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La valutazione del rischio chimico nel Decreto 81/08
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Nella sezione Pubblicazioni del sito Inail sono presenti gli Atti del Convegno tenutosi a Roma il 10 giugno 2008, dedicato alla valutazione del rischio chimico nei laboratori chimici di ricerca pura e applicata.
PuntoSicuro aveva sottolineato la presenza, in questi atti, di una Guida alla valutazione del rischio derivante dall'esposizione ad agenti chimici nei laboratori di ricerca, edita nell’ambito dei Quaderni della Rivista degli Infortuni e delle Malattie Professionali.
La pubblicazione, di cui ora approfondiamo il contenuto, è intitolata “ La valutazione del rischio chimico nei laboratori di ricerca: analisi critica dei modelli di calcolo alla luce del nuovo testo unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro” ed è stata scritta da F. D’orsi ed E. Pietrantonio del Servizio Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro- ASL RMC.
Nell’introduzione del documento si ricorda che i laboratori di ricerca sono ambienti lavorativi in cui vengono utilizzate numerose sostanze chimiche pericolose per la salute e per la sicurezza. Generalmente in quantità ridotte, ma qualche volta, come per i solventi organici ed inorganici, anche in quantità significative: la presenza di queste sostanze è legata al tipo di attività e spesso non è possibile eliminarle o sostituirle con sostanze meno dannose.
E “non sempre sono completamente noti gli effetti sulla salute delle sostanze pericolose utilizzate, in quanto non tutte sono classificate nella UE, secondo i criteri espressi dai decreti legislativi 52/1997 e 65/2003 e dal regolamento europeo REACH”.
Inoltre alcune sostanze pericolose “possono anche formarsi come prodotti secondari dalle più diverse reazioni (sintesi, decomposizione, ossidazione, ciclizzazione, epossidazione, alchilazione ecc...) e seppur non rientrando nelle materie prime utilizzate, devono essere comunque valutate”.
Queste le problematiche della sicurezza nei laboratori di ricerca, ma – continua il documento - la “situazione viene ulteriormente complicata dal fatto che non sempre le metodiche utilizzate nei laboratori di ricerca possono essere standardizzate” e spesso una peculiarità di questa attività di ricerca è la continua “modifica delle tecniche e delle metodiche analitiche utilizzate in tempo reale”.
Se a questo si aggiunge la diffusa presenza nei laboratori di forme di lavoro precarie (borse di studio, contratti di collaborazione, assegni di ricerca,...) e il conseguente elevato turn over si può capire la difficoltà di mettere in atto idonee forme di prevenzione e protezione dei rischi chimici, forme di prevenzione che necessitano di un tempo precedente di valutazione e programmazione.
In ogni caso rimane “l’obbligo per il datore di lavoro di effettuare la valutazione del rischio chimico per ogni agente chimico pericoloso ed è necessario adottare strumenti efficaci ed adatti a descrivere il rischio in situazioni di tali complessità”.
Il Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro, D.Lgs. 81 del 9 aprile 2008, richiama i principi già apparsi sul D.Lgs. 626/1994 riguardo al rischio chimico e “definisce i criteri per una corretta valutazione del rischio chimico che devono essere adottati”.
Ricordiamo, a tal proposito, che l’articolo 223, dedicato alla valutazione dei rischi relativo agli agenti chimici, riporta che il datore di lavoro determina, preliminarmente l'eventuale presenza di agenti chimici pericolosi sul luogo di lavoro e valuta anche i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori derivanti dalla presenza di tali agenti, prendendo in considerazione in particolare:
- le loro proprietà pericolose;
- le informazioni sulla salute e sicurezza comunicate dal responsabile dell'immissione sul mercato tramite la relativa scheda di sicurezza predisposta ai sensi dei decreti legislativi 3 febbraio 1997, n. 52, e 14 marzo 2003, n. 65, e successive modifiche;
- il livello, il tipo e la durata dell'esposizione;
- le circostanze in cui viene svolto il lavoro in presenza di tali agenti, compresa la quantità degli stessi;
- i valori limite di esposizione professionale o i valori limite biologici; di cui un primo elenco è riportato negli allegati XXXVIII e XXXIX;
- gli effetti delle misure preventive e protettive adottate o da adottare;
- se disponibili, le conclusioni tratte da eventuali azioni di sorveglianza sanitaria già intraprese.
