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Stress da lavoro-correlato: cosa accade in Italia?

 
A circa cinque mesi dalla pubblicazione delle linee guida per la valutazione dello stress lavoro correlato l’autore, che ha partecipato alla stesura delle linee guida pubblicate del Ministero del Lavoro, propone una prima analisi di cosa sta accadendo nel nostro paese a seguito dell’avvio della valutazione richiesta dal D. Lgs. 81/08. A cura di Antonio Zuliani.
 
La Commissione Consultiva permanente per la salute e la sicurezza sul lavoro ha approvato, lo scorso novembre, le linee guida relative alla valutazione dello stress lavoro-correlato, come quanto disposto dagli articoli 6, comma 8, lettera m-quater, e 28, comma 1 bis del D. Lgs. 81/2008 e successive modificazioni. Tale linee guida sono state pubblicate con apposita Circolare da parte del Ministero del Lavoro il 18 novembre 2010.
Avendo fatto parte del Comitato, istituito presso il Ministero del Lavoro, che ha elaborato queste linee vorrei proporre una prima analisi critica della situazione a più di tre mesi dalla loro pubblicazione.
 
Tra desiderio e realtà
Il documento prodotto aveva l’obiettivo di fornire delle indicazioni metodologiche che permettessero a qualsiasi datore di lavoro di poter attuare l’obbligo della valutazione dello stress lavoro-correlato, commisurandola alla sua reale e specifica realtà organizzativa e produttiva.
Proprio per favorire questa attuazione non erano state emanate disposizioni rigide e/o pensate principalmente per grandi e complesse realtà produttive (come risultavano essere ad esempio quelle contenute in numerosi e qualificati documenti elaborati anche da importanti Enti di ricerca) pensando che una richiesta troppo minuziosa avrebbe indotto la maggioranza delle piccole realtà produttive italiane ad una sorta di “evasione” dell’obbligo perché sentito come troppo complesso e lontano dal fotografare la propria realtà.
Lo spirito del documento ministeriale, invece, sottende l’idea di avviare, anche nel nostro paese, un percorso di riflessione e di azione atto a migliorare il fattore benessere all’interno del mondo del lavoro e ciò appare possibile solamente se l’approccio risulta fattibile per tutti.
Questo è forse l’effetto che meno si coglie a distanza di poco più di tre mesi. E’ ben vero che il tempo è limitato e che, al di là delle scadenze, ben poche realtà aziendali sembrano essersi adeguate alla norma, ma sembra evidente che le aziende che già avevano adottato una politica interna attenta allo sviluppo delle risorse umane hanno trovato un’ulteriore occasione di riflessione, per le altre poco sembra essere cambiato.
Se ciò è accaduto ritengo che parte della responsabilità ricada anche su tanti “consulenti” che hanno rivolto maggiormente la loro attenzione al limitato aspetto delle realizzazione della valutazione preliminare (che può essere svolta efficacemente all’interno dell’azienda stessa) invece di proporsi come efficaci risorse per affiancare l’azienda nella soluzione dei complessi temi che potevano scaturire dal dover o dal decidere di affrontare la valutazione approfondita delle causa che impediscono lo sviluppo di un significativo benessere. Certamente si tratta di una strada più semplice, ma che segnala anche una certa improvvisazione in tanto mondo consulenziale.
Questo scarso apporto da parte del mondo dei consulenti deriva, a mio parere da due fattori. Da un lato tutte le incombenze derivanti dalle disposizioni relative alla sicurezza, che hanno trovato la loro definizione nel D. Lgs. 81/08, hanno determinato una sorta di rendita di posizione che ha spinto all’inaridirsi delle spinte innovative rischiando di trasformare i consulenti in una sorta di “burocrati” della sicurezza, non più interessati a suggerire all’azienda l’opportunità di affrontare tematiche innovative. Parafrasando: “c’è così tanto lavoro per la prassi ordinaria che non vale la pena di dedicarsi a cose nuove, che l’azienda non gradisce”. Il secondo aspetto è legato al fatto che la valutazione dello stress lavoro correlato ha rappresentato una ghiotta occasione per tanti neofiti che, non conoscendo affatto il mondo aziendale, hanno pensato che occupandosene fosse un efficace modo per “sbarcare il lunario” riducendosi, così, ad compilatori di check list, alcune delle quali veramente buffe.
 


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Benessere o stress?
L’amara riflessione sopra presentata sottolinea ancora una volta come la maggior attenzione stia riguardando le “misure” per superare indenni un’incombenza vissuta come “fastidiosa” piuttosto che affrontare il ben più significativo argomento del miglioramento del benessere.
Lavorare per il miglioramento del benessere significa, in sostanza, diminuire le ripercussioni negative sul lavoro collegabili allo stress, ma anche uscire dalla logica strettamente strumentale di un lavoro che assume solamente la finalità di concorrere all’incremento della produzione. Questa nuova attenzione può veramente riproporre il lavoro come luogo in cui la persona può incontrare se stesso, le proprie potenzialità e ideazioni attraverso l’attuazione di una progettualità che non lo fa muovere con la sola logica del fare.
Fare, alla fin fine, è eseguire bene un mansionario, una procedura a prescindere dagli scopi finali dei quali non ci si sente responsabili. La storia è piena di persone che hanno applicato procedure perché è stato loro ordinato di farlo o perché non sapevano fare altro seguendo ragioni solo strumentali.
Superare la logica del fare significa adottare quella più matura dell’agire dove l’azione è sempre scelta sulla base di principi etici e politici, il primo dei quali è quello della responsabilità personale non delegabile a ordini dall’alto o a procedure “immutabili”.
A ben vedere la differenza profonda sta nel fatto che per fare non occorre pensare, per agire si.
Senza ricordare i benefici nel settore della produttività e della lotta all’assenteismo che l’attenzione al benessere determinano (solo per citare alcuni dei più evidenti risultati che la ricerca sta evidenziando), ritengo che la possibilità di avere collaboratori portati alla partecipazione attiva sia una risorsa di grande importanza proprio in questo periodo di crisi economica, dove ogni apporto e ogni idea positiva diventano tanto più preziose.
 
