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Gli enti istituzionali attivi per la sicurezza sul lavoro
Riportiamo di seguito un approfondimento relativo alle testimonianze degli organismi attivi nel sistema di protezione e sicurezza contro gli infortuni sul lavoro: INAIL e ISPESL.
Tratto dal quarto numero della newsletter del Ministero del Lavoro "Sicurezza e prevenzione".
L’INAIL
L’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (Inail) è impegnato direttamente nella prevenzione e nel contrasto agli incidenti sul lavoro e vuole confermare il suo ruolo di struttura portante del sistema di welfare del nostro Paese, all’interno però di un indispensabile processo di riordino e razionalizzazione di tutti gli enti previdenziali. L’esigenza è stata dibattuta in due audizioni dell’Istituto davanti alla Commissione d’inchiesta. Si tratta di una questione da tempo dibattuta, ma che appare ormai sempre più ineludibile, sia per i problemi di coordinamento e di sovrapposizione tra i vari enti, sia per gli elevati costi di gestione che ne derivano. Secondo le stime del Governo, infatti, da tale riforma è atteso un risparmio di 3,5 miliardi di euro nel decennio 2008-2017, senza il quale i lavoratori rischierebbero di subire un aumento del prelievo contributivo a loro carico.
In attesa della riforma, si impone però una riorganizzazione del sistema, con una forte sinergia tra gli enti esistenti, soprattutto sul territorio, ad esempio portando avanti quel progetto a suo tempo definito come «casa unica del welfare», ossia l’opportunità che sul territorio le funzioni previdenziali presenti siano accolte all’interno di un’unica struttura e di un’unica logistica. Lo stesso Testo unico sulla salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro (decreto legislativo n. 81 del 2008) sospinge fortemente in questa direzione, sollecitando la costruzione di una vera e propria rete che connetta le azioni dei soggetti che vi partecipano sia a livello nazionale che territoriale. Anche nelle indicazioni del Consiglio d’indirizzo e vigilanza dell’Istituto, ai fini di un’efficace azione di contrasto del rischio infortunistico emerge come centrale il tema della prevenzione, puntando su tre fattori: organizzazione del lavoro, tecnologie, formazione ed informazione. In ordine ai primi due, l’Inail intende proporsi come soggetto di «prossimità consulenziale» nei confronti dell’impresa, svolgendo cioè un ruolo di supporto e di assistenza, teso a migliorare le condizioni lavorative all’interno delle aziende. In questo senso, l’Istituto si propone di mettere a disposizione il suo patrimonio di esperienza e di coordinare le competenze scientifiche e professionali possedute da altri enti che interagiscono con esso, a cominciare dall’Ispesl, dall’Inps e dalle Regioni.
Per quanto riguarda la formazione ed informazione, una sua efficace somministrazione presuppone un indispensabile ed ampio coinvolgimento dei destinatari, ovvero datori di lavoro e lavoratori, attraverso un potenziamento della bilateralità. Le azioni in materia di contrasto e prevenzione dovranno però essere anche mirate, esercitando una particolare vigilanza ed impegno su taluni settori e aspetti dove si riscontra una maggiore rischiosità. Tra i settori produttivi, spiccano la metallurgia (dove l’indice di frequenza 6 calcolato per 1.000 addetti è pari a 55,92), i materiali per l’edilizia (53,27), l’industria del legno (51,78), le costruzioni (49,09) e i trasporti (39,35). Un altro aspetto che interagisce con le problematiche relative ai fattori ad alta rischiosità è la condizione di esposizione al rischio dei lavoratori immigrati, che richiedono adeguate politiche di integrazione anche in merito alla salute e sicurezza del lavoro. Analogamente, particolare attenzione dovrà essere prestata alle malattie professionali, il cui andamento, contrariamente agli infortuni, negli ultimi anni ha registrato un preoccupante aumento (+3,2 per cento nel 2007 e +7,4 per cento nel 2008) e per le quali occorre accrescere le sinergie con i medici competenti.
