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Rischio stress lavoro correlato: la valutazione oggettiva e soggettiva

Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Valutazione del rischio incendio

14/12/2010

Il ruolo del Professionista nella valutazione del rischio da stress lavoro-correlato (VRSLC), alla luce delle Indicazioni della Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro. A cura di Andrea Cirincione e Massimo Servadio.


Fin dall'emanazione del D.Lgs. 81/08 è chiaro che la questione dei “rischi psicosociali” nasce travagliata. E' noto a tutti il paradosso costituito dall'obbligo di formazione su tali rischi (compreso il fenomeno “mobbing”) previsto per il modulo C degli RSPP, e la “scomparsa” della nozione di “rischio psicosociale” dal testo del D.Lgs. 81/08.
Come professionisti nell’ambito organizzativo e in quello delle risorse umane, sosteniamo da tempo, la necessità di un approccio di tipo sistemico e multidisciplinare, teso ad andare oltre la previsione del disposto normativo. Ci è di sostegno l'orientamento europeo in materia, ad esempio, la norma internazionale ISO 26000 (responsabilità sociale delle organizzazioni) del 1° novembre 2010. Tale norma, anticipatoria ed illuminata, prevede l'implementazione di MOG (Modelli di Organizzazione e Gestione) applicabili a qualsiasi tipologia organizzativa, pubblica o privata, grande o piccola.
 

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L'affermazione del principio di soggettività
La Commissione consultiva ha finalmente proposto le indicazioni metodologiche per la VRSLC.
La proposta di analisi del rischio quasi esclusivamente basata sulla "restituzione organizzativa del fenomeno" appare, dal nostro punto di vista, piuttosto riduttiva, sia rispetto alla specifica natura del rischio, di tipo intrinsecamente e semanticamente percettivo e soggettivo, sia per le numerose variabili e condizioni che sono proposte da realtà complesse e ad alta numerosità.
 
Il documento parla espressamente di “livello minimo di attuazione”, e così facendo offre il destro all'esproprio concettuale di tale livello minimo. A nostro avviso è da considerarsi “minimo” un processo che sia almeno qualitativo, non certamente il “minimo da farsi” per essere formalmente a norma.
Va detto e ribadito, infatti, che applicare una check list non può essere un livello minimo di valutazione del rischio, perché siamo al di sotto di una qualità accettabile della valutazione. Detto in parole semplici, con la check list non si valuta nulla, perché essa serve solo a raccogliere dati preliminari ad una valutazione.
Ma la questione fondamentale è anche un'altra. Il Documento della Commissione consultiva definisce lo “stress” con implicito riferimento al lavoro di R. Karasek, e cita, per ben due volte, la sensazione “di non sentirsi in grado”.
L'ineluttabile soggettività del problema richiede pertanto la “valutazione soggettiva”, che non può essere relegata ad approfondimento eventuale. Essa è la base della valutazione del rischio stress.
 
A questo si aggiunga che non tutto lo stress è lavoro-correlato, fatto che impone una “diagnosi differenziale” tra fonti di stress lavorative ed extralavorative. E' un dovere che non può essere assolto da valutazioni minimali, ma richiede un'azione professionale. Questo è il valore aggiunto che va prodotto.
 
Un altro punto di attenzione è nel merito dell'analisi organizzativa basata su indicatori specifici del fenomeno (aziendali, di contesto, di contenuto); la stessa analisi dovrà essere condotta con competenza e profondità analitica. E' di tutta evidenza che di “oggettivo” ci sono solo gli “eventi sentinella”. Il resto, cioè i fattori legati al “contesto” e i fattori legati al “contenuto del lavoro”, con l'approccio limitato alla check list, rispondono ad espressioni di percettività espresse dai “compilatori delle liste di controllo”!
 
Per tutta risposta alla domanda “Chi deve effettuare questa valutazione”? La scelta cade in sostanza sul DdL e sull' RSPP.
Ma come possono costoro avere competenza su una valutazione che, per preparazione e per necessaria terzietà, dovrebbe essere condotta con criteri di professionalità?
 
