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Le fasi di intervento della valutazione del rischio stress

Tiziano Menduto

Autore: Tiziano Menduto

Categoria: Medico competente

17/02/2010

Il tema dello stress lavoro-correlato in relazione alle novità del Testo Unico sul ruolo dell’organizzazione del lavoro. La proroga dei termini della valutazione dei rischi, la commissione consultiva e i criteri irrinunciabili per l’analisi dello stress.

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Nel numero di Luglio/Settembre 2009 del Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia si affronta un tema delicato e, al tempo stesso, molto importante in relazione alle novità del Decreto legislativo 81/2008 riguardanti il ruolo dell’organizzazione lavorativa e della valutazione del fattore umano nelle politiche di sicurezza aziendale.

Il tema viene affrontato nel contributo dal titolo “Punti fondamentali alla base dell’analisi dello stress lavoro-correlato” a cura di Cinzia Frascheri, responsabile nazionale CISL “Salute e sicurezza sul lavoro”.


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Nell’introduzione si ricorda che per troppo tempo si sono considerati separati due mondi: quello tecnico e quello organizzativo, “prevedendo solo per il primo la necessità di compiere la valutazione del rischio e i relativi interventi conseguenti, elaborando, a carico delle figure preposte, le procedure adeguate”.
Da questo punto di vista il “definitivo” D.Lgs. 81/2008 pone le condizioni per un “concreto nuovo passaggio culturale, andando ad intervenire non solo sulle mancanze ed i necessari aggiornamenti nei riguardi della legislazione precedente, ma in particolare sulle modalità di applicazione ed intervento delle disposizioni in essa previste, ritenute determinanti per il raggiungimento di una diffusa, efficace e migliore condizione di tutela nei posti di lavoro, che pone la lavoratrice ed il lavoratore al centro dell’organizzazione del lavoro”.
Il legislatore ha, insomma, rafforzato il “valore e l’importanza di un sistema organizzativo aziendale adeguato e rispondente alla realtà nel quale è previsto”, sistema organizzativo che non è più considerato statico, ma dinamico. Dinamico “al punto da venire ad essere parificato ad un fattore potenziale di rischio, al pari di altri”, al punto di porre la “persona al centro del processo lavorativo”, pur “senza trascurare gli obiettivi di produzione e profitto”. 

Per dimostrare l’importanza di una buona organizzazione di lavoro, l’autrice del contributo paragona l’organizzazione lavorativa al sistema di cambio in una bicicletta: “non ha rilevanza specifica nel far avanzare il mezzo, nel farlo andare più o meno forte”, ma “ha il compito di adattare e armonizzare quella che è la pedalata con la rotazione delle ruote”. E dunque l’organizzazione di lavoro deve armonizzare “il potenziale rappresentato dalla popolazione lavorativa con le esigenze e le regole aziendali, le criticità del mercato, le disposizioni contrattuali e le istanze della committenza”: solo così si può “tenere il passo con lo sviluppo, il progresso, ma soprattutto con la concorrenza”.
Se l’organizzazione è una “variabile determinante nel contesto lavorativo”, si è così introdotta l’analisi delle sue caratteristiche, andando a porre sotto osservazione gli “aspetti che riguardano le modalità di svolgimento della mansione (carichi e ritmi di lavoro..), rapportate alle condizioni nelle quali si vanno a svolgere (ambienti di lavoro, attrezzature, spazi…), in funzione delle caratteristiche dell’operatore e delle sue abilità (età, genere, tipologia contrattuale, conoscenze, competenze, esperienza lavorativa)”.

Il riconoscere pieno valore al fattore “organizzazione del lavoro” ha portato il legislatore a ripensare totalmente allo strumento della valutazione del rischio.  Una valutazione secondo un modello a “matrice”: in ogni valutazione dei rischi svolta nei luoghi di lavoro si deve “ri-leggere e valutare (obbligatoriamente) i rischi di natura tradizionale (come il rischio chimico, fisico, biologico...) alla luce delle variabili tipiche della popolazione lavorativa, quali: l’età, il genere, la provenienza da altri Paesi, lo stress lavoro-correlato e le tipologie contrattuali”.

Arrivando specificatamente al tema dello stress lavoro-correlato, il documento ricorda che, non a caso, non è stato usato il termine “rischi psico-sociali”: “lo stress lavoro-correlato se di certo appartiene alla categoria dei rischi psico-sociali, non è l’unico rischio di tale più ampio raggruppamento ed, al contempo, avendo proprie e specifiche caratteristiche, non può essere con altri confuso”.
Se nell’ambito dei rischi psico-sociali troviamo il mobbing, il burnout, e la violenza sul lavoro, viene sottolineato che fenomeni come il mobbing e la violenza sul lavoro “prendono consistenza al momento in cui viene in essere (o ‘emerge’) l’intento nocivo da parte dell’autore nei riguardi del soggetto individuato quale ‘vittima’”. E dunque, “tenuto conto che l’analisi dei rischi è per sua natura a carattere preventivo e a dimensione collettiva”, tali fenomeni non possono essere oggetto di valutazione del rischio (e pertanto, oggetto di obbligo a carico del datore di lavoro). Cosa diversa, invece, per il caso dello stress lavoro-correlato e del burnout, dove “gli elementi di disagio/danno possono sussistere indipendentemente dalla volontà nociva”. 

