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I quesiti sul decreto 81/08: la figura di RSPP “interno”

Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: RSPP, ASPP

17/07/2008

Continua il dibattito sull’interpretazione del termine di “RSPP interno”: come comportarsi nella scelta nei casi in cui il Testo Unico ne prevede l'obbligo? Quesiti e commenti dei nostri lettori e un'ulteriore risposta dell'ing. Porreca.

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L’articolo di approfondimento sulla corretta l’interpretazione da dare al termine di “RSPP interno” ha provocato diversi quesiti e commenti da parte dei nostri lettori.
Data l’importanza dell’argomento riportiamo le osservazioni dell’ing. Domenico Brioschi, la risposta dell’ing. Porreca e il commento del sig. Azzoni.
 
Ulteriori contributi al dibattito:
- Riflessioni sulla figura di RSPP “interno” – a cura dell’avv. Dubini;
- Come interpretare la figura di RSPP “interno”? – a cura dell’ ing. Porreca
  (articolo che ha determinato le osservazioni dell’ing. Brioschi).
 
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Il commento dell’ing. Brioschi:
 
"Ritengo che questa volta il validissimo ing. Porreca non  abbia ragione.
Infatti ritengo che se il legislatore ha usato la parola "interno" e non "dipendente" lo ha voluto fare conoscendo bene la molteplicità delle situazioni di relazione lavorativa che esistono, oggi e ieri, nel nostro paese.
Ci sono per esempio situazioni dove il rapporto di dipendenza dipende da strutture gerarchiche territorialmente complesse (dove per esempio un RSPP di tutta la organizzazione è da considerare interno anche per una unità territoriale che non lo vede come "dipendente") oppure il rapporto di "interno" si può prefigurare per la funzione svolta per es. da personale religioso che può non essere "dipendente".
 
Per non parlare di forme di collaborazione più "moderne" rispetto alla "dipendenza" tradizionale. In molte strutture sanitarie non pubbliche per esempio neppure il direttore sanitario è un "dipendente".
In questo senso e non  a caso il legislatore ha voluto determinare una rosa più ampia di "internità".
Per inciso faccio notare che tra le "strutture di cura e ricovero" penso non vadano considerate le case di riposo. Infatti mentre la attività tipica della cura e ricovero sta nella "diagnosi, terapia e riabilitazione" niente di tutto questo avviene nelle case di riposo, tant' è che nelle case di ricovero quando uno si ammala viene portato all'ospedale."
 
 
La risposta dell’ing. Porreca:
 
Le osservazioni fatte dal lettore portano ad effettuare un ulteriore approfondimento sul tema del responsabile del servizio di prevenzione e protezione interno che il D. Lgs. n. 626/1994 prima ed ora il Testo Unico di cui al D. Lgs. n. 81/2008 richiedono per alcune particolari aziende che sono indicate nel comma 6 dell’art. 31 dello stesso Testo Unico.
 
Il lettore, partendo da alcune considerazioni di opportunità e forse disorientato dagli svariati rapporti di lavoro e dalle diverse organizzazioni di lavoro che oggi si possono riscontrare nel mondo del lavoro, perviene alla conclusione che il legislatore ha voluto determinare con il Testo Unico una rosa più ampia di “internità” nelle aziende tanto da consentire alle stesse che il RSPP “interno” possa essere, contrariamente al significato letterale della espressione, anche un “esterno” che dipenda dal datore di lavoro anche solo funzionalmente se non gerarchicamente.
 
Ma appare abbastanza chiaro, invece, che il legislatore con il comma 2 dell’articolo 8 del D. Lgs. n. 626/1994 ha voluto definire esplicitamente il servizio di prevenzione e protezione interno ad una azienda o unità produttiva come un servizio composto di “una o più persone da lui dipendenti per l’espletamento dei compiti di cui all’art. 9”. È vero che il termine  “dipendenti” non è più citato nel corrispondente comma 1 del D. Lgs. n. 81/2008 ma si fa osservare in merito che lo stesso compare comunque nel comma 4 del D. Lgs. n. 81/2008 allorquando il legislatore ha disposto che i datori di lavoro, “in assenza di dipendenti che, all’interno dell’azienda ovvero dell’unità produttiva, siano in possesso dei requisiti di cui all’art. 32 ” debbano far ricorso a persone o servizi esterni all’azienda medesima.
 