La metodologia di valutazione
Il Documento della Commissione non dice “cosa” si deve fare per valutare il rischio bensì “come” si deve procedere in via minimale. Già commentato il termine “minimale”, troviamo incredibile che qualcuno sia contento di considerare un lavoratore come un ingranaggio organizzativo, un numero nei cosiddetti “indicatori”, invece che un essere umano pensante.
Il tutto con l'unico scopo di ostacolare culturalmente il ricorso ai professionisti.
Entriamo nel merito.
E' evidente che sia per quanto concerne il metodo sia per il livello di azione si profilano ampie differenze nella consistenza del lavoro di valutazione che verrà svolto. In parte queste differenze è giusto che ci siano:
- se un valutatore preferisce un questionario validato ad un altro, è giusto che decida in libertà
- se egli decide di attuare un focus group piuttosto che un questionario, deve averne facoltà
Come sempre in tema di sicurezza, avremo una netta differenza tra coloro che penseranno solo di “mettersi a norma” e coloro che invece faranno una concreta valutazione dei rischi. E tra questi ultimi ci saranno differenze dettate dal livello di professionalità in gioco.
E' indispensabile quindi superare la dicotomia tra valutazione “preliminare” necessaria ed “approfondita” eventuale, concetto emergente dalle indicazioni della Commissione, per proporre invece questa sequenza logica:
a) Valutazione del rischio necessaria                  b) Interventi correttivi eventuali
 
Le conclusioni
La nostra esperienza ci permette di affermare che una valutazione “oggettiva, complessiva e parametrica”, come quella profilata dalla Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro, è riduttiva sia da un punto di vista logico, che metodologico e scientifico.
Riteniamo che la Commissione abbia abdicato alla necessità di consentire procedure di autovalutazione dei livelli rischio, ma basta un poco di fantasia per immaginare come possano venire attuate nella realtà.
Senza garanzia di “competenze” non è possibile valutare seriamente e serenamente un rischio delicato come quello da stress lavoro-correlato.
Peraltro distinguere tra stress genericamente inteso e stress lavoro-correlato permette di filtrare la presenza di stressors attribuibili all'organizzazione, ma soprattutto consente di proteggere l'imprenditore da un'indebita attribuzione di causalità nei fenomeni che possano verificarsi.
Riuscire ad erogare una prevenzione che sia “non di parte” ma attenta alla salute ed al benessere organizzativo è una sfida che non può essere presa sottogamba.
Difesa del lavoratore, difesa dell'imprenditore, collaborazione in équipe, salvaguardia della salute e della sicurezza e della produttività dell'impresa. Il tutto con una formula semplice ed accessibile a tutti. Questo è l'approccio sistemico, rispetto alla quale l'obbligo di VRSLC è certamente un opportunità da non mandare sprecata.
 
 
dott. Andrea Cirincione
dott. Massimo Servadio
Psicologi del Lavoro e delle Organizzazioni
Esperti di Analisi Organizzativa e Gestione Risorse Umane
 


