’ambiente a nuovi rischi caratterizzati da differenti meccanismi di interferenza con la fisiologia delle specie umane e ambientali”.
E i regolamenti REACH e CLP non sono ancora stati strutturati sui nanomateriali.
Perciò la legislazione corrente dovrà essere modificata (“es. per quanto attiene ai valori limite usati nel CLP che fanno scattare la classificazione), alla luce delle informazioni e degli studi continuamente implementati”.
“Nanomateriali: aspetti rilevanti ai fini della classificazione”, a cura di Maria Alessandrelli (Centro Nazionale Sostanze Chimiche, Istituto Superiore di Sanità, Roma), resoconto dell’intervento contenuto nel “ Rapporto ISTISAN 10/42 – atti del convegno ‘Applicazione del Regolamento CE 1272/2008: classificazione, etichettatura e imballaggio delle sostanze e delle miscele e ricadute nella legislazione correlata’ - Istituto Superiore di Sanità”, a cura di Francesca Marina Costamagna, Ida Marcello e Paola Di Prospero (Centro Nazionale Sostanze Chimiche) (formato PDF, 595 kB).
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