A tal punto appare allora opportuno approfondire l’argomento e cercare di individuare il preciso significato che il legislatore ha voluto attribuire alla espressione di “dipendente di una azienda o unità produttiva” e cercare di capire perché lo stesso abbia voluto imporre a quelle particolari aziende indicate nel comma 6 che il RSPP fosse un dipendente dell’azienda stessa.
 
Per far questo, considerato che il Testo Unico non dà una definizione di lavoratore  interno all’azienda, è opportuno far ricorso alle indicazioni fornite dal codice civile in merito ai lavoratori dipendenti o subordinati ed ai lavoratori autonomi. Il lavoratore subordinato è definito dall’articolo 2094 del codice civile come “colui che si impegna, a fronte di una retribuzione, a prestare il proprio lavoro alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore” dal quale dipende gerarchicamente (art. 2086 c.c.) mentre il lavoratore autonomo è definito dall’art. 2222 dello stesso codice civile come una persona che “si obbliga a compiere verso un corrispettivo (1351) un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente” al quale dà conto circa la qualità e la completezza dell’opera o del servizio prestato.
 
Non è facile ed immediato individuare il confine fra le due prestazioni lavorative sopraindicate ma la scelta da parte del datore di lavoro di un RSPP che debba essere  interno o esterno all’azienda può ricollegarsi benissimo alla individuazione di una o dell’altra di queste tipologie di  lavoratori. Si ritiene, infatti, che il legislatore avendo richiesto esplicitamente ad alcune aziende, caratterizzate dalla loro notevole dimensione e dalla particolarità della attività in esse svolte, la presenza di un RSPP interno, con una disposizione (comma 7) che tra l’altro non era riportata nell’originario D. Lgs. n. 626/1994, abbia voluto obbligare queste ultime ad inserire la figura del RSPP all’interno del proprio organigramma inquadrandola come un lavoratore subordinato e soggetto al potere funzionale, gerarchico e disciplinare da parte del datore di lavoro.
 
Al RSPP, infatti, in virtù della delicata attività che lo stesso deve svolgere finalizzata a perseguire e garantire con una azione assidua le migliori condizioni per la salute e la sicurezza dei lavoratori, viene richiesta necessariamente una conoscenza abbastanza approfondita delle dinamiche organizzative e produttive dell’azienda medesima cosa che solo un interno, inteso così come nel senso sopraindicato, può garantire. Né si ritiene d’altro canto, se è questo l’obiettivo che si intende raggiungere, che la figura del RSPP possa essere individuata ad esempio in un co.co.pro in quanto questi, oltre ad essere comunque “esterno” all’azienda anche se opera “all’interno” della stessa, e ciò contrariamente alle indicazioni fornite dal legislatore, svolge proprio per la natura stessa del contratto una attività caratterizzata da una posizione di autonomia nell’esecuzione della obbligazione lavorativa (art. 62 comma 1 del D. Lgs. n. 276/2003) che comunque non si concilierebbe con le esigenze gestionali del committente al quale il decreto medesimo affida per questo tipo di contratto solo una azione di coordinamento e non di ingerenza quale può richiedere invece l’attività di RSPP.
 
Con il ricorso per lo svolgimento dell’attività di RSPP ad una figura legata ad un contratto di collaborazione continuativa a progetto, anzi, si può correre il rischio di arrivare a contravvenire alle disposizioni fissate per i contratti di collaborazione continuativa a progetto dall’art. 69 dello stesso D. Lgs. n. 276/2003 in base al quale, allorquando vengono meno i requisiti della autonomia e della libera distribuzione temporale della prestazione lavorativa previsti dallo stesso decreto mentre ad essi subentrano quelli tipici del lavoro subordinato, c’è l’obbligo di convertire il rapporto di collaborazione continuativa a progetto in un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto medesimo.
 
