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Relazione tra disturbi muscoloscheletrici e stato psicofisico

Disponibile in rete uno studio sulle relazioni tra caratteristiche individuali, fattori di rischio professionali e disturbi muscoloscheletrici nel personale di assistenza sociale. La correlazione tra lavoro e stato psicofisico del lavoratore.

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Le attività professionali di aiuto a pazienti con handicap psichico e motorio sono spesso associate ad una elevata frequenza di disturbi muscoloscheletrici, disturbi che tuttavia sono influenzati da fattori psicosociali come ad esempio il carico di lavoro o le specifiche caratteristiche psichiche del lavoratore.
Questi temi sono affrontati nel “supplemento di psicologia applicata alla riabilitazione e alla medicina del lavoro” del numero di Gennaio/Marzo 2009 del Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia attraverso un contributo scritto da Nicola Magnavita e intitolato “Strain, disturbi d’ansia, depressione e disturbi muscoloscheletrici nelle attività di assistenza sociale”.



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Il documento riporta i risultati di uno studio sulle relazioni tra caratteristiche individuali, fattori di rischio professionali fisici e psicosociali e disturbi muscoloscheletrici nel personale di assistenza sociale.
Riguardo alla frequenza dei disturbi muscoloscheletrici tra questi lavoratori l’autore ricorda che tale dato è determinato specialmente dal “rischio di movimentazione manuale degli assistiti, che si svolge generalmente in ambienti domestici sui quali il datore di lavoro e l’operatore non hanno alcuna possibilità di intervento, e non di rado richiede sforzi non programmati e improvvisi” o il “mantenimento prolungato di posture non corrette”.

Materiali e metodi
La “popolazione studiata si compone di 342 lavoratori di una cooperativa, addetti ad assistenza domiciliare, scolastica ed ambulatoriale” e lo studio ha fatto uso di un “questionario comprendente, oltre ai dati anagrafici, la versione italiana del Questionario Nordico (NQ) per i disturbi muscolo-scheletrici, la versione breve del Job Content Questionnaire (JCQ) di Karasek  e le scale di ansia e depressione di Goldberg”.
A proposito dei metodi utilizzati ricordiamo che:
- il “Questionario Nordico indaga la presenza di disturbi muscolo-scheletrici in ciascuno dei distretti corporei (collo, spalla, gomito, polsi e mani, dorso, schiena, anche e cosce, ginocchia, caviglie e piedi) distinguendo la presenza attuale del disturbo da quella che si è manifestata nei dodici mesi precedenti”;
- il modello di stress di Karasek “postula che la relazione tra elevata domanda lavorativa (job demand) e basso controllo decisionale (job control) definisca una condizione di job strain o stress lavorativo percepito, in grado di spiegare la comparsa di uno stato di stress cronico correlabile all’insorgenza di disturbi muscolo-scheletrici, o di altri effetti dello stress”;
- le scale di ansia e depressione di Goldberg rappresentano un semplicissimo strumento diagnostico “elaborato specificamente per indagare la probabilità dell’occorrenza di uno stato di ansia o depressione”.

Risultati
I risultati indicano che “i disturbi muscoloscheletrici sono un problema rilevante negli addetti all’assistenza sociale” (circa l’80% dei lavoratori lamentava la presenza di almeno un sintomo muscoloscheletrico negli ultimi 12 mesi) e la loro comparsa “risulta correlata con fattori lavorativi ed emozionali”.
In particolare mediante analisi di regressione (tecnica usata per modellare ed analizzare una serie di dati) si è osservato che:
- “il mal di schiena era associato con il carico di lavoro e la depressione;
- il dolore dorsale con età, ansia e depressione;
- il dolore cervicale con i fattori psicosociali di stress (domanda e controllo), sesso femminile e ansia”.

Discussione e Conclusioni
Lo studio “conferma che i lavoratori addetti all’assistenza sociale presentano con elevata frequenza disturbi muscolo-scheletrici, a carico dei diversi distretti corporei, ma con maggior prevalenza a carico del dorso, della regione lombare e cervicale”.
Tuttavia “i disturbi muscoloscheletrici non risultano correlati con l’esposizione al rischio di movimentazione dei pazienti, o almeno con la stima di tale rischio che deriva dal documento di valutazione dei rischi professionali redatto a cura del datore di lavoro”.
Ciò potrebbe indicare “una erronea attribuzione delle classi di rischio, derivante dalla mobilità interna dei lavoratori tra mansioni a maggiore o minore rischio, e ancora di più dalla imprevedibilità degli sforzi fisici, che variano nel tempo in funzione delle condizione di salute degli assistiti”.
Nello studio si osserva un’associazione dei disturbi “con la percezione del carico lavorativo, ma anche con variabili quali l’ansia e la depressione, che potrebbero rappresentare sia caratteristiche individuali, che conseguenze di un prolungato stato di stress”.
Esiste quindi una stretta relazione tra lavoro e stato psicofisico del soggetto, relazione “che gli studi a carattere trasversale, come questo, possono confermare, ma del quale non possono determinare la direzionalità”.

Un’idonea prevenzione può essere tuttavia “programmata su più livelli, integrando interventi educativi, ergonomici ed organizzativi”.
Il medico incaricato della sorveglianza sanitaria dei lavoratori “deve puntare alla realizzazione di programmi di prevenzione dei disturbi muscolo-scheletrico multi-livello che integrino, in un’ottica partecipativa, gli interventi educativi, ambientali, strutturali, meccanici ed organizzativi”: solo “questo impegno su più livelli sembra oggi proporzionato ad un problema di così vaste dimensioni”.



Strain, disturbi d’ansia, depressione e disturbi muscoloscheletrici nelle attività di assistenza sociale”, scritto da N. Magnavita (Istituto di Medicina del Lavoro, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma) nel Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia, Volume XXXI n°1/suppl.A Psicologia, gennaio-marzo 2009 (formato PDF, 154 kB).
 
 
Tiziano Menduto
 
 

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