L’esempio di E.Bi.Pro.
Nel panorama nazionale spicca la via scelta da E.Bi.Pro (l’Ente bilaterale dei Liberi Professionisti italiani) che ha scelto di approfittare dell’occasione offerta dalla necessità di produrre una valutazione sullo stress lavoro correlato all’interno degli studi professionali per promuovere un’azione di riflessione comune tra datore di lavoro e collaboratori/dipendenti sia sul significato della tematica sia sulle reciproche attenzione per il miglioramento del benessere all’interno dell’ambiente di lavoro. […]
Il coinvolgimento dei dipendenti per la valutazione non è solo un adempimento normativo, ma l’opportunità per lo sviluppo di uno studio più sano e produttivo, nel quale si lavora per aumentare il benessere: questo non solo realizza un clima interno migliore, ma anche realizza verso l’esterno un’immagine di qualità, in grado di fidelizzare vecchi e nuovi clienti.
L’obiettivo condiviso diviene quello di realizzare e mantenere il benessere fisico e psicologico delle persone, attraverso la costruzione di ambienti e relazioni di lavoro che contribuiscano al miglioramento della qualità sia della vita dei lavoratori sia delle prestazioni.
Nello spirito innovativo di ricerca delle migliori condizioni di benessere all’interno dello studio professionale, possono essere attivate una serie di strategie, che possono essere utili per individuare le misure migliorative sia qualora la valutazione dimostri la presenza di stress nel luogo di lavoro sia se si vuole, comunque, attivate un’azione di costante miglioramento.
A tale proposito si sottolinea come, nella realtà della particolare interazione tra titolare e collaboratori che si ritrova all’interno degli studi professionali, il coinvolgimento dei collaboratori nella scelta e nell’attuazione delle misure da adottare è già di per sè una strategia utile per il superamento dello stress, oltre a rispettare lo spirito della legge.
Si tratta, inoltre, di un metodo necessario se si vuole perseguire lo sviluppo di una cultura della sicurezza (in questo caso della ricerca del benessere) non legata solo al rispetto degli adempimenti di legge, ma fattivamente condivisa in un processo formativo che coinvolge tutti i soggetti dello studio.
 
 



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Rispondi Autore: KENDO - likes: 0
10/05/2011 (15:10:28)
CITO DALL'ARTICOLO "Il secondo aspetto è legato al fatto che la valutazione dello stress lavoro correlato ha rappresentato una ghiotta occasione per tanti neofiti che, non conoscendo affatto il mondo aziendale, hanno pensato che occupandosene fosse un efficace modo per “sbarcare il lunario” riducendosi, così, ad compilatori di check list, alcune delle quali veramente buffe." TROVO UN PO' DELUDENTI QUESTE AFFERMAZIONI, GENIALE INVECE LA TROVATA PUBBLICITARIA (COME SI EVINCE CLICCANDO SULLA FONTE)..SALUTI


Rispondi Autore: Sera_78 - likes: 0
12/05/2011 (11:05:12)
Mi sembra molto riduttivo affermare che lo scarso coinvolgimento delle aziende dipenda dall'atteggiamento dei consulenti...diciamo pure la verità: moltissime aziende per prime non riconoscono o non vogliono riconoscere la sicurezza come valore sociale ed economico e pertanto non sono dipsoste a riconoscere il valore di un servizio , ma a fare il minimo indispensabile per essere "in regola", a loro rischio e pericolo.
Se gli vengono fatte due righe invece di una valutazione e dun affiancamento vero e proprio, è perché vogliono spendere per avere quelle due righe e non di più! Siccome le competenze non sono acqua fresca, devono anche essere riconosciute.
Rispondi Autore: Alessandro - likes: 0
17/05/2011 (09:32:36)
commento solo una affermazione:
"c’è così tanto lavoro per la prassi ordinaria ..." = ci sono ancora molte cose importanti e rischiose da sistemare con livello di priorità mooolto più alto della valutazione rischio stress

"che non vale la pena di dedicarsi a cose cose nuove, che l’azienda non gradisce"
se l'azienda non le gradisce non le paga, forse i bravissimi consulenti che lei conosce sono volontari gratuiti ?

In generale, un articolo tra i peggiori, sfiora il ridicolo ma soprattutto non conosce il lavoro.
Vedo in giro tanti psicologi che, loro si, sono saltati sulla novità del momento e si propongono come consulenti di sicurezza !

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