L’ISPESL
L’Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro (Ispesl) è un ente di diritto pubblico ed è organo tecnico-scientifico del Servizio Sanitario Nazionale per quanto riguarda ricerca, sperimentazione, controllo, consulenza, assistenza, alta formazione, informazione e documentazione in materia di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali, sicurezza sul lavoro nonché di promozione e tutela della salute negli ambienti di vita e di lavoro. La sua attività è stata illustrata alla Commissione in un’audizione nella quale sono stati presentati i risultati di uno studio, finanziato dal Ministero della salute, cui hanno partecipato anche l’Inail e le Regioni. Sono stati presi in considerazione gli anni dal 2002 al 2004 per 2.500 infortuni, 1.500 mortali e 1.000 gravi, la cui analisi ha evidenziato come l’incidente mortale derivi, di solito, da una deviazione rispetto all’azione corretta che si sarebbe dovuta compiere per un determinato tipo di lavoro: in particolare, il 26,4 per cento degli infortuni è dovuto a caduta dall’alto, il 15,1 per cento alla caduta di oggetti sul soggetto, il 12,7 per cento alla perdita di controllo del mezzo di trasporto, il 5,5 per cento alla caduta o crollo di oggetti posti sotto gli infortunati, il 4 per cento alla perdita di controllo dei macchinari. Le stesse percentuali si ripetono, più o meno, anche per gli infortuni gravi.
Analizzando la frequenza dei diversi tipi di incidenti, si vede poi che il 38,4 per cento è dovuto all’attività dell’infortunato. In particolare, nel 60 per cento circa dei casi si tratta di un errore di procedura; nel 23,3 per cento è legato all’impiego di utensili, macchine o impianti; nel 17,2 per cento è legato genericamente all’ambiente di lavoro e nel 12 per cento è dovuto all’attività di terzi, cioè non è determinato dall’infortunato ma da altre persone che lavoravano vicino a lui. Precisamente, in questo ultimo caso, è sempre l’errore di procedura o l’uso errato o improprio di attrezzature che determina l’evento accidentale per il soggetto terzo. Per quanto concerne, invece, gli incidenti legati più tipicamente alla sicurezza, il 50 per cento circa di essi è dovuto alla mancanza di protezioni; l’inadeguatezza strutturale concorre per circa il 20,9 per cento, la presenza di elementi pericolosi per circa il 17 per cento e c’è anche un 9,1 per cento dovuto alla rimozione o manomissione di protezioni. In conclusione, l’analisi di questi primi 2.500 casi, ai quali se ne aggiungeranno altri 700 in via di conclusione per gli anni 2005-2007, indica che il lavoratore dipendente è coinvolto in circa il 58 per cento degli eventi mortali; nel 15 per cento dei casi si tratta di un lavoratore autonomo mentre nel 16 per cento si tratta di datori di lavoro, cioè di autonomi che hanno dipendenti o coadiuvanti familiari o che sono soci di cooperative. Quindi anche i datori di lavoro delle piccole e medie imprese sono molto coinvolti nel fenomeno dell’infortunio mortale, mentre le figure «atipiche» (cioè gli interinali, gli irregolari, i pensionati o i parasubordinati) sono coinvolte per l’11 per cento.
Questi dati evidenziano come quello degli infortuni sul lavoro (mortali e non) sia un fenomeno estremamente complesso, nel quale concorrono sia il comportamento dell’uomo, sia il mancato rispetto della norma, sia la mancata adozione di dispositivi di sicurezza. Quale che sia la causa, però, si tratta nella maggior parte dei casi di incidenti di tipo ricorrente o ripetitivo, che potrebbero quindi spesso essere prevenuti. Fondamentale si rivela dunque, ancora una volta, la formazione/informazione dei lavoratori e dei datori di lavoro, alla quale anche l’Ispesl contribuisce in qualità di organo tecnico-scientifico di riferimento del settore. Le azioni in questo campo sono indicate in un piano triennale (attualmente quello 2008-2010), nel cui ambito sono stati segnalati, in particolare, i programmi che riguardano i costi della mancata prevenzione, l’esposizione ai nanomateriali, le metodologie innovative per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro, la sicurezza delle strutture sanitarie, l’elaborazione, la raccolta e la diffusione di buone prassi e linee guida. Quest’ultima attività riveste particolare importanza, essendo uno degli elementi fondamentali anche a livello legislativo – dal decreto legislativo n. 626 del 1994 al decreto legislativo n. 81 del 2008 – per tutte le figure interessate alla prevenzione (datore di lavoro, medici competenti, responsabili della sicurezza e rappresentanti dei lavoratori) al fine di avere univocità di indirizzi, di standardizzazione e di riferimenti per l’approccio ai singoli settori lavorativi. Si tratta quindi di un’operazione di «trasferimento delle conoscenze» che viene condotta in maniera mirata, individuando i gruppi di lavoratori a rischio, i rischi specifici ed i settori lavorativi interessati, ed utilizzando una pluralità di strumenti: pubblicazioni tecnico-scientifiche, siti web, corsi di formazione, modelli di valutazione e controllo dei rischi, buone pratiche e linee guida, una serie di osservatori e sistemi di sorveglianza specializzati su alcune tipologie di incidenti e malattie professionali, nonchè sistemi di monitoraggio delle attività di prevenzione svolte dai servizi competenti delle Asl.
