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Obblighi e responsabilita' dei lavoratori in materia di sicurezza

Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Lavoratori

20/04/2009

La Cassazione: i lavoratori sono tenuti a segnalare le deficienze dei mezzi di sicurezza nonché le condizioni di pericolo di cui vengono a conoscenza adoperandosi, nel limite delle proprie competenze, per eliminarle o ridurle. A cura di G. Porreca.

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Sugli obblighi e sulle responsabilità dei lavoratori in materia di sicurezza sul lavoro: i lavoratori sono tenuti a segnalare al datore di lavoro le deficienze dei mezzi di sicurezza nonché le condizioni di pericolo di cui vengono a conoscenza adoperandosi direttamente, nel limite delle proprie competenze, per eliminarle o ridurle.
 
 
Commento a cura di G. Porreca (www.porreca.it).
 
Appare giusto l’orientamento che la Corte di Cassazione sta assumendo recentemente nella individuazione delle responsabilità in materia di sicurezza sul lavoro distribuite in azienda a tutti i livelli di funzionalità nell’ambito della organizzazione del lavoro ed a tutte le figure ciascuna nell’ambito delle proprie competenze e funzioni e ciò anche e soprattutto nel rispetto dei principi e degli indirizzi forniti prima con il D. Lgs. 19/9/1994 n. 626 e recentemente con il D. Lgs. 9/4/2008 n. 81 i quali richiedono di coinvolgere nella applicazione delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro e nella realizzazione di tutte le misure  di sicurezza necessarie per la tutela dei lavoratori tutte le figure aziendali, dal datore di lavoro al dirigente, dal responsabile del servizio di prevenzione e protezione al medico competente, dal preposto al lavoratore, dal costruttore all’installatore.
 
Un altro principio che viene ribadito è quello in base al quale le misure di prevenzione degli infortuni si applicano anche nei confronti di persone estranee all’ambito imprenditoriale nel caso in cui questi subisca un infortunio avvenuto in azienda e legato a carenze di misure di sicurezza.


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Nella sentenza in esame la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza di condanna già inflitta dal Tribunale e dalla Corte di Appello di un RSPP e di un operatore addetto alla manovra di un escavatore a seguito di un infortunio mortale sul lavoro durante alcuni lavori di scavo. In particolare i lavori di scavo erano finalizzati alla realizzazione di un pozzo ed erano stati affidati dal proprietario del fondo ad una ditta specializzata. Durante tali lavori era accaduto che un conoscente del proprietario, nell’intento di collaborare con l’impresa era sceso nello scavo ed era rimasto sepolto mortalmente a seguito del franamento del terreno costituente una parete dello scavo medesimo non opportunamente puntellata. Dell’accaduto erano stati ritenuti responsabili il proprietario del fondo, il responsabile legale dell’impresa, il RSPP della stessa nonché l’operatore dell’escavatore.
 
Rinviati a giudizio il Tribunale condannava per omicidio colposo il responsabile legale dell’impresa, il RSPP e l’operatore della macchina  condanna poi confermata dalla Corte di Appello nei confronti del RSPP e dell’operatore che assolveva invece il responsabile dell’impresa medesima. Al RSPP era stato contestato di aver omesso di effettuare un'adeguata valutazione del rischio connesso all'esecuzione dei lavori in argomento e di aver omesso di individuare la corretta metodologia dello scavo nonché di fare applicare le misure necessarie ad evitare il rischio di frana o di crollo del terreno e di non aver impartito all’operatore le necessarie istruzioni perché i lavori fossero eseguiti in conformità di quanto previsto dagli artt. 12 e 13 del D. P. R. n. 164 del 1956.
 
All’operatore invece era stato contestato di avere iniziato e continuato i lavori di scavo medesimi senza applicare le armature necessarie ad evitare il franamento del terreno nonché di avere impropriamente utilizzato un macchinario, così come era stato accertato successivamente dai tecnici della ASL, inadeguato per posare degli anelli in cemento in fondo allo scavo. Ad entrambi gli imputati erano stati comunque contestati anche profili di colpa generica con riferimento a connotazioni di imprudenza, negligenza ed imperizia.
 
