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Sulla responsabilita' del direttore di cantiere per omessa manutenzione
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Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.
Commento a cura di Gerardo Porreca ( www.porreca.it).
Sussiste l’obbligo di verificare costantemente, anche con il passare del tempo e rispetto all’epoca della loro produzione, la rispondenza delle attrezzature di lavoro, ai requisiti di sicurezza sul lavoro previsti dalle norme di sicurezza, anche in conseguenza di innovazioni normative ed aggiornamenti tecnologici, fino al punto di non utilizzarla ove non sia possibile applicarvi apparati di protezione.
È questo l’insegnamento che deriva da questa sentenza della Corte di Cassazione con la quale viene posto anche in evidenza che l’omissione dei dispositivi di sicurezza di una macchina non può essere giustificata dalla impossibilità tecnica di adottarli perché incompatibili con la funzionalità della macchina in quanto una macchina alla quale non siano applicabili i dispositivi di sicurezza non deve essere né costruita, né venduta, né posta in uso.
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La sentenza in esame della Sez. IV si riferisce ad un incidente accaduto durante la costruzione di una galleria nel corso della quale ha perso la vita un operaio e sono rimasti gravemente feriti altri quattro. In particolare mentre un carrello trasportava dei lavoratori in salita su di una pendenza pari a 44 gradi lo stesso precipitava a valle andandosi a schiantare contro il blocco di fine corsa della stazione di partenza a causa della rottura del meccanismo di trazione del carrello e del successivo malfunzionamento dei dispositivi di frenatura a corredo del carrello stesso.
Al termine dei propri accertamenti il consulente del P.M. concludeva sostenendo che la causa dell’incidente andava individuata in un difetto di progettazione del carrello ed in una carenza di manutenzione in quanto durante la risalita del carrello si erano spezzati dei bulloni che assicuravano l’accoppiamento dell'albero motore con il meccanismo sul quale si avvolgeva la fune traente per cui l’albero motore stesso girava a vuoto ed il carrello precipitava e precisava, inoltre, che i freni meccanici di emergenza non erano riusciti a frenare la discesa del carrello a causa della presenza di corpi estranei fra le ganasce entrati per la mancanza di ripari utili atti ad impedirne l’ingresso deducendo che se al momento del fatto i freni avessero regolarmente funzionato il carrello si sarebbe arrestato.
Venivano quindi chiamati a rispondere dell'evento, a titolo di cooperazione colposa, il responsabile della progettazione e della costruzione del carrello, il responsabile della verifica del progetto, il rappresentante legale della ditta appaltatrice dei lavori di costruzione della galleria e datrice di lavoro delle vittime dell'infortunio, il direttore del cantiere ed il responsabile del servizio prevenzione degli infortuni. A seguito del giudizio però il G.U.P. del Tribunale dichiarava colpevoli solo il progettista, per gli errori commessi nella progettazione e realizzazione del carrello, ed il direttore del cantiere in quanto, pur essendo prevedibile l'ingresso di materiale estraneo tra i ceppi, lo stesso non aveva ordinato che venisse attuata una pulizia con cadenza giornaliera così da garantire il perfetto funzionamento dell'impianto frenante, contravvenendo all’art. 220 del D.P.R. n. 547/1955 mentre assolveva a vario titolo tutti gli altri imputati.
Sia il P.M. contro l’assoluzione degli altri imputati, che il direttore di cantiere proponevano ricorso alla Corte di Appello che però confermava le decisioni del Tribunale sostenendo che una adeguata pulizia dei freni di emergenza dell’impianto avrebbe certamente consentito al carrello di arrestarsi e ponendo in evidenza in particolare che il direttore di cantiere aveva ricevuto dal datore di lavoro idonea ed esplicita delega in materia di sicurezza del lavoro. A propria discolpa il direttore di cantiere sosteneva che la causa dell’accaduto era da far risalire ad un errore del progettista che doveva adoperarsi affinché il carrello fosse dotato di freni di emergenza tali da poter operare in maniera ottimale anche in un ambiente quale quello dell’incidente nel quale era ampiamente prevedibile la presenza di detriti oltre al fatto che l’operazione di pulizia era comunque difficoltosa e neanche prevista dal costruttore.
Il direttore tecnico faceva quindi ricorso alla Corte di Cassazione la quale però ha rigettato il ricorso stesso confermando la condanna dell’imputato. Secondo la Suprema Corte infatti l'unico modo per ovviare all'inconveniente dell'ingresso dei detriti era in realtà la pulizia periodica dell'alloggiamento delle ganasce che rientrava nel dovere di manutenzione ordinaria facente capo al direttore del cantiere. D'altra parte, sostiene ancora la Corte, le feritoie delle ganasce erano "a vista" e quindi era facile ed immediato intuire che potessero entrare detriti, sassi, sabbia, cemento o terriccio e quindi la responsabilità era da attribuire al direttore di cantiere, che pur in possesso di esplicita e documentata delega in materia di sicurezza sul lavoro non aveva vigilato che l'impianto frenante di emergenza fosse mantenuto, mediante la periodica pulizia dei vani ganasce, in condizioni di perfetta efficienza.
Interessanti poi le conclusioni a cui è pervenuta la Corte di Cassazione secondo la quale, così come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza della stessa Corte, vige “l'obbligo di verificare costantemente, anche con il passare del tempo, la rispondenza delle attrezzature di lavoro, rispetto all'epoca della loro produzione, ai requisiti previsti dalla legge in tema di sicurezza per i lavoratori (anche in conseguenza di innovazioni normative ed aggiornamenti tecnologici) - fino al punto di non utilizzare l'attrezzo ove non sia possibile applicarvi apparati di protezione” ribadendo che (Sez. 4, n. 41895 del 2003, RV. 227284) “in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, l'omissione dei dispositivi di sicurezza di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955 articolo 71 non può trovare alcuna giustificazione deducendo l'impossibilità tecnica di adottare tali misure perché incompatibili con la funzionalità della macchina, posto che non può ammettersi e non sussiste - alla stregua dei principi generali di protezione delle macchine contenuti nel capo 4 del titolo terzo del Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955 (articoli 7, 68, 69, 70 e 71) - alcuna impossibilità tecnica elusiva degli obblighi di prevenzione, in quanto una macchina alla quale non siano applicabili i dispositivi di sicurezza non può essere costruita, né venduta, né posta in uso".
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