Se la chiarezza del dettato normativo riguardo allo stress lavoro-correlato “pone un punto fermo da cui partire, allineando i criteri di fondo, non risolve la seconda fase del processo, e cioè, l’attuazione”. E, tra l’altro, la comunità scientifica arriva a porre sotto analisi il fenomeno dello stress lavoro-correlato senza “un unico approccio consolidato e condiviso”.
Ecco dunque che “registrando le difformità tra i metodi applicati, le diseguaglianze di trattamenti adottati nelle diverse realtà lavorative e, i ritardi accumulati nel rispetto dell’obbligo da parte dei datori di lavoro”, il decreto correttivo 106/2009 non solo prevede  un’ulteriore proroga dei termini di applicazione dell’obbligo di valutazione dello stress lavoro-correlato ma determina “le condizioni per una soluzione adeguata del problema, facendo tesoro dell’esperienza non positiva creatasi sull’intero territorio”.

In questo senso il comma aggiuntivo all’art.28 del d.lgs. 81/2008 indica che la valutazione dello stress lavoro-correlato sia effettuata nel rispetto delle indicazioni che dovranno pervenire dalla Commissione consultiva permanente, “la quale, potendo contare su di un tempo massimo di mandato, fissato al 1° agosto 2010 (dopo il quale l’obbligo scatterà anche in assenza di criteri stabiliti collegialmente), dovrà assolvere al delicato compito di tracciare le linee fondamentali per lo svolgimento della valutazione, indicando criteri di intervento e di analisi, senza approdare, si ritiene, a metodi e a processi determinati”.

In questa fase di attesa, l’autrice delinea alcuni criteri fondamentali e fasi di intervento che non potranno non essere un riferimento basilare per affrontare una valutazione dello stress lavoro-correlato:

- individuazione dei Gruppi Omogenei di Lavoratori (GOL): in base alle indicazioni legislative “non tutta la popolazione lavorativa deve essere analizzata, ma solo i gruppi di lavoratori che per omogeneità di caratteristiche si ritengono maggiormente esposti a rischio”. L’individuazione dei GOL dovrà “essere necessariamente la prima fase da dover affrontare, avviando una procedura di analisi e valutazione specifica”;

- pianificazione degli interventi: una pianificazione che parta da un’analisi degli indicatori (ad esempio gli indicatori condivisi a livello comunitario e previsti dall’Accordo europeo dell’8 ottobre 2004) “scegliendo tra questi, i fattori più adeguati per l’analisi delle specifiche mansioni messe sotto valutazione (in base ai GOL individuati, nella fase precedente)”. È poi necessario che lavoratori e lavoratrici vengano formati sul tema dello stress lavoro-correlato: non solo per aumentare le conoscenze sul tema, ma per favorire “la crescita di una consapevolezza e capacità di analisi, critica, nei riguardi delle diverse situazioni in ambito lavorativo”; una capacità critica che possa portare a ”un atteggiamento proficuo e propositivo per l’intera collettività lavorativa”. In questa fase di pianificazione si situa anche il confronto dei dati risultanti dall’analisi con lavoratori/trici: un confronto che deve avvenire “mediante metodologie che evidenzino un approccio di natura collettiva e legato alla mansione, senza cadere mai nella raccolta di indicazioni di natura meramente percettiva e, pertanto, soggettiva, lontane e forvianti dal contributo importante che invece dai lavoratori/ trici deve pervenire”;

- avvio interventi di sostegno e miglioramento delle condizioni di lavoro ed organizzative: il datore di lavoro non deve solo analizzare, ma anche realizzare degli “interventi individuati e ritenuti adeguati per realizzare forme di eliminazione o riduzione dei rischi, o anche di prevenzione e miglioramento continuo delle condizioni di lavoro”. Importante poi monitorare le conseguenze e gli effetti determinati dagli interventi nel tempo, per facilitare eventuali interventi “correttivi” delle misure di prevenzione attuate.

Per concludere riportiamo, riguardo alla fase di pianificazione, alcuni degli indicatori raccolti dall’autrice come più significativi (ricordando tuttavia che “nessun indicatore ha un potenzialità di rischio maggiore di altri, ma sono le condizioni nelle quali sono inseriti e gli operatori ad essi sottoposti che possono determinare conseguenze di rischio o meno”):

– “eventuali inadeguatezze nella gestione dell’organizzazione e dei processi di lavoro, tra cui, la disciplina dell’orario di lavoro, il grado di autonomia, la corrispondenza tra le competenze dei lavoratori ed i requisiti professionali richiesti, i carichi di lavoro, etc.;
condizioni di lavoro e ambientali, tra cui, l’esposizione a comportamenti illeciti nello svolgimento del lavoro, indicatori di rischio ambientale riletti in ottica di fatica mentale e disagio lavorativo, al di sotto dei limiti previsti per legge, come per il rischio rumore, il rischio calore, il rischio da sostanze pericolose, etc.;
comunicazione interna di lavoro, tra cui, l’incertezza in ordine alle prestazioni richieste, alle prospettive di impiego o ai possibili cambiamenti, etc.;
fattori di tipicità, prescindendo dal soggetto e concentrandosi sullo svolgimento della mansione all’interno di un determinato contesto e regole organizzative, tra cui, le tensioni e la sensazione di non poter far fronte alle richieste o aspettative risposte sul lavoratore/trice, la percezione di mancanza di una adeguata attenzione lavorativa nei confronti dei soggetti impegnati nella mansione, etc.”.



Punti fondamentali alla base dell’analisi dello stress lavoro-correlato” a cura di Cinzia Frascheri, responsabile nazionale CISL “Salute e sicurezza sul lavoro”, in Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia, Volume XXXI n°3, luglio-settembre 2009 (formato PDF, 42 kB).
 
 
 
Tiziano Menduto
 



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