Creative Commons License Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

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Rispondi Autore: Maurizio Traversari - likes: 0
14/12/2010 (08:23:30)
Seguo personalmente e professionalmente questo argomento da tempo e devo dire che NON condivido le critiche di questo articolo e di quelle di alcuni avvocati che, pur conoscendo la materia sicurezza velidamente, ne fanno una disquisizione di cavillo giuridico. Eminenti organi come ISPESL e altre istituzioni sul territorio nazionale hanno già indicato da tempo al DDL la strada da percorrere, sostenendo concretamente il 90% delle imprese italiane (cioè quelle al di sotto dei 10 lavoratori)nella difficile missione di rispettare una legge che, per molti e molti versi, è e rimane vessatoria per queste imprese. Sempre queste stesse imprese vivono e stanno vivendo momenti terribili dove, oltre a quelle fallite definitivamente, non si riesce a vedere una via di uscita per il futuro delle famiglie coinvolte. Il mio è un invito a comprendere la situazione ed il contesto nel quale ci muoviamo. E' già molto se riusciamo a trovare dei Datori di Lavore che, nonstante tutto, riescono ad ascoltarci ancora e a seguire poi concretamente la normativa. Al di la delle elcione ex catedra sarebbe opportuno contestualizzare molti aspetti della legge e, soprattutto per questa ziende, trovare delle vie di applicazione rigorosa ma semplificata della normativa.
Rispondi Autore: avv. Rolando Dubini - likes: 0
14/12/2010 (09:24:36)
Articolo splendido, il dilettantismo allo sbaraglio nella valutazione dei rischi è sempre deleterio, per valutare serve competenza. Questo il messaggio. Serietà di approccio, questo serve in materia di salute e sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori, la ricchezza fondamentale del paese e delle stesse aziende.
Rispondi Autore: Dr. Ernesto Ramistella - likes: 0
14/12/2010 (11:00:16)
Nell'articolo viene testualmente indicato: “Chi deve effettuare questa valutazione? La scelta cade in sostanza sul DdL e sull' RSPP". Il medico competente non viene citato, neanche successivamente e nonostante le stesse indicazioni metodologiche della Commissione Consultiva lo comprendano esplicitamente e sin dall'inizio.
Senza alcuna volontà polemica, credo opportuno sottolineare anche in questa sede l'indispensabile ruolo che il MC deve avere in questa valutazione, tanto più nell'ambito delle piccole e medie imprese. Non va trascurato che una valutazione "non corretta" potrebbe avere successivamente importanti ripercussioni sulla stessa idoneità alla mansione specifica o - peggio ancora - ingenerare incresciosi equivoci o contenziosi tra i lavoratori e i datori di lavoro e che lo stesso MC, che potrebbe trovarsi a gestire situazioni assai delicate a fronte di aspettative incongue.
Rispondi Autore: Telmo - likes: 0
14/12/2010 (14:35:18)
Quest'articolo non so se mi faccia più ridere o rabbia..Solo perchè gli psicologi sono stati giustamente messi alla porta, la Commissione ha sbagliato..Grande Commissione!e soprattutto un freno a chi vorrebbe anche il personal trainer nelle aziende!
Rispondi Autore: avv. Rolando Dubini - likes: 0
14/12/2010 (16:54:24)
Nell'articolo si segnale un problema rilevante:
Per tutta risposta alla domanda “Chi deve effettuare questa valutazione”? La scelta cade in sostanza sul DdL e sull' RSPP.
Ma come possono costoro avere una credibile competenza su una valutazione che, per preparazione e per necessaria terzietà, dovrebbe essere condotta con criteri di professionalità? "


