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Come affrontare la valutazione del rischio elettrico?

Ancora sul titolo III del D.Lgs. 81/2008: si delinea un nuovo approccio alla valutazione dei rischi delle attrezzature di lavoro, degli impianti e delle apparecchiature elettriche? A cura di Alessandro Mazzeranghi.

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Avendo pubblicato su punto sicuro un articolino sulla valutazione del rischio elettrico ho ricevuto alcune mail da lettori che mi chiedevano spiegazioni ulteriori sul “come”, cioè sul corretto modo di affrontare la specifica valutazione del rischio prevista dall’articolo 80 del D.Lgs. 81/2008. In verità, anche grazie ad alcuni articoli su infortuni elettrici pubblicati recentemente, per chi scrive lo stimolo è stato piuttosto verso il “perché”. Nel titolo III, e in particolare nei capi I e III, si riesce a cogliere un criterio unitario rispetto alla valutazione dei rischi di attrezzature di lavoro, impianti e apparecchiature elettriche?
Chi scrive ritiene che la risposta sia positiva e vada a segnare un profondo mutamento nell’approccio che tutti noi abbiamo avuto rispetto alla valutazione dei rischi di queste materie.
Per capire meglio dobbiamo fare un passo indietro e tornare con la memoria all’epoca dell’entrata in vigore del D.Lgs. 626/94 e della successive modificazioni che hanno influito sul tema (il D.Lgs. 359/99). L’idea di fondo era quella che le attrezzature di lavoro presenti nelle aziende e sul mercato non fossero conformi allo stato dell’arte in materia di sicurezza, e che pertanto i datori di lavoro dovessero essere coinvolti in un’opera di messa a norma di non conformità di cui, almeno per una parete dei casi, nemmeno erano responsabili. Il tutto con l’obiettivo di sanare nel modo più sbrigativo possibile una situazione di rischio oggettivo per i lavoratori.
 
 
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Parallelamente alla legislazione sulla sicurezza sul lavoro, negli stessi anni si andava sviluppando, sempre a livello comunitario, la legislazione sulla certificazione di prodotto. È emblematico che la direttiva madre da cui derivò il D.Lgs. 626/94, e da cui deriva anche il D.Lgs. 81/2008, sia la 391/89/CEEmentre la successiva direttiva emanata, la 392/89/CEE sia la così detta direttiva macchine, relativa appunto alla marcatura CE delle macchine.
Quindi sulle tematiche della sicurezza delle macchine (che rappresentano una parte significativa delle attrezzature di lavoro cui si riferisce il capo I del titolo III), delle apparecchiature elettriche e degli impianti elettrici negli anni si è sviluppata una legislazione precisa e una normativa ampia volta a garantire che i prodotti acquistati/fatti installare dal datore di lavoro abbiano un elevato livello di conformità alla buona tecnica in materia di sicurezza.
 
Fidando sull’efficacia di questa costruzione logica, su cui in verità ci sarebbe parecchio da obiettare vista la gran quantità di macchine marcate CE a fronte di un rispetto dei requisiti di sicurezza a dir poco lacunoso, il legislatore, a nostro avviso, nel rivedere le tematiche in oggetto nel contesto del D.Lgs. 81/2008, ha voluto spostare l’attenzione del datore di lavoro sui rischi connessi all’uso e alla manutenzione di oggetti assunti rispondenti allo stato dell’arte.
Questo risulta ben evidente dalla lettura degli articoli 70 e 71 dove:
•        Per le attrezzature di lavoro non certificate si rimanda ai requisiti di sicurezza dell’allegato V (tratti dal titolo III del D.Lgs. 626/94 e dal DPR547/55), che entrano nel merito specifico della conformazione tecnica delle attrezzature medesime, e quindi configurano un possibile obbligo di messa a norma.
•        Per le attrezzature certificate, invece, i requisiti sono quelli dell’allegato VI che si concentra su misure “organizzative” e “formative”. In questo caso al datore di lavoro è chiesto di chiudere il gap del rischio residuo, non più risolvibile per via tecnica, ma che deve essere comunque (assolutamente!) valutato e controllato.
 
Secondo chi scrive il capo III nasce dalla medesima impostazione. Stante il fatto che gli impianti elettrici erano comunque già più rispondenti allo stato dell’arte anche all’epoca del D.Lgs. 626/94 è lecito pensare che per questo fatto fossero meno considerati in quella sede. Concentrando oggi, invece, la attenzione sui rischi residui comunque presenti in oggetti rispondenti allo stato dell’arte, è naturale che il legislatore abbia voluto estendere i principi valevoli per le attrezzature di lavoro anche agli impianti e alle apparecchiature elettriche. Creando, per la verità, qualche difficoltà formale in quanto molte apparecchiature elettriche sono anche attrezzature di lavoro, se chi scrive intende correttamente il senso di un termine di cui purtroppo non viene data definizione.
 
Sono solo formalismi; la sostanza è semplice e si riassume nel seguente flusso logico che deve essere seguito in sede di valutazione dei rischi:
•        L’oggetto della valutazione è certificato? (se no si deve procedere a una valutazione approfondita che non possiamo trattare in questa sede)
•        Se è certificato ho tutta la documentazione per dimostrarlo? (al tema sembra applicarsi anche il comma 1 lettera g dell’articolo 30 del D.Lgs. 81/2008)
•        Quali sono i rischi presenti sull’oggetto della analisi, inclusi quelli che emergono in fasi quali la installazione, la manutenzione ecc.?
•        Quali sono le misure di organizzazione del lavoro (procedure di lavoro sicuro) che consentono di tenere sotto controllo i rischi evidenziati?
•        Sono necessarie ulteriori misure quali formazione e addestramento? (in presenza di rischi residui la informazione è certamente un obbligo)
•        L’insieme delle misure prese in considerazione è sufficiente a garantire un livello di controllo del rischio adeguato alla specifica realtà aziendale?
 
Come si può vedere il flusso descritto non è esclusivo per il capo I o per il capo III ma si applica a entrambi e, tornando al rischio elettrico, porta a scoprire dei “buchi” nella organizzazione del lavoro di cui, senza la valutazione, era difficile rendersi conto. Proviamo a fare qualche esempio, precisando che diamo per scontati anche i requisiti formativi del personale addetto ai lavori elettrici (vedi CEI 11-27):
•        In azienda sono presenti persone esposte al rischio elettrico di cui non eravamo a conoscenza (pensiamo a quanto spesso i manutentori meccanici lavorano a fianco dei loro colleghi elettrici esponendosi, seppure in misura minore, al rischio di elettrocuzione).
•        Gli specifici rischi elettrici di un impianto o di una apparecchiatura non sono esplicitamente comunicati alle persone esposte.
•        Le attività di manutenzione ordinaria non sono regolamentate né in generale, né nello specifico.
Quindi emergono gap di organizzazione del lavoro e di informazione/formazione di cui non eravamo a conoscenza … come dimostrano chiaramente gli esempi di infortuni riportati su queste pagine, che speriamo facciano riflettere seriamente i datori di lavoro sulla effettiva utilità della valutazione prevista dall’articolo 80.
 
 



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