Si è a conoscenza che qualche regione in merito alla figura del RSPP interno si è espressa nel senso sopraindicato indicando la necessità di un rapporto di lavoro subordinato mentre qualche altra consente al datore di lavoro di instaurare con la figura del RSPP un contratto di lavoro di qualsiasi natura anche autonoma ma tutto questo rientra in uno “stile” tipico all’italiana in un Paese dove le regioni forniscono degli indirizzi in materia di sicurezza sul lavoro diversi anche una dall’altra, dove si riscontra la mancanza di effettiva ed efficace azione di coordinamento interregionale e dove si giunge persino anche ad emanare delle disposizioni in materia di sicurezza sul lavoro in contrasto con le leggi dello Stato tanto da costringere quest’ultimo, come è già successo, a ricorrere alla Corte Costituzionale per chiederne l’annullamento.
 
Per quanto riguarda, infine, il tipo dl rapporto di lavoro subordinato da instaurare fra il datore di lavoro ed il RSPP, con riferimento alla durata della prestazione lavorativa e si pensi ad esempio ad un rapporto di lavoro a part time, la scelta è a discrezione del datore di lavoro il quale però, ai sensi del comma 2 dell’art. 31 del Testo Unico, deve concedere agli addetti ed al responsabile del servizio di prevenzione e protezione, in considerazione delle caratteristiche dell’azienda, “mezzi e tempi adeguati per lo svolgimento dei compiti loro assegnati” per cui per le aziende indicate nel comma 6 del D. Lgs. n. 81/2008, considerata la natura, l’entità e la particolarità delle attività in esse svolte, si ritiene comunque sconsigliato il ricorso ad un contratto di lavoro a tempo parziale richiedendo queste una prevedibile, assidua e continuativa presenza del coordinatore del servizio di prevenzione e protezione.
 
Ing. Gerardo Porreca (www.porreca.it).
 
 
 
Favorevole all’interpretazione dell’ing. Porreca anche il sig. Azzoni che così commenta:
 
Rispetto ma non condivido l'interpretazione dell'Ing. Brioschi.
In Regione Lombardia, su indicazione regionale, nelle strutture di ricovero e cura si richiede un RSPP che abbia un contratto di dipendenza con la struttura (non necessariamente di dipendenza a tempo indeterminato: può essere un CoCoPro, un tempo determinato, ecc. ma non un libero professionista esterno, con altre x ditte da seguire ...). Nella struttura SPP gli ASPP (personale del Servizio) possono anche non essere tutti dipendenti (classico il caso di professionalità necessarie ma che non richiedono una presenza continuativa nella struttura come esperti in radioprotezione, in acustica, in radiazioni non ionizzanti, ecc.).
Preciso infine che le "Strutture di ricovero" sono proprio le RSA, le "Strutture di cura" sono gli Ospedali ed assimilati. La "e" va intesa (così almeno in Regione Lombardia) non come l'antico "aut" ma come "vel" e quindi in senso aggiuntivo ...


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Rispondi Autore: Raffaele Scalese - likes: 0
17/07/2008 (08:07)
Non vorrei sembrare scortese con gli illustri commentatori di cui apprezzo ed utilizzo i pareri variamente offerti (a titolo gratuito e questo è ancora più encomiabile), ma non sarebbe il caso di UNIRE TUTTE LE FORZE E COMINCIARE AD UTILIZZARE LO STRUMENTO DELL'INTERPELLO IN MODO DA COSTRINGERE IL NOSTRO LEGISLATORE A DARE CERTEZZE SUL PIANO FORMALE.

cordialmente
Raffaele Scalese
salerno
Rispondi Autore: massimiliano bertoldi - likes: 0
18/07/2008 (15:26)
L'accezione di dipendente deve essere riletta all'interno dell'ambito peculiare della normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. L'RSPP è a mio avviso identificabile come esterno se, pur svolgendo azione di controllo, non ha obbligo di presenza all'interno del luogo di lavoro decidendo egli stesso le modalità di verifica del rispetto del sistema sicurezza aziendale. L'RSPP interno è inserito nel programma generale aziendale, quindi vincolato da un regolamento che stabilisce tempi e modalità di esecuzione della prestazione.

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