E' veramente incredibile che si affidi una valutazione delicata a figure professionali preparatissime su argomenti del tutto diversi. Il fai da te dello stress.
La domanda potrebbe essere questa: qual'è la competenza professionale in materia di stress lavoro correlato, gli articoli scientifici pubblicati, e l'esperienza professionale sul campo di chi componeva la commissione consultiva? L'esclusione del Medico Competente ha poi dell'incredibile. In ogni caso va ricordato l'articolo 31 del dlgs n. 81/2008 "Articolo 31 - Servizio di prevenzione e protezione - 3. Nell’ipotesi di utilizzo di un servizio interno, il datore di lavoro può avvalersi di persone esterne alla azienda in possesso delle conoscenze professionali necessarie, per integrare, ove occorra, l’azione di prevenzione e protezione del servizio.".
Rispondi Autore: avv. Rolando Dubini - likes: 0
14/12/2010 (16:55:29)
Il D.Lgs. n. 81/2008 è in vigore dal maggio 2008, ci sono stati due anni e mezzo di tempo per fare la valutazione, e per favore evitiamo di dire che senza le scarne indicazioni della commissione non si poteva fare la valutazione, quando per valutare il rischio da movimentazione dei carichi si è andati a prendere i metodi statunitensi! Si vada sul sito dell'agenzia del lavoro inglese per vedere quale sia la serietà dell'approccio ad un problema
Http : / / w w w . h s e . g o v . u k / s t r e s s /
da noi assurdamente sottovalutato, in modo rivelatore dell'approssimazione e del metodo spannometrico spesso ancora vigente nel settore della sicurezza e salute sul lavoro.
Rispondi Autore: Telmo - likes: 0
14/12/2010 (17:11:46)
C'è un ente autorevole, l'Ispesl, che ha dettato precise linee guida. Punto. C'è una chiara circolare ministeriale che ha sancito che la valutazione si effettua a partire dal 01/01/2011. Punto. Adesso sembra che lo stress sia il rischio più importante del mondo. La classica moda italiana del momento. Per fortuna le aziende, già stressate di loro, non sono state ulteriormente vessate.
Rispondi Autore: avv Rolando Dubini - likes: 0
14/12/2010 (17:37:11)
Adesso non è più la legge a decidere l'entrata in vigore degli obblighi, sono le circolari! E poi non è neppure una circolare, ma una lettera circolare, inviata solo alle parti sociali e agli ispettori del lavoro, ma non a tutti i datori di lavoro italiani e agli ispettori Asl, che potrebbero benissimo non conoscerla, e forse è meglio se la valutazione stress la fanno adottando le ben più pregnanti indicazioni del coordinamento tecnico interregionale.
La sentenza della Cassazione Sezione Unite n. 23031 del 2 novembre 2007 da definito il corretto valore di una circolare emanata dalla pubblica amministrazione (nella fattispecie dell'Agenzia delle Entrate): le circolari hanno natura di atti meramente interni della pubblica amministrazione che esprime con essi esclusivamente un parere dell'amministrazione e non vincola addirittura la stessa autorità che l'ha emanata. La Sentenza ribadisce, richiamando le precedenti pronunce sull'argomento, che ogni circolare per la sua natura e per il suo contenuto (di mera interpretazione di una norma di legge), non potendo esserle riconosciuta alcuna efficacia normativa esterna, non può essere annoverata fra gli atti generali di imposizione in quanto esse non possono nè contenere disposizioni derogative di norme di legge, ne essere considerate alla stregua di norme regolamentari vere e proprie. La sentenza si spinge oltre: La circolare nemmeno vincola, a ben vedere, gli uffici gerarchicamente sottordinati, ai quali non è vietato di disattenderla (evenienza, questa, che, peraltro, è raro che si verifichi nella pratica), senza che per questo il provvedimento concreto adottato dall'ufficio (atto impositivo, diniego di rimborso, ecc.) possa essere ritenuto illegittimo "per violazione della circolare": infatti, se la (interpretazione contenuta nella) circolare è errata, l'atto emanato sarà legittimo perchè conforme alla legge, se, invece, la (interpretazione contenuta nella) circolare è corretta, l'atto emanato sarà illegittimo per violazione di legge. Il ragionamento è oltremodo condivisibile allorquando i giudici indicano che ammettere nelle circolari opinioni interpretative dell'amministrazione con vincoli equivale a riconoscere all'amministrazione stessa un potere normativo in conflitto con la carta costituzionale che assegna tale potere al Parlamento.
Rispondi Autore: Andrea Cirincione - likes: 0
14/12/2010 (23:42:19)
Bene, vedo che il dibattito è fervente. Ringrazio Telmo (preferirei una firma per esteso) per le sferzanti critiche, che fanno sempre bene. C'è chi con serietà si occupa di questo tema, e cerca di condividere la propria (lunga) esperienza. Abbiamo scritto un testo contenente argomenti per una riflessione, il resto è lasciato alla valutazione di chi legge. Grazie a Dubini ed altri altri che hanno commentato.
www.psicologocompetente.it
Rispondi Autore: Dr. Ernesto Ramistella - likes: 0
15/12/2010 (10:37:29)
Concordo pienamente con il dr. Cirincione, che va senz'altro ringraziato per aver dato inizio a questa importante riflessione su un tema quanto mai delicato che proprio in questi giorni è all'attenzione dei datori di lavoro e di tutte le altre figure della prevenzione. Interessanti e degni della massima attenzione anche gli interventi dell'avv. Dubini, per l'approfondimento del tema dal punto di vista giuridico. Credo ci sarà da lavorare per tutti, nel prossimo futuro, con serietà e spirito di collaborazione e in un'ottica multidisciplinare, certo senza alcun intento "punitivo" nei confronti delle aziende e dei datori di lavoro ma sempre nell'interesse della tutela della salute dei lavoratori del nostro paese.
Rispondi Autore: Carlo Testi - likes: 0
16/12/2010 (00:37:50)
Lette le considerazioni del Sig. Traversari, che condivido pienamente, salendo nei commenti mi sono accorto che siamo di fronte a persone che quando si parla (o scrive) non stanno a sentire ciò che si dice.
Per cortesia Avvocato, Psicologi e Medico, gradirei vi rileggeste il primo commento (Traversari) e, se proprio Vi sembra importante continuare a tirare l'acqua al Vs. mulino, non vi lamentate se poi qualcuno Vi insulta (prima o poi ci incontriamo!).
Concludo con una domanda, ad esempio per lo Psicologo (ma va bene anche per il Medico):
quanto chiede Lei come compenso per la VRSLC ad una microimpresa?
E ora che si è risposto, pensi a quanto pesa la sua modesta parcella sul bilancio di un'azienda in piena crisi.
Saluti
Rispondi Autore: Andrea Cirincione - likes: 0
16/12/2010 (15:47:13)
Caro sig. Testi,
gli argomenti di Traversari ed i suoi sono chiari a tutti, viviamo nel mercato e conosciamo la situazione, ed io li condivido come ho detto personalmente a Maurizio stesso.
Anche l'argomento di Ramistella è condivisibile, ovvero la parte che devono giocare i medici del lavoro.
Dubini poi va sempre letto con attenzione, per la cura con cui argomenta i temi di giurisprudenza applicata.
Accetto persino Telmo, che evidentemente ha un suo personale disgusto verso una categoria professionale.
Il mio contributo nell'articolo entra nel merito e nel metodo di come si faccia la valutazione, non è una disamina della crisi.
Se poi vuole che le confessi la mia opinione sul rapporto costo-benefici, posso dirle che vedo molti fare finte valutazioni (con software, questionarietti, check list), in alcuni casi il prezzo è comunque sensibile e la validità di quanto fatto è "zero". Questi sono soldi letteralmente buttati via.
Vedo gente che le valutazioni dei rischi non le fa (tutti i rischi), come c'è gente che viaggia con le gomme lisce. D'altronde se non ci sono soldi bisogna tirare la cinghia.
Sia chiaro, tra spendere dei soldi per nulla e non spenderli, è meglio tenerseli.
Io sono tra coloro che la valutazione del rischio la fa affinché quella che lei chiama "modesta parcella" abbia un senso.
Se poi ritiene che io tiri acqua al mio mulino non vedo cosa ci sia di male, le cosa fa ? Tira acqua nei mulini altrui ?
La differenza è tra chi usa acqua e mulino per produrre, e chi l'acqua la spreca ed il mulino lo abbandona.
Se poi quando ci incontriamo vorrà rinnovarmi i suoi argomenti, sarò ben lieto di parlarne a viso aperto.
Rispondi Autore: Luca Libanora - likes: 0
18/12/2010 (11:11:28)
Nell’esperienza più di un centinaio di valutazioni ormai effettuate in organizzazioni di diversa tipologia e struttura, mi porta spesso ad incontrarmi con imprenditori, ma anche lavoratori, che avversano non solo l’attenzione a questi fattori di rischio, ma anche la presenza di figure professionali ad essi legati.
Senza rimanere insensibili alle difficoltà finanziarie delle aziende, vorrei sintetizzare alcune riflessioni:
1) è vero che l’attività di un professionista non è a titolo gratuito, ma quanto costa alle aziende la presenza di dinamiche come conflittualità, demotivazione, errori, infortuni ecc.? questi professionisti dispongono di strumenti che sono in grado di anticipare e gestire tali fenomeni che incidono fortemente sulla redditività aziendale e quindi sulle risorse
2) è vero che i professionisti chiamati in causa probabilmente “tirano l’acqua al proprio mulino”, ma devo dire che molti imprenditori si arrabbiano perché vedono l’acqua sottratta al loro; mi spiego meglio: a volte gli imprenditori non vogliono fra i piedi medici e psicologi perché temono che questi “scoperchino” situazioni difficili portando queste informazioni ai lavoratori, con conseguenze che si immaginano come deleterie (più volte mi è stato detto “l’unico metodo che funziona è quello del bastone e della carota” – come dissentire?)