Accanto al fabbisogno di maggiori risorse finanziarie, l’Ispesl ha ribadito l’esigenza, altrettanto importante, di una più puntuale azione di raccordo e di coordinamento tra i vari enti, per evitare duplicazioni e sovrapposizioni di interventi e nello stesso tempo per rafforzare la presenza dei servizi sul territorio. Tale coordinamento dovrebbe essere realizzato in primo luogo attraverso le due «cabine di regia» che il decreto legislativo n. 81 prevede appositamente a questo scopo, ossia il Comitato per l’indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale della attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro (articolo 5) e la Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro (articolo 6). Si tratta in ogni caso di un’esigenza fondamentale in un sistema complesso quale quello italiano, nel quale operano Stato, Regioni ed altri enti pubblici e molti soggetti sono chiamati a fare la prevenzione nei luoghi di lavoro, ivi compresi gli enti bilaterali e le organizzazioni sindacali e datoriali. Un coordinamento efficace, inoltre, risulta essenziale soprattutto nel trasferimento delle conoscenze, ossia nelle attività di formazione ed informazione, per far sì che esse raggiungano realmente coloro ai quali sono destinate, con un’attenzione prioritaria alle imprese di minori dimensioni le quali spesso, rispetto alle imprese più grandi, sia per la cultura del datore di lavoro, sia per la mancanza di mezzi economici o perché pressate da altre più contingenti difficoltà, hanno difficoltà a considerare la sicurezza come un investimento e non solo come un «peso», un onere aggiuntivo per i loro bilanci.
Tratto dal quarto numero della newsletter del Ministero del Lavoro "Sicurezza e prevenzione".
L’INAIL
L’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (Inail) è impegnato direttamente nella prevenzione e nel contrasto agli incidenti sul lavoro e vuole confermare il suo ruolo di struttura portante del sistema di welfare del nostro Paese, all’interno però di un indispensabile processo di riordino e razionalizzazione di tutti gli enti previdenziali. L’esigenza è stata dibattuta in due audizioni dell’Istituto davanti alla Commissione d’inchiesta. Si tratta di una questione da tempo dibattuta, ma che appare ormai sempre più ineludibile, sia per i problemi di coordinamento e di sovrapposizione tra i vari enti, sia per gli elevati costi di gestione che ne derivano. Secondo le stime del Governo, infatti, da tale riforma è atteso un risparmio di 3,5 miliardi di euro nel decennio 2008-2017, senza il quale i lavoratori rischierebbero di subire un aumento del prelievo contributivo a loro carico.
In attesa della riforma, si impone però una riorganizzazione del sistema, con una forte sinergia tra gli enti esistenti, soprattutto sul territorio, ad esempio portando avanti quel progetto a suo tempo definito come «casa unica del welfare», ossia l’opportunità che sul territorio le funzioni previdenziali presenti siano accolte all’interno di un’unica struttura e di un’unica logistica. Lo stesso Testo unico sulla salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro (decreto legislativo n. 81 del 2008) sospinge fortemente in questa direzione, sollecitando la costruzione di una vera e propria rete che connetta le azioni dei soggetti che vi partecipano sia a livello nazionale che territoriale. Anche nelle indicazioni del Consiglio d’indirizzo e vigilanza dell’Istituto, ai fini di un’efficace azione di contrasto del rischio infortunistico emerge come centrale il tema della prevenzione, puntando su tre fattori: organizzazione del lavoro, tecnologie, formazione ed informazione. In ordine ai primi due, l’Inail intende proporsi come soggetto di «prossimità consulenziale» nei confronti dell’impresa, svolgendo cioè un ruolo di supporto e di assistenza, teso a migliorare le condizioni lavorative all’interno delle aziende. In questo senso, l’Istituto si propone di mettere a disposizione il suo patrimonio di esperienza e di coordinare le competenze scientifiche e professionali possedute da altri enti che interagiscono con esso, a cominciare dall’Ispesl, dall’Inps e dalle Regioni.
