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Sulle responsabilità per una modifica a una macchina marcata CE
Commento cura di G. Porreca.
Il datore di lavoro è garante della sicurezza di una macchina messa a disposizione di un proprio lavoratore dipendente ed è tenuto a valutare e ad eliminare i rischi connessi al suo utilizzo anche se la macchina stessa è fornita di marcatura e di dichiarazione di conformità CE. E’ la massima che discende dalla lettura di questa sentenza della Sez. IV della Corte di Cassazione penale che in realtà conferma quello che è ormai un principio già consolidato nella giurisprudenza. Per giungere alle proprie conclusioni, infatti, la suprema Corte ed anche per rafforzare le proprie considerazioni svolte sul caso particolare sottoposto al suo esame, ha effettuata una interessante panoramica su tutte le principali precedenti sentenze emesse sull’argomento. In questa sentenza in più la suprema Corte, nel confermare la condanna inflitta al datore di lavoro già dal Tribunale e dalla Corte di Appello per un infortunio occorso presso una macchina marcata CE messa a disposizione di un proprio lavoratore dipendente e sulla quale era stata apportata una modifica, ha messo in particolare in evidenza gli obblighi posti a carico del datore di lavoro derivanti dalla modifica stessa giudicata di natura costruttiva, essendo stata sostituita una protezione posta a difesa di un rischio meccanico e già prevista in progettazione dal costruttore con un altra di diverse caratteristiche e più precisamente di diverse dimensioni, modifica che è stata comunque tale da introdurre un rischio aggiuntivo non esistente nella macchina nella conformazione originaria e della cui presenza avrebbe dovuto accertarsi il datore di lavoro adottando le eventuali successive misure di protezione a tutela della sicurezza del lavoratore.
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Il fatto
Il datore di lavoro di una azienda è stato chiamato a rispondere davanti ad un Tribunale del reato di lesioni personali colpose per aver messo a disposizione dei propri dipendenti una macchina monoblocco priva di riparo e protezione della zona di riavvolgimento del filo e quindi non idonea ai fini della sicurezza sul lavoro, in violazione dell’articolo 35 comma 1 del D. Lgs. n. 626/1994, e nell'aver omesso di fornire al lavoratore infortunato sia le informazioni ed istruzioni d'uso necessarie per garantire la sua sicurezza durante le normali condizioni di impiego della suddetta macchina, sia la formazione adeguata sulle condizioni di impiego stesso, in violazione dell’articolo 37 comma 1 e dell’articolo 38 comma 1 del D. Lgs. n. 626/1994, e comunque per non aver impedito con negligenza ed imprudenza che il lavoratore, introducendo la mano coperta dal guanto di protezione nella zona di avvolgimento del filo per pulirlo ed a causa del successivo incastrarsi del guanto tra la bobina di tiro e il contro rullo, si cagionasse delle lesioni consistite nella frattura della mano con incapacità ad attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore a 40 giorni. Il datore di lavoro a seguito delle riconosciute responsabilità è stato condannato alla pena di euro 300,00 di multa ed ha quindi fatto ricorso alla Corte d'Appello che ha confermata la sentenza impugnata e che ha richiamate integralmente le argomentazioni fatte dal primo giudice rigettando le deduzioni difensive dell’imputato incentrate, in particolare, sulla presenza di una anomalia costruttiva sulla macchina e sul fatto che si era fidato del certificato di conformità CE e dell’analisi dei rischi fatta dal costruttore nonché sul fatto che, proprio per garantire al massimo la sicurezza dei lavoratori, lo stesso aveva provveduto a munire il macchinario di ulteriori griglie ed a fornire ai dipendenti tutte le informazioni utili per il suo corretto uso e per evitare inconvenienti durante le operazioni di controllo del filo.