3) il problema, a mio avviso, non risiede nel valore delle norme e delle circolari, ma nella cornice culturale che accoglie tutta la legislazione relativa alla sicurezza in azienda, troppo lasciata a slogan e alla relazione controllo-sanzione; infatti, quando incontro aziende che fanno riferimento a organizzazioni di categoria che ispirano il livello minimale e osteggiano un cambiamento culturale, l’accoglienza è “fredda” (uso un eufemismo naturalmente), quando vi è stata un’adeguata informazione, l’imprenditore supera facilmente l’aspetto normativo perché ha compreso il valore strumentale che la normativa ispira, piuttosto che imporre.
Rispondi Autore: Luca Libanora - likes: 0
18/12/2010 (11:25:59)
Nell’esperienza più di un centinaio di valutazioni ormai effettuate in organizzazioni di diversa tipologia e struttura, mi porta spesso ad incontrarmi con imprenditori, ma anche lavoratori, che avversano non solo l’attenzione a questi fattori di rischio, ma anche la presenza di figure professionali ad essi legati.
Senza rimanere insensibili alle difficoltà finanziarie delle aziende, vorrei sintetizzare alcune riflessioni:
1) è vero che l’attività di un professionista non è a titolo gratuito, ma quanto costa alle aziende la presenza di dinamiche come conflittualità, demotivazione, errori, infortuni ecc.? questi professionisti dispongono di strumenti che sono in grado di anticipare e gestire tali fenomeni che incidono fortemente sulla redditività aziendale e quindi sulle risorse
2) è vero che i professionisti chiamati in causa probabilmente “tirano l’acqua al proprio mulino”, ma devo dire che molti imprenditori si arrabbiano perché vedono l’acqua sottratta al loro; mi spiego meglio: a volte gli imprenditori non vogliono fra i piedi medici e psicologi perché temono che questi “scoperchino” situazioni difficili portando queste informazioni ai lavoratori, con conseguenze che si immaginano come deleterie (più volte mi è stato detto “l’unico metodo che funziona è quello del bastone e della carota” – come dissentire?)
3) il problema, a mio avviso, non risiede nel valore delle norme e delle circolari, ma nella cornice culturale che accoglie tutta la legislazione relativa alla sicurezza in azienda, troppo lasciata a slogan e alla relazione controllo-sanzione; infatti, quando incontro aziende che fanno riferimento a organizzazioni di categoria che ispirano il livello minimale e osteggiano un cambiamento culturale, l’accoglienza è “fredda” (uso un eufemismo naturalmente), quando vi è stata un’adeguata informazione, l’imprenditore supera facilmente l’aspetto normativo perché ha compreso il valore strumentale che la normativa ispira, piuttosto che imporre.
Rispondi Autore: Andrea Cirincione - likes: 0
19/12/2010 (13:44:30)
Concordo con Libanora sul fatto che la questione coinvolga più in generale la gestione delle risorse umana, al di là della valutazione di un rischio. La frase sul "bastone e la carota" l'abbiamo sentita tutti, Libanora chiede "Come dissentire ?", io propongo un modo: FARE FORMAZIONE. Riguardo alla cultura della sicurezza bisognerebbe passare da un sistema prevalentemente sanzionatorio ad uno prevalentemente premiale. Ce la faremo ?
Rispondi Autore: Luca Libanora - likes: 0
20/12/2010 (10:15:07)
Gentile Cirincione, supporto pienamente la sua tesi che l'esito eccellente di un percorso di valutazione-intervento sia la formazione. Auspico però, ed è l'impegno che dovrebbero prendersi tutte le figure professionali che ruotano attorno a questo argomento (anche per contrastare le critiche di chi non ne comprende il ruolo e l'importanza)che si riesca a superare l'impianto controllo-sanzione in favore di una crescita culturale che purtroppo è ben lontana nelle piccole aziende, e lo era anche in tempi di "vacche grasse". Se ha sentito ricorrente la frase "bastone e carota", si sarà trovato anche di fronte a chi, di fronte alla formazione obbligatoria, ha proposto di "mettere una firma e via..." (in pratica non farla proprio) e di formazione non obbligatoria non vuole sentirne parlare. La realtà prevalente è questa. Purtroppo.
Rispondi Autore: Augusto Piazza RSPP - likes: 0
22/12/2010 (08:47:17)
Condivido le osservazioni puntuali dell'avv. Dubini in merito a come una letteraCircolare non possa normare o dare scadenze.
Mi permetto però di sottolineare che questa Circolare è indirizzata anche a tutte le organizzazioni datoriali e sindacali e che si sottolinea la necessità di coinvolgimento dei lavoratori e degli RLS. L'utilizzare ad esempio le linee guida Ispesl per una analisi dell'organizzazione del lavoro e attraverso il lavoro di un Gruppo (DDL. RSPP MC RLS) permette comunque di entrare nel merito di meccanismi che sono spesso NON considerati come possibili cause di disagio o peggio danno alla salute dei lavoratori.
Resta poi "il potere" in carico al Medico Competente di chiedere "approfondimenti soggettivi" nell'ambito della sorveglianza sanitaria su quei lavoratori o gruppi di lavoratori che operano in aree dove l'analisi oggettiva ha individuato segnali.

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