Per quanto riguarda la formazione ed informazione, una sua efficace somministrazione presuppone un indispensabile ed ampio coinvolgimento dei destinatari, ovvero datori di lavoro e lavoratori, attraverso un potenziamento della bilateralità. Le azioni in materia di contrasto e prevenzione dovranno però essere anche mirate, esercitando una particolare vigilanza ed impegno su taluni settori e aspetti dove si riscontra una maggiore rischiosità. Tra i settori produttivi, spiccano la metallurgia (dove l’indice di frequenza 6 calcolato per 1.000 addetti è pari a 55,92), i materiali per l’edilizia (53,27), l’industria del legno (51,78), le costruzioni (49,09) e i trasporti (39,35). Un altro aspetto che interagisce con le problematiche relative ai fattori ad alta rischiosità è la condizione di esposizione al rischio dei lavoratori immigrati, che richiedono adeguate politiche di integrazione anche in merito alla salute e sicurezza del lavoro. Analogamente, particolare attenzione dovrà essere prestata alle malattie professionali, il cui andamento, contrariamente agli infortuni, negli ultimi anni ha registrato un preoccupante aumento (+3,2 per cento nel 2007 e +7,4 per cento nel 2008) e per le quali occorre accrescere le sinergie con i medici competenti.
L’ISPESL
L’Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro (Ispesl) è un ente di diritto pubblico ed è organo tecnico-scientifico del Servizio Sanitario Nazionale per quanto riguarda ricerca, sperimentazione, controllo, consulenza, assistenza, alta formazione, informazione e documentazione in materia di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali, sicurezza sul lavoro nonché di promozione e tutela della salute negli ambienti di vita e di lavoro. La sua attività è stata illustrata alla Commissione in un’audizione nella quale sono stati presentati i risultati di uno studio, finanziato dal Ministero della salute, cui hanno partecipato anche l’Inail e le Regioni. Sono stati presi in considerazione gli anni dal 2002 al 2004 per 2.500 infortuni, 1.500 mortali e 1.000 gravi, la cui analisi ha evidenziato come l’incidente mortale derivi, di solito, da una deviazione rispetto all’azione corretta che si sarebbe dovuta compiere per un determinato tipo di lavoro: in particolare, il 26,4 per cento degli infortuni è dovuto a caduta dall’alto, il 15,1 per cento alla caduta di oggetti sul soggetto, il 12,7 per cento alla perdita di controllo del mezzo di trasporto, il 5,5 per cento alla caduta o crollo di oggetti posti sotto gli infortunati, il 4 per cento alla perdita di controllo dei macchinari. Le stesse percentuali si ripetono, più o meno, anche per gli infortuni gravi.
Analizzando la frequenza dei diversi tipi di incidenti, si vede poi che il 38,4 per cento è dovuto all’attività dell’infortunato. In particolare, nel 60 per cento circa dei casi si tratta di un errore di procedura; nel 23,3 per cento è legato all’impiego di utensili, macchine o impianti; nel 17,2 per cento è legato genericamente all’ambiente di lavoro e nel 12 per cento è dovuto all’attività di terzi, cioè non è determinato dall’infortunato ma da altre persone che lavoravano vicino a lui. Precisamente, in questo ultimo caso, è sempre l’errore di procedura o l’uso errato o improprio di attrezzature che determina l’evento accidentale per il soggetto terzo. Per quanto concerne, invece, gli incidenti legati più tipicamente alla sicurezza, il 50 per cento circa di essi è dovuto alla mancanza di protezioni; l’inadeguatezza strutturale concorre per circa il 20,9 per cento, la presenza di elementi pericolosi per circa il 17 per cento e c’è anche un 9,1 per cento dovuto alla rimozione o manomissione di protezioni. In conclusione, l’analisi di questi primi 2.500 casi, ai quali se ne aggiungeranno altri 700 in via di conclusione per gli anni 2005-2007, indica che il lavoratore dipendente è coinvolto in circa il 58 per cento degli eventi mortali; nel 15 per cento dei casi si tratta di un lavoratore autonomo mentre nel 16 per cento si tratta di datori di lavoro, cioè di autonomi che hanno dipendenti o coadiuvanti familiari o che sono soci di cooperative. Quindi anche i datori di lavoro delle piccole e medie imprese sono molto coinvolti nel fenomeno dell’infortunio mortale, mentre le figure «atipiche» (cioè gli interinali, gli irregolari, i pensionati o i parasubordinati) sono coinvolte per l’11 per cento.