Inoltre il documento di valutazione dei rischi deve contenere le seguenti informazioni:
- “analisi del processo lavorativo e classificazione delle mansioni”;
- “ identificazione degli agenti chimici pericolosi”;
- “la definizione del livello di rischio per ogni sostanza irrilevante per la salute e basso per la sicurezza o meno secondo l’art.224”, anche attraverso l’utilizzo di modelli e/o algoritmi.
La valutazione dei rischi per la salute “segue il modello universale della curva dose-risposta”, una curva su cui sono stabiliti i livelli di soglia: il valore limite ed il livello di azione.
Generalmente “al di sopra del valore limite la maggior parte dei lavoratori corre il rischio di ammalarsi, mentre tra il livello di azione ed il valore limite verosimilmente si possono ammalare solo i soggetti ipersuscettibili”.
Invece al di sotto del livello di azione “l’esposizione è talmente bassa che nessun lavoratore (nemmeno un ipersuscettibile) può ragionevolmente ammalarsi”.
Riguardo al rischio chimico, “il valore limite corrisponde ai valori limite ponderati (VLP) per le singole sostanze”, indicati dalla normativa o dagli organismi scientifici, mentre “il livello di azione corrisponde ad un livello genericamente definito irrilevante per la salute dal Testo Unico.
Il documento continua descrivendo tre diverse situazioni, in quanto a criteri, metodi e finalità della valutazione:
- valutazione preliminare del rischio: è “il primo approccio ad una situazione in cui sono presenti agenti chimici pericolosi” e si basa su “dati informativi (documentali e di osservazione)”. Secondo l’esito della valutazione preliminare “si può procedere ad una valutazione approfondita ovvero si può concludere che non è necessario procedere ulteriormente”.
- valutazione approfondita del rischio: è una valutazione più approfondita, a livello qualitativo e quantitativo, che “prevede l’utilizzo di algoritmi o misure ambientali” e può concludere quale sia il livello di esposizione.
- verifica del rispetto del valore limite di esposizione: si riferisce “a tutte quelle situazioni che non solo superano il livello di azione, ma che potrebbero superare anche il valore limite” e prevede “obbligatoriamente il ricorso a misure ambientali”.
La definizione del livello di rischio indicata nella valutazione “deve avvenire per ogni sostanza utilizzata nell’ambiente di lavoro, e la definizione di tale giudizio può avvenire utilizzando o meno modelli matematici”.
Alcuni casi specifici di attività:
- esposizione del lavoratore ad un agente chimico pericoloso proveniente da più fonti: in questo caso “sarà necessario considerare l’esposizione totale”;
- esposizione del lavoratore a più agenti chimici pericolosi: la valutazione deve tener conto “anche degli effetti sinergici e combinatori, se necessario verranno utilizzate concentrazioni miscela”.
Il documento – la cui disamina continueremo in un prossimo articolo – prosegue parlando di:
- impiego di algoritmi e modelli per la valutazione del rischio;
- requisiti dei modelli matematici e della stima del rischio (con particolare riferimento al modello A.R.Chi.M.E.D.E.);
- vantaggi e criticità dei modelli;
- caratteristiche dei modelli utilizzati dagli enti di ricerca controllati dallo S.Pre.S.A.L.;
- risultati di una ricerca in tre laboratori.
F. D'orsi, E. Pietrantonio - La valutazione del rischio chimico nei laboratori di ricerca: analisi critica dei modelli di calcolo alla luce del nuovo testo unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro (formato PDF, 153 kB).
Tiziano Menduto
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