Gli imputati hanno fatto entrambi ricorso alla Corte di Cassazione. Il RSPP ha sostenuto nello stesso che  il proprietario del fondo svolgeva nella circostanza dei lavori in economia che gestiva direttamente e che fra lo stesso e l’impresa era stato stipulato solo un contratto cosiddetto di “nolo a caldo" per cui la sua impresa, quale noleggiatrice, sarebbe stata chiamata a risponderne solo se l'infortunio fosse dipeso dal funzionamento o dalle deficienze antinfortunistiche della macchina. L’operatore ha portato invece a sua discolpa l’osservazione che sarebbero stati ipotizzati a suo carico doveri ed obblighi propri del datore di lavoro e che lui “in quanto ‘semplice lavoratore subordinato operatore di macchine per la movimentazione terra’ sarebbe esente da responsabilità non potendo rispondere delle eventuali omissioni e violazioni normative riconducibili al datore di lavoro”  e di essere stato chiamato a rispondere dell'uso di una macchina, ritenuta inadeguata, che a lui era stata affidata dallo stesso datore di lavoro.
 
La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i ricorsi formulando delle argomentazioni utili per una corretta individuazione delle responsabilità in materia di sicurezza sul lavoro nell’ambito di una organizzazione aziendale. La stessa non ha condiviso le osservazioni fatte a sua difesa dal RSPP in quanto i lavori in atto erano tipici dell’impresa di appartenenza ed erano contemplati nel piano di sicurezza della stessa per cui egli, in qualità di responsabile del servizio di prevenzione e protezione, avrebbe dovuto provvedere all’adozione di tutte le misure di sicurezza previste dalle norme di legge ed espressamente indicate nel D.P.R. n. 164/1956 (armature nello scavo, protezione che impedisse l’accesso allo scavo, assenza di persone nelle immediate vicinanze nello scavo stesso).
 
Interessanti poi le motivazioni che hanno indotto la suprema Corte a rigettare il ricorso dell’operatore. La colpevolezza dell’operatore, secondo la Sez. IV appare inequivocabilmente ancorata alla violazione di specifiche disposizioni di legge. Invero, ha ricordato la stessa, che in forza dell’art. 6 del  D. P. R. n. 547 del 1955i lavoratori devono segnalare immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o ai preposti le deficienze dei dispositivi e dei mezzi di sicurezza e di protezione, nonché le altre eventuali condizioni di pericolo di cui venissero a conoscenza, adoperandosi direttamente, in caso di urgenza e nell'ambito delle loro competenze e possibilità, per eliminare o ridurre dette deficienze o pericoli". L’operatore, osserva ancora la Sez. IV, dopo avere iniziato le operazioni di scavo senza la predisposizione delle armature necessarie per evitare il pericolo di frana del terreno, proseguì nel lavoro nonostante la evidente inidoneità della macchina escavatrice mentre avrebbe ben potuto (e dovuto, proprio in forza dell’art. 6 del citato D. P. R. n. 547 del 1956, sospendere il lavoro “Specifica fonte normativa della responsabilità (anche) del lavoratore” conclude la Corte di Cassazione, “è ravvisabile nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 1956, articolo 3 secondo cui all'osservanza delle norme del decreto stesso ‘sono tenuti coloro che esercitano le attività indicate nell'articolo 1, e, per quanto loro spetti e competa, i dirigenti, i preposti ed i lavoratori in conformità al Decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, articoli 4, 5 e 6".
 
In merito, infine, alla circostanza che vittima dell’accaduto non era un lavoratore la Corte di Cassazione ha richiamato un principio più volte ribadito in precedenti sentenze e cioè che "in materia di prevenzione infortuni, il Decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, articolo 1, espressamente richiamato dal Decreto del Presidente della Repubblica 7 gennaio 1956 n. 164, capo 1, allorquando parla di ‘lavoratori subordinati e ad essi equiparati’ non intende individuare in costoro i soli beneficiari della normativa antinfortunistica, ma ha la finalità di definire l'ambito di applicazione di detta normativa, ossia di stabilire in via generale quali siano le attività assoggettate all'osservanza di essa”.
 
L’obbligo di rispettare le nome di sicurezza, conclude la suprema Corte “prescinde completamente dalla individuazione di coloro nei cui confronti si rivolge la tutela approntata dal legislatore” per cui “ne consegue che, ove un infortunio si verifichi per inosservanza degli obblighi di sicurezza normativamente imposti, tale inosservanza non potrà non far carico, a titolo di colpa specifica, ex articolo 43 cod. pen., e, quindi, di circostanza aggravante ex articolo 589 c.p., comma 2 e articolo 590 c.p., comma 3, su chi detti obblighi avrebbe dovuto rispettare, poco importando che ad infortunarsi sia stato un lavoratore subordinato, un soggetto a questi equiparato o, addirittura, una persona estranea all'ambito imprenditoriale, purché sia ravvisabile il nesso causale con l'accertata violazione".
 

 

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