Questi dati evidenziano come quello degli infortuni sul lavoro (mortali e non) sia un fenomeno estremamente complesso, nel quale concorrono sia il comportamento dell’uomo, sia il mancato rispetto della norma, sia la mancata adozione di dispositivi di sicurezza. Quale che sia la causa, però, si tratta nella maggior parte dei casi di incidenti di tipo ricorrente o ripetitivo, che potrebbero quindi spesso essere prevenuti. Fondamentale si rivela dunque, ancora una volta, la formazione/informazione dei lavoratori e dei datori di lavoro, alla quale anche l’Ispesl contribuisce in qualità di organo tecnico-scientifico di riferimento del settore. Le azioni in questo campo sono indicate in un piano triennale (attualmente quello 2008-2010), nel cui ambito sono stati segnalati, in particolare, i programmi che riguardano i costi della mancata prevenzione, l’esposizione ai nanomateriali, le metodologie innovative per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro, la sicurezza delle strutture sanitarie, l’elaborazione, la raccolta e la diffusione di buone prassi e linee guida. Quest’ultima attività riveste particolare importanza, essendo uno degli elementi fondamentali anche a livello legislativo – dal decreto legislativo n. 626 del 1994 al decreto legislativo n. 81 del 2008 – per tutte le figure interessate alla prevenzione (datore di lavoro, medici competenti, responsabili della sicurezza e rappresentanti dei lavoratori) al fine di avere univocità di indirizzi, di standardizzazione e di riferimenti per l’approccio ai singoli settori lavorativi. Si tratta quindi di un’operazione di «trasferimento delle conoscenze» che viene condotta in maniera mirata, individuando i gruppi di lavoratori a rischio, i rischi specifici ed i settori lavorativi interessati, ed utilizzando una pluralità di strumenti: pubblicazioni tecnico-scientifiche, siti web, corsi di formazione, modelli di valutazione e controllo dei rischi, buone pratiche e linee guida, una serie di osservatori e sistemi di sorveglianza specializzati su alcune tipologie di incidenti e malattie professionali, nonchè sistemi di monitoraggio delle attività di prevenzione svolte dai servizi competenti delle Asl.
Accanto al fabbisogno di maggiori risorse finanziarie, l’Ispesl ha ribadito l’esigenza, altrettanto importante, di una più puntuale azione di raccordo e di coordinamento tra i vari enti, per evitare duplicazioni e sovrapposizioni di interventi e nello stesso tempo per rafforzare la presenza dei servizi sul territorio. Tale coordinamento dovrebbe essere realizzato in primo luogo attraverso le due «cabine di regia» che il decreto legislativo n. 81 prevede appositamente a questo scopo, ossia il Comitato per l’indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale della attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro (articolo 5) e la Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro (articolo 6). Si tratta in ogni caso di un’esigenza fondamentale in un sistema complesso quale quello italiano, nel quale operano Stato, Regioni ed altri enti pubblici e molti soggetti sono chiamati a fare la prevenzione nei luoghi di lavoro, ivi compresi gli enti bilaterali e le organizzazioni sindacali e datoriali. Un coordinamento efficace, inoltre, risulta essenziale soprattutto nel trasferimento delle conoscenze, ossia nelle attività di formazione ed informazione, per far sì che esse raggiungano realmente coloro ai quali sono destinate, con un’attenzione prioritaria alle imprese di minori dimensioni le quali spesso, rispetto alle imprese più grandi, sia per la cultura del datore di lavoro, sia per la mancanza di mezzi economici o perché pressate da altre più contingenti difficoltà, hanno difficoltà a considerare la sicurezza come un investimento e non solo come un «peso», un onere aggiuntivo per i loro bilanci.
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Rispondi Autore: Nome cognome - likes: 0 | 01/10/2019 (04:54:53) |
Vorrei sapere a chi rivolgermi per poter denunciare la ditta in cui lavoro, che essendo cooperativa oltre a non pagare adeguatamente noi operatori ecologici, manca quasi del tutto di messa in pratica della sicurezza come i mezzi obsoleti e pericolosi, mansioni molto aggravanti e pericolose, oltre al mobbing e ad altri stratagemmi subdoli che inducono al burn out. La cooperativa comunque si chiama ecosviluppo con sede a Stezzano provincia di Bergamo. E vorrei che nel caso la denuncia rimanesse anonima. Grazie in anticipo. |