La Corte distrettuale ha sottolineato che “a nulla rilevava che il macchinario fosse munito del certificato di conformità avuto riguardo agli obblighi del datore di lavoro, ivi compreso quello della verifica del macchinario utilizzato, e tenuto conto che l'imputato pur avendo apportato modifiche ai macchinario stesso non si era accorto che la griglia di protezione della parte frontale era larga cm. 78 anziché, come prescritto, cm. 85: larghezza, questa, che avrebbe impedito l'evento” per cui è apparsa pacifica la violazione dell’articolo 35 comma 1 del D. Lgs. n. 626/1994 proprio a causa della non conformità del macchinario alla normativa, non conformità che il datore di lavoro avrebbe dovuto rilevare avendo provveduto personalmente ad apportare la modifica al macchinario. La Corte di Appello ha ancora sostenuto che l'operaio, pur avendo frequentato dei corsi di formazione, destinati però ai carrellisti ed agli operatori di apparecchi di sollevamento, non aveva quindi ricevuto una specifica formazione sull’utilizzo del macchinario in argomento, essendo stato solo affiancato, dopo l'assunzione, da un collega esperto nella tecnica lavorativa.
Il ricorso in Cassazione e le decisioni della Corte suprema.
L’imputato, adducendo le stesse motivazioni già presentate alla Corte di Appello, ha fatto ricorso tramite il suo difensore alla Corte di Cassazione che però lo ha rigettato sottolineando che sia il Tribunale che la Corte distrettuale avevano fatte le medesime considerazioni ed erano pervenuti alle medesime conclusioni e ribadendo, a proposito, che “è principio pacifico in giurisprudenza quello secondo cui, nel caso di doppia conforme, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione ("ex plurimis", Sez. 3, n. 4700 del 14/02/1994 Ud.- dep. 23/04/1994 - Rv. 197497)”. La Corte di Cassazione ha quindi ritenute legittime le conclusioni alle quali è pervenuta la Corte di Appello richiamandole integralmente ed in più, per completezza argomentativa, ha fornito alcune ulteriori precisazioni in relazione alle tesi difensive prospettate dal ricorrente e relative all’affidamento sull'esistenza del certificato di conformità CEE e sull’analisi dei rischi fatta dal costruttore sul macchinario utilizzato dal lavoratore poi infortunatosi.
“L'imputato”, ha sostenuto la Sez. IV, “aveva introdotto nella sua azienda, e messo a disposizione dei suoi dipendenti, una macchina realizzata senza il rispetto delle norme antinfortunistiche, norme del cui assoluto ed integrale rispetto egli, quale datore di lavoro della parte lesa, e responsabile della sicurezza dell'ambiente di lavoro, avrebbe dovuto accertarsi, a nulla rilevando la marchiatura "CE" che non esonera da responsabilità, in ragione dell'accertata non conformità della macchina ai previsti requisiti di sicurezza”. “E ancor meno”, ha proseguito la suprema Corte, “può esonerare da responsabilità l'eventuale affidamento sulla notorietà e competenza tecnica del costruttore”. “L'imprenditore, invero” ha sostenuto ancora la Sez. IV, “secondo quanto costantemente affermato da questa Corte, è, comunque, il principale destinatario delle norme antinfortunistiche previste a tutela della sicurezza dei lavoratori ed ha l'obbligo di conoscerle e di osservarle indipendentemente da carenze od omissioni altrui e da certificazioni pur provenienti da autorità di vigilanza”.
