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Per visualizzare questo banner informativo è necessario accettare i cookie della categoria 'Marketing'Rischi lavorativi emergenti: le nanoparticelle
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Riportiamo di seguito un approfondimento relativo a “Rischi lavorativi emergenti: le nanoparticelle” pubblicato nel numero di dicembre del Bollettino Regionale sulla Salute e Sicurezza nei luoghi di Lavoro “Io scelgo la sicurezza” a cura della Direzione Sanità, Prevenzione Sanitaria ambienti di vita e di lavoro della Regione Piemonte.
L’articolo è a cura di M. Gullo (INAIL Piemonte).
Le particelle nanometriche, o nanoparticelle, sono caratterizzate dall’avere dimensioni comprese fra 1 e 100 nanometri1 (nm). I materiali nanostrutturati costituiscono un’insieme eterogeneo di sostanze caratterizzate dall’avere almeno una delle dimensioni in scala nanometrica. Le particelle nano metriche sono presenti nell’ambiente, sia come prodotti di origine naturale sia come prodotti delle attività umane. In natura possono essere di origine inorganica (es.: emissioni vulcaniche) e biogena (es.: microbi e alghe). Come prodotto delle attività umane, le nanoparticelle sono ascrivibili a due grandi insiemi, nanoparticelle secondarie e nanoparticelle re-ingegnerizzate, o costruite. Le prime rappresentano dei sottoprodotti di attività industriali, quali la saldatura, o derivano da processi di cottura e combustione e vengono più propriamente definite particelle ultrafini (PUF). Le nanoparticelle re-ingegnerizzate, o costruite (PNC) sono il prodotto delle cosiddette nanotecnologie, cioè dalla produzione, ricerca e applicazione di strutture e materiali in scala nanometrica. Pur presentando proprietà sostanzialmente confrontabili con quelle possedute dagli materiali omologhi con dimensioni maggiori, i materiali nanostrutturati sono caratterizzati da una maggiore reattività chimica e resistenza meccanica e da una più efficiente conducibilità elettrica. Ciò perché, a parità di massa, questi materiali hanno una superficie esterna molto più elevata. Per queste caratteristiche sono di importanza centrale in una vasta serie di applicazioni. Già da decenni si producono nanoparticelle in notevole quantità sotto forma di nerofumo e alcune tipologie di silice destinati all’industria di pneumatici. Nel recente, i nanomateriali vengono utilizzati anche nella realizzazione di prodotti sportivi (racchette da tennis), indumenti anti-macchia, schermi solari, cosmetici, componenti elettronici, vernici e colori per il comparto ceramico ecc. Sono, inoltre, utilizzati in medicina (a scopi diagnostici, per analisi d’immagine e somministrazione di farmaci), nell’industria dei trasporti e aerospaziale. Da tempo ci si interroga su quali possