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L’articolo 2087 del Codice Civile nell'interpretazione della Corte di Cassazione (2/2)
(La prima parte dell’articolo è disponibile sul numero 784 di PuntoSsicuro)
13. Irrilevanza dell’omessa contestazione da parte dell’organo di vigilanza
L'art. 2087 cod. civ., «nell'affermare che l'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa misure che, secondo le particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del lavoratore, stimola obbligatoriamente il datore di lavoro ad aprirsi alle nuove acquisizioni tecnologiche».
Nè efficacia esimente può attribuirsi alla circostanza che in occasione di visite ispettive non sia stato effettuato alcun rilievo, essendo anche in proposito già stato affermato, e dal Collegio condiviso, che «la punibilità dei reati colposi non è esclusa da un qualsiasi errore sul fatto che costituisce reato, ma, ai sensi dell'art. 47 cod. pen., solo dall'errore non determinato da colpa. Ne consegue che la circostanza che in occasione di visite ispettive non siano stati mossi rilievi in ordine alla sicurezza di una macchina, o alla regolarità di impianti, non può essere invocata per escludere la responsabilità del datore di lavoro; ciò perché la normativa antinfortunistica pone direttamente a carico dell'imprenditore l'obbligo di attuare le misure previste e di accertarsi della loro esistenza, sicché il destinatario di tale obbligo non può eluderlo trincerandosi dietro, sempre possibili, carenze o superficialità di osservazione verificatesi nel corso di ispezioni, oppure dietro pareri sommariamente o informativamente espressi»(Cass. 7 aprile 1989, n. 8355, Sgarigli m.u. 181538; Cass. 15 dicembre 1994, n. 8588, Rosaspina m.u. 199223).
14. Segnaletica
Il datore di lavoro «è altresì responsabile per aver omesso di esporre i cartelli che vietano di compiere operazioni di pulizia su organi delle macchine in movimento e per non aver vigilato sulla osservanza di tale divieto. Il rilievo che si costruiscano e si pongano in commercio macchine con barra priva di carter di protezione non vale ad escludere la responsabilità del datore di lavoro, cui incombe l'obbligo di garantire la sicurezza del lavoro ai propri dipendenti, ex art. 2087 c.c.» [Pretura Rho 8 ottobre 1977, Colombo e altro, in Riv. giur. lav. 1978, IV, 196].
15. Obbligo di informazione
L'obbligo del datore di lavoro, di rendere edotti i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti, previsto dall'art. 4 lett. b) d.P.R. 27 aprile 1955 n. 547, è imposto dall'ordinamento allo scopo di rendere improduttive di effetti lesivi anche le condotte dei lavoratori caratterizzate da ignoranza e imperizia, ciò che non si esaurisce con la debita adozione delle misure tecniche di prevenzione, ma postula anche la necessità (ex art. 2087 c.c.) di informare i lavoratori dei pericoli esistenti, con modalità e accuratezza adeguate e proporzionate all'importanza e alla gravità dei rischi, e altresì programmandola sequenza delle operazioni onde ridurre i margini di aleatorietà e arbitrarietà [Pretura Brescia 20 aprile 1983, in Riv. giur. lav. 1984, IV,673].
Il Decreto legislativo n. 626/94, a partire dagli articoli 21 e 22 ha ampliato notevolmente la portata del suddetto obbligo.
16. Obbligo di manutenzione
La manutenzione (art. 374 D.P.R. n. 547/1955) deve essere affidata a personale specializzato: «nei lavori di riparazione di impianto elettrico, data l'elevata pericolosità e l'insidiosità dei rischi, il dovere di sicurezza di cui all'art. 2087 c.c. impone che la squadra incaricata sia formata da operai specificamente preparati, informati delle caratteristiche peculiari dell'impianto elettrico, ed in numero adeguato» (Pretura di Brescia, 20/04/1983, Busseni, in Riv. giur. lav. 1984, IV, 673).
L’art. 32 del Decreto Legislativo 19 settembre 1994 n. 626 prevede che «il datore di lavoro provvede affinché: (…)
b) i luoghi di lavoro, gli impianti e i dispositivi vengano sottoposti a regolare manutenzione tecnica e vengano eliminati, quanto più rapidamente possibile, i difetti rilevati che possano pregiudicare la sicurezza e la salute dei lavoratori».
Il libretto fornito con le attrezzature per l'effettuazione e la registrazione di determinate operazioni di manutenzione (a fini di sicurezza) deve essere mantenuto aggiornato (art. 374, comma 3, D.P.R. n. 547/1955).
Gli utilizzatori della macchina i quali sono tenuti ad utilizzare e manutenere la stessa secondo le istruzioni fornite dal fabbricante.
17. Distacco
Poiché in caso di distacco il datore di lavoro distaccante resta l'unico titolare del rapporto, l'obbligo di sicurezza di cui all'art. 2087 c.c. permane in capo al medesimo che, ancorché privo in astratto di poteri direzionali sull'organizzazione del lavoro, dovrà ritenersi responsabile per il solo fatto di aver deviato la prestazione di lavoro a favore di soggetto non fornito dei necessari requisiti tecnici e di sicurezza e benchè il soggetto diretto destinatario della prestazione lavorativa non possa considerarsi datore di lavoro del dipendente distaccato sussiste in capo al medesimo un obbligo di sicurezza di fonte legale, ex art. 2087 c.c., giacche tale norma si applica a colui che nell'esercizio dell'impresa organizza i fattori della produzione, a prescindere dal titolo in base al quale lo stesso utilizzi le prestazioni lavorative, e a patto che le stesse vengono svolte sotto la sua direzione e a suo vantaggio [Pretura Brescia, 12 maggio 1998].
18. Obbligo di sorveglianza del lavoratore inesperto
Il dovere di sicurezza a carico del datore di lavoro a norma dell'art. 2087 c.c., rilevante anche in relazione alle condotte volontarie e di segno contrario del dipendente cui non sia opposto un adeguato controllo, è particolarmente intenso nei confronti del lavoratore di giovane età e professionalmente inesperto [apprendista] che sia addetto ad una macchina di particolare pericolosità. (Nella specie, era rimasto infortunato un apprendista addetto da pochissimi giorni ad una macchina con lama rotante) [Cassazione civile sez. lav., 2 ottobre 1998, n. 9805].
19. Violazione dell'art. 2087 del codice civile ed onere della prova
Qualora eventi lesivi eccedenti la copertura approntata dall'assicurazione obbligatoria per infortunio sul lavoro o malattia professionale «abbiano comunque a verificarsi in pregiudizio del lavoratore e siano causalmente ricollegabili alla nocività dell'ambiente di lavoro, viene in rilievo l'art. 2087 c.c., che, come norma di chiusura del sistema antinfortunistico, impone al datore di lavoro, anche dove faccia difetto una specifica misura preventiva, di adottare comunque le misure generiche di prudenza e diligenza, nonché tutte le cautele necessarie, secondo le norme tecniche e di esperienza, a tutelare l'integrità fisica del lavoratore assicurato. In tal caso grava sul lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare l'esistenza di tale danno, come pure la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso di causalità tra l'una e l'altro; mentre grava sul datore di lavoro l'onere di provare di aver adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno ovvero che la malattia del dipendente non è ricollegabile all'inosservanza di tali obblighi. (Principio affermato con riferimento ad attività lavorativa comportante esposizione ai cromati, quale la produzione di acido cromico e di composti cromici)» [Cassazione civile sez. lav., 29 dicembre 1998, n. 12863].
Questo genere di responsabilità tuttavia non configura una sorta di responsabilità oggettiva del datore di lavoro: «l'art. 2087 c.c. non configura una sorta di responsabilità oggettiva del datore di lavoro, dovendo detta responsabilità pur sempre collegarsi alla violazione di obblighi di comportamento imposti dalla legge o suggeriti dall'esperienza e dalle conoscenze tecniche, e non potendosi automaticamente desumere l'inadeguatezza delle misure di protezione adottate solo fatto del verificarsi del danno. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità del datore di lavoro nell'infortunio occorso ad un lavoratore che, munito di scarpe di protezione con puntale di acciaio, si era reciso la falange di un dito, non a causa dell'urto - dal quale le scarpe lo avevano protetto - bensì a causa delle le suddette scarpe deformate a seguito dell'urto)» [Cassazione civile sez. lav., 20 maggio 1998, n. 5035].
20. Tutela del lavoratore anche contro la sua stessa imperizia e negligenza.
Per quanto riguarda la responsabilità ai sensi dell'art. 2087 del codice civile, la giurisprudenza della Cassazione, «come momento di approdo di un'elaborazione giurisprudenziale particolarmente attenta alla tutela dei valori della persona umana e del rischio della loro lesione, a fronte di un non corretto uso del potere imprenditoriale», è attestata in modo assolutamente incontrastato sul principio che «le norme dettate in tema di prevenzione, tese ad impedire l'insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore, non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione ma anche quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso; con la conseguenza che il datore di lavoro é sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente e solo allorché il comportamento del lavoratore presenti i caratteri della abnormità ed assoluta inopponibilità - atteso il suo livello di esperienza - il datore di lavoro rimane esente da responsabilità»: «In tema di infortuni sul lavoro l'eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare alcun effetto esimente per l'imprenditore che abbia provocato un infortunio per violazione delle relative prescrizioni di legge; il datore di lavoro é esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente presenti i caratteri dell'abnormità ed inopponibilità, della esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive organizzative ricevute, dalla atipicità ed eccezionalità, così da porsi quale causa esclusiva dell'evento» [Cassazione civile sez. lav., 19 agosto 1996, n. 7636].
21. Tutela contro l’eccessivo carico di lavoro
Per quanto riguarda la responsabilità ai sensi dell'art. 2087 del codice civile, la giurisprudenza della Cassazione, «come momento di approdo di un'elaborazione giurisprudenziale particolarmente attenta alla tutela dei valori della persona umana e del rischio della loro lesione, a fronte di un non corretto uso del potere imprenditoriale», è attestata in modo assolutamente incontrastato sul principio che «le norme dettate in tema di prevenzione, tese ad impedire l'insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore, non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione ma anche quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso; con la conseguenza che il datore di lavoro é sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente e solo allorché il comportamento del lavoratore presenti i caratteri della abnormità ed assoluta inopponibilità - atteso il suo livello di esperienza - il datore di lavoro rimane esente da responsabilità»: «In tema di infortuni sul lavoro l'eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare alcun effetto esimente per l'imprenditore che abbia provocato un infortunio per violazione delle relative prescrizioni di legge; il datore di lavoro é esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente presenti i caratteri dell'abnormità ed inopponibilità, della esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive organizzative ricevute, dalla atipicità ed eccezionalità, così da porsi quale causa esclusiva dell'evento» [Cassazione civile sez. lav., 19 agosto 1996, n. 7636].
Proprio al fine di individuare l'intensità della vigilanza dovuta dal datore di lavoro, per effetto dell'art. 41 comma 2 della Costituzione secondo cui l'iniziativa privata non può esercitarsi in maniera da arrecare danno alla libertà, sicurezza e dignità umana - e dell'art. 2087 cc, la Corte ha con recente decisione (8267-97) ritenuto che l'attività di collaborazione cui il datore di lavoro é tenuto nei confronti dei lavoratori, a norma dell'art. 2087 cc, non si esaurisce nella predisposizione di misure tassativamente imposte dalla legge ma si estende all'adozione di tutte le misure che si rivelino idonee a titolare l'integrità psico-fisica del lavoratore, richiedendosi un organico dimensionato alle esigenze aziendali; senza che l'eventuale iniziativa del lavoratore di assoggettarsi ad un impegno diretto a supplire a carenze di organico lo esima da responsabilità per danni alla sua integrità, psico-fisica, in quanto soggetto che rispetto a lui si trova in condizioni di subordinazione socio economica»: «l'attività di collaborazione cui l'imprenditore é tenuto nei confronti dei lavoratori a norma dell'art. 2087 c.c. non si esaurisce nella predisposizione di misure tassativamente imposte dalla legge, ma si estende all'adozione di tutte le misure che si rivelino idonee a tutelare l'integrità psico-fisica del lavoratore. Ne consegue che anche il mancato adeguamento dell'organico aziendale (in quanto e se determinante un eccessivo carico di lavoro), nonché il mancato impedimento di un superlavoro eccedente - secondo le regole di comune esperienza - la normale tollerabilità, con conseguenti danni alla salute del lavoratore, costituisce violazione degli art. 42, comma 2, cost. e 2087 c.c., e ciò anche quando l'eccessivo impegno sia frutto di una scelta del lavoratore (estrinsecantesi nell'accettazione di straordinario continuativo - ancorché contenuto nel cosiddetto monte ore massimo contrattuale - o nella rinuncia a periodi di ferie), atteso che il comportamento del lavoratore non esime il datore di lavoro dall'adottare tutte le misure idonee alla tutela dell'integrità fisico-psichica dei dipendenti, comprese quelle intese ad evitare l'eccessività di impegno da parte di soggetti in condizioni di subordinazione socio-economica» [Cassazione civile sez. lav., 1 settembre 1997, n. 8267)].
22. Azione in giudizio del lavoratore singolo per la tutela delle condizioni di lavoro ex artt. 2087 c.c.
In tema di tutela delle condizioni di lavoro, il fatto che alcune norme attribuiscono alle rappresentanze sindacali aziendali (vedi art. 9 e 19 l. n. 300 del 1970) o al rappresentante per la sicurezza (vedi art. 18 d.lg. n. 626 del 1994) il potere di controllare in azienda l'adozione delle misure di prevenzione e di agire presso le autorità competenti quando dette misure non vengano adottate ovvero non si rivelino idonee, non esclude che i lavoratori uti singuli possano agire in giudizio per ottenere l'adozione da parte del datore di lavoro delle misure idonee a tutelare la propria integrità fisica, ai sensi dell'art. 2087 c.c., posto che la salute costituisce oggetto di un autonomo diritto primario assoluto, e non solo un diritto o un interesse della collettività. (Nella specie alcuni dipendenti di una azienda municipalizzata di igiene urbana avevano agito in giudizio per ottenere l'adozione di alcune misure ritenute idonee ad evitare la propagazione degli agenti infettivi e chimici raccolti negli indumenti di lavoro, quali l'uso di armadietti per tenere separati detti indumenti da quelli "civili" e l'organizzazione di un servizio di lavaggio e disinfezione dei predetti indumenti che li esonerasse dal portarli nell'ambiente domestico) [Cassazione civile sez. lav., 9 ottobre 1997, n. 9808].
Articolo a cura di Rolando Dubini, avvocato in Milano, tratto da “Salute e sicurezza dei lavoratori sui luoghi di lavoro: Manuale teorico-pratico. Normativa comunitaria, legislazione nazionale, prassi amministrativa.” di Rolando Dubini e Francesco Molfese.
13. Irrilevanza dell’omessa contestazione da parte dell’organo di vigilanza
L'art. 2087 cod. civ., «nell'affermare che l'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa misure che, secondo le particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del lavoratore, stimola obbligatoriamente il datore di lavoro ad aprirsi alle nuove acquisizioni tecnologiche».
Nè efficacia esimente può attribuirsi alla circostanza che in occasione di visite ispettive non sia stato effettuato alcun rilievo, essendo anche in proposito già stato affermato, e dal Collegio condiviso, che «la punibilità dei reati colposi non è esclusa da un qualsiasi errore sul fatto che costituisce reato, ma, ai sensi dell'art. 47 cod. pen., solo dall'errore non determinato da colpa. Ne consegue che la circostanza che in occasione di visite ispettive non siano stati mossi rilievi in ordine alla sicurezza di una macchina, o alla regolarità di impianti, non può essere invocata per escludere la responsabilità del datore di lavoro; ciò perché la normativa antinfortunistica pone direttamente a carico dell'imprenditore l'obbligo di attuare le misure previste e di accertarsi della loro esistenza, sicché il destinatario di tale obbligo non può eluderlo trincerandosi dietro, sempre possibili, carenze o superficialità di osservazione verificatesi nel corso di ispezioni, oppure dietro pareri sommariamente o informativamente espressi»(Cass. 7 aprile 1989, n. 8355, Sgarigli m.u. 181538; Cass. 15 dicembre 1994, n. 8588, Rosaspina m.u. 199223).
14. Segnaletica
Il datore di lavoro «è altresì responsabile per aver omesso di esporre i cartelli che vietano di compiere operazioni di pulizia su organi delle macchine in movimento e per non aver vigilato sulla osservanza di tale divieto. Il rilievo che si costruiscano e si pongano in commercio macchine con barra priva di carter di protezione non vale ad escludere la responsabilità del datore di lavoro, cui incombe l'obbligo di garantire la sicurezza del lavoro ai propri dipendenti, ex art. 2087 c.c.» [Pretura Rho 8 ottobre 1977, Colombo e altro, in Riv. giur. lav. 1978, IV, 196].
15. Obbligo di informazione
L'obbligo del datore di lavoro, di rendere edotti i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti, previsto dall'art. 4 lett. b) d.P.R. 27 aprile 1955 n. 547, è imposto dall'ordinamento allo scopo di rendere improduttive di effetti lesivi anche le condotte dei lavoratori caratterizzate da ignoranza e imperizia, ciò che non si esaurisce con la debita adozione delle misure tecniche di prevenzione, ma postula anche la necessità (ex art. 2087 c.c.) di informare i lavoratori dei pericoli esistenti, con modalità e accuratezza adeguate e proporzionate all'importanza e alla gravità dei rischi, e altresì programmandola sequenza delle operazioni onde ridurre i margini di aleatorietà e arbitrarietà [Pretura Brescia 20 aprile 1983, in Riv. giur. lav. 1984, IV,673].
Il Decreto legislativo n. 626/94, a partire dagli articoli 21 e 22 ha ampliato notevolmente la portata del suddetto obbligo.
16. Obbligo di manutenzione
La manutenzione (art. 374 D.P.R. n. 547/1955) deve essere affidata a personale specializzato: «nei lavori di riparazione di impianto elettrico, data l'elevata pericolosità e l'insidiosità dei rischi, il dovere di sicurezza di cui all'art. 2087 c.c. impone che la squadra incaricata sia formata da operai specificamente preparati, informati delle caratteristiche peculiari dell'impianto elettrico, ed in numero adeguato» (Pretura di Brescia, 20/04/1983, Busseni, in Riv. giur. lav. 1984, IV, 673).
L’art. 32 del Decreto Legislativo 19 settembre 1994 n. 626 prevede che «il datore di lavoro provvede affinché: (…)
b) i luoghi di lavoro, gli impianti e i dispositivi vengano sottoposti a regolare manutenzione tecnica e vengano eliminati, quanto più rapidamente possibile, i difetti rilevati che possano pregiudicare la sicurezza e la salute dei lavoratori».
Il libretto fornito con le attrezzature per l'effettuazione e la registrazione di determinate operazioni di manutenzione (a fini di sicurezza) deve essere mantenuto aggiornato (art. 374, comma 3, D.P.R. n. 547/1955).
Gli utilizzatori della macchina i quali sono tenuti ad utilizzare e manutenere la stessa secondo le istruzioni fornite dal fabbricante.
17. Distacco
Poiché in caso di distacco il datore di lavoro distaccante resta l'unico titolare del rapporto, l'obbligo di sicurezza di cui all'art. 2087 c.c. permane in capo al medesimo che, ancorché privo in astratto di poteri direzionali sull'organizzazione del lavoro, dovrà ritenersi responsabile per il solo fatto di aver deviato la prestazione di lavoro a favore di soggetto non fornito dei necessari requisiti tecnici e di sicurezza e benchè il soggetto diretto destinatario della prestazione lavorativa non possa considerarsi datore di lavoro del dipendente distaccato sussiste in capo al medesimo un obbligo di sicurezza di fonte legale, ex art. 2087 c.c., giacche tale norma si applica a colui che nell'esercizio dell'impresa organizza i fattori della produzione, a prescindere dal titolo in base al quale lo stesso utilizzi le prestazioni lavorative, e a patto che le stesse vengono svolte sotto la sua direzione e a suo vantaggio [Pretura Brescia, 12 maggio 1998].
18. Obbligo di sorveglianza del lavoratore inesperto
Il dovere di sicurezza a carico del datore di lavoro a norma dell'art. 2087 c.c., rilevante anche in relazione alle condotte volontarie e di segno contrario del dipendente cui non sia opposto un adeguato controllo, è particolarmente intenso nei confronti del lavoratore di giovane età e professionalmente inesperto [apprendista] che sia addetto ad una macchina di particolare pericolosità. (Nella specie, era rimasto infortunato un apprendista addetto da pochissimi giorni ad una macchina con lama rotante) [Cassazione civile sez. lav., 2 ottobre 1998, n. 9805].
19. Violazione dell'art. 2087 del codice civile ed onere della prova
Qualora eventi lesivi eccedenti la copertura approntata dall'assicurazione obbligatoria per infortunio sul lavoro o malattia professionale «abbiano comunque a verificarsi in pregiudizio del lavoratore e siano causalmente ricollegabili alla nocività dell'ambiente di lavoro, viene in rilievo l'art. 2087 c.c., che, come norma di chiusura del sistema antinfortunistico, impone al datore di lavoro, anche dove faccia difetto una specifica misura preventiva, di adottare comunque le misure generiche di prudenza e diligenza, nonché tutte le cautele necessarie, secondo le norme tecniche e di esperienza, a tutelare l'integrità fisica del lavoratore assicurato. In tal caso grava sul lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare l'esistenza di tale danno, come pure la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso di causalità tra l'una e l'altro; mentre grava sul datore di lavoro l'onere di provare di aver adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno ovvero che la malattia del dipendente non è ricollegabile all'inosservanza di tali obblighi. (Principio affermato con riferimento ad attività lavorativa comportante esposizione ai cromati, quale la produzione di acido cromico e di composti cromici)» [Cassazione civile sez. lav., 29 dicembre 1998, n. 12863].
Questo genere di responsabilità tuttavia non configura una sorta di responsabilità oggettiva del datore di lavoro: «l'art. 2087 c.c. non configura una sorta di responsabilità oggettiva del datore di lavoro, dovendo detta responsabilità pur sempre collegarsi alla violazione di obblighi di comportamento imposti dalla legge o suggeriti dall'esperienza e dalle conoscenze tecniche, e non potendosi automaticamente desumere l'inadeguatezza delle misure di protezione adottate solo fatto del verificarsi del danno. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità del datore di lavoro nell'infortunio occorso ad un lavoratore che, munito di scarpe di protezione con puntale di acciaio, si era reciso la falange di un dito, non a causa dell'urto - dal quale le scarpe lo avevano protetto - bensì a causa delle le suddette scarpe deformate a seguito dell'urto)» [Cassazione civile sez. lav., 20 maggio 1998, n. 5035].
20. Tutela del lavoratore anche contro la sua stessa imperizia e negligenza.
Per quanto riguarda la responsabilità ai sensi dell'art. 2087 del codice civile, la giurisprudenza della Cassazione, «come momento di approdo di un'elaborazione giurisprudenziale particolarmente attenta alla tutela dei valori della persona umana e del rischio della loro lesione, a fronte di un non corretto uso del potere imprenditoriale», è attestata in modo assolutamente incontrastato sul principio che «le norme dettate in tema di prevenzione, tese ad impedire l'insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore, non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione ma anche quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso; con la conseguenza che il datore di lavoro é sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente e solo allorché il comportamento del lavoratore presenti i caratteri della abnormità ed assoluta inopponibilità - atteso il suo livello di esperienza - il datore di lavoro rimane esente da responsabilità»: «In tema di infortuni sul lavoro l'eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare alcun effetto esimente per l'imprenditore che abbia provocato un infortunio per violazione delle relative prescrizioni di legge; il datore di lavoro é esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente presenti i caratteri dell'abnormità ed inopponibilità, della esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive organizzative ricevute, dalla atipicità ed eccezionalità, così da porsi quale causa esclusiva dell'evento» [Cassazione civile sez. lav., 19 agosto 1996, n. 7636].
21. Tutela contro l’eccessivo carico di lavoro
Per quanto riguarda la responsabilità ai sensi dell'art. 2087 del codice civile, la giurisprudenza della Cassazione, «come momento di approdo di un'elaborazione giurisprudenziale particolarmente attenta alla tutela dei valori della persona umana e del rischio della loro lesione, a fronte di un non corretto uso del potere imprenditoriale», è attestata in modo assolutamente incontrastato sul principio che «le norme dettate in tema di prevenzione, tese ad impedire l'insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore, non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione ma anche quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso; con la conseguenza che il datore di lavoro é sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente e solo allorché il comportamento del lavoratore presenti i caratteri della abnormità ed assoluta inopponibilità - atteso il suo livello di esperienza - il datore di lavoro rimane esente da responsabilità»: «In tema di infortuni sul lavoro l'eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare alcun effetto esimente per l'imprenditore che abbia provocato un infortunio per violazione delle relative prescrizioni di legge; il datore di lavoro é esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente presenti i caratteri dell'abnormità ed inopponibilità, della esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive organizzative ricevute, dalla atipicità ed eccezionalità, così da porsi quale causa esclusiva dell'evento» [Cassazione civile sez. lav., 19 agosto 1996, n. 7636].
Proprio al fine di individuare l'intensità della vigilanza dovuta dal datore di lavoro, per effetto dell'art. 41 comma 2 della Costituzione secondo cui l'iniziativa privata non può esercitarsi in maniera da arrecare danno alla libertà, sicurezza e dignità umana - e dell'art. 2087 cc, la Corte ha con recente decisione (8267-97) ritenuto che l'attività di collaborazione cui il datore di lavoro é tenuto nei confronti dei lavoratori, a norma dell'art. 2087 cc, non si esaurisce nella predisposizione di misure tassativamente imposte dalla legge ma si estende all'adozione di tutte le misure che si rivelino idonee a titolare l'integrità psico-fisica del lavoratore, richiedendosi un organico dimensionato alle esigenze aziendali; senza che l'eventuale iniziativa del lavoratore di assoggettarsi ad un impegno diretto a supplire a carenze di organico lo esima da responsabilità per danni alla sua integrità, psico-fisica, in quanto soggetto che rispetto a lui si trova in condizioni di subordinazione socio economica»: «l'attività di collaborazione cui l'imprenditore é tenuto nei confronti dei lavoratori a norma dell'art. 2087 c.c. non si esaurisce nella predisposizione di misure tassativamente imposte dalla legge, ma si estende all'adozione di tutte le misure che si rivelino idonee a tutelare l'integrità psico-fisica del lavoratore. Ne consegue che anche il mancato adeguamento dell'organico aziendale (in quanto e se determinante un eccessivo carico di lavoro), nonché il mancato impedimento di un superlavoro eccedente - secondo le regole di comune esperienza - la normale tollerabilità, con conseguenti danni alla salute del lavoratore, costituisce violazione degli art. 42, comma 2, cost. e 2087 c.c., e ciò anche quando l'eccessivo impegno sia frutto di una scelta del lavoratore (estrinsecantesi nell'accettazione di straordinario continuativo - ancorché contenuto nel cosiddetto monte ore massimo contrattuale - o nella rinuncia a periodi di ferie), atteso che il comportamento del lavoratore non esime il datore di lavoro dall'adottare tutte le misure idonee alla tutela dell'integrità fisico-psichica dei dipendenti, comprese quelle intese ad evitare l'eccessività di impegno da parte di soggetti in condizioni di subordinazione socio-economica» [Cassazione civile sez. lav., 1 settembre 1997, n. 8267)].
22. Azione in giudizio del lavoratore singolo per la tutela delle condizioni di lavoro ex artt. 2087 c.c.
In tema di tutela delle condizioni di lavoro, il fatto che alcune norme attribuiscono alle rappresentanze sindacali aziendali (vedi art. 9 e 19 l. n. 300 del 1970) o al rappresentante per la sicurezza (vedi art. 18 d.lg. n. 626 del 1994) il potere di controllare in azienda l'adozione delle misure di prevenzione e di agire presso le autorità competenti quando dette misure non vengano adottate ovvero non si rivelino idonee, non esclude che i lavoratori uti singuli possano agire in giudizio per ottenere l'adozione da parte del datore di lavoro delle misure idonee a tutelare la propria integrità fisica, ai sensi dell'art. 2087 c.c., posto che la salute costituisce oggetto di un autonomo diritto primario assoluto, e non solo un diritto o un interesse della collettività. (Nella specie alcuni dipendenti di una azienda municipalizzata di igiene urbana avevano agito in giudizio per ottenere l'adozione di alcune misure ritenute idonee ad evitare la propagazione degli agenti infettivi e chimici raccolti negli indumenti di lavoro, quali l'uso di armadietti per tenere separati detti indumenti da quelli "civili" e l'organizzazione di un servizio di lavaggio e disinfezione dei predetti indumenti che li esonerasse dal portarli nell'ambiente domestico) [Cassazione civile sez. lav., 9 ottobre 1997, n. 9808].
Articolo a cura di Rolando Dubini, avvocato in Milano, tratto da “Salute e sicurezza dei lavoratori sui luoghi di lavoro: Manuale teorico-pratico. Normativa comunitaria, legislazione nazionale, prassi amministrativa.” di Rolando Dubini e Francesco Molfese.
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