Nella sentenza vengono quindi citate dalla Sez. IV alcune delle principali espressioni della Corte di Cassazione riguardanti i limiti di responsabilità tra costruttore e datore di lavoro per una mancata sicurezza delle macchine messe a disposizione dei lavoratori ed in particolare vengono richiamate:
- la sentenza Sez. 4 n. 37060 del 12/06/2008 secondo la quale “il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza dell'ambiente di lavoro, è tenuto ad accertare la corrispondenza ai requisiti di legge dei macchinari utilizzati, e risponde dell'infortunio occorso ad un dipendente a causa della mancanza di tali requisiti, senza che la presenza sul macchinario della marchiatura di conformità ‘CE’ o l'affidamento riposto nella notorietà e nella competenza tecnica del costruttore valgano ad esonerarlo dalla sua responsabilità";
- la sentenza Sez. 4 n. 6280 del 11/12/2007 secondo la quale "Il datore di lavoro ha l'obbligo di garantire la sicurezza dell'ambiente di lavoro e dunque anche quello di accertarsi che i macchinari messi a disposizione dei lavoratori siano sicuri ed idonei all'uso, rispondendo in caso di omessa verifica dei danni subiti da questi ultimi per il loro cattivo funzionamento e ciò a prescindere dalla eventuale configurabilità di autonome concorrenti responsabilità nei confronti del fabbricante o del fornitore dei macchinari stessi",
- la sentenza Sez. 4A del 10/11/2005, Minesso secondo la quale “Ciò che rileva , dunque, ai fini della configurabilità della responsabilità del datore di lavoro, è che tra i compiti di prevenzione del datore di lavoro è anche quello di dotare il lavoratore di strumenti e macchinari del tutto sicuri” e
- la sentenza Sez. 4A del 26 aprile 2000, Mantero ed altri che ha messo in evidenza in particolare la necessità dell’adeguamento delle macchine al processo tecnologico e secondo la quale “il datore di lavoro deve ispirare la sua condotta alle acquisizioni della migliore scienza ed esperienza per fare in modo che il lavoratore sia posto nelle condizioni di operare con assoluta sicurezza. Pertanto, non sarebbe sufficiente, per mandare esente da responsabilità il datore di lavoro, che non abbia assolto appieno il suddetto obbligo cautelare, neppure che una macchina sia munita degli accorgimenti previsti dalla legge in un certo momento storico, se il processo tecnologico sia cresciuto in modo tale da suggerire ulteriori e più sofisticati presidi per rendere la stessa sempre più sicura”,
sentenze nelle quali sono state assunte decisioni tutte pienamente condivisibili a parere della suprema Corte in quanto poggiano sul disposto dell'articolo 2087 c.c. secondo il quale l'imprenditore è comunque tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa quelle misure che, sostanzialmente ed in concreto, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del lavoratore, disposizione quest’ultima che costituisce "norma di chiusura" rispetto alle norme della legislazione antinfortunistica, comportando a carico del datore di lavoro precisi obblighi di garanzia e di protezione dell'incolumità dei propri lavoratori e della stessa incolumità pubblica.
“Eventuali concorrenti profili colposi addebitabili al fabbricante o fornitore” ha quindi proseguito la Sez. IV facendo riferimento al caso in esame, “certamente non elidono, come già sopra accennato, il nesso causale tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo in danno del lavoratore ciò, in linea con la pacifica affermazione secondo cui è configurabile la responsabilità del datore di lavoro il quale introduce nell'azienda e mette a disposizione del lavoratore una macchina - che per vizi di costruzione possa essere fonte di danno per le persone - senza avere appositamente accertato che il costruttore, e l'eventuale diverso venditore, abbia sottoposto la stessa macchina a tutti i controlli rilevanti per accertarne la resistenza e l'idoneità all'uso, non valendo ad escludere la propria responsabilità la mera dichiarazione di avere fatto affidamento sull'osservanza da parte del costruttore delle regole della migliore tecnica”.
La Corte suprema non ha ritenuta, infine, accettabile l’osservazione fatta dal ricorrente secondo la quale l'anomalia contestata sulla macchina non sarebbe stata percepibile sottolineando e ribadendo quanto già sostenuto dalla Corte di Appello e cioè che "alla macchina l'imputato aveva fatto fare delle modifiche, non accorgendosi che la griglia di protezione della parte frontale era larga cm. 78 anziché, come prescritto, cm. 85, larghezza che avrebbe impedito l'infortunio", situazione questa del resto già posta in rilievo dallo stesso Tribunale il quale aveva osservato che il difetto del macchinario "non poteva sfuggire all'imputato, tenuto conto della sua presenza costante in officina e delle piccole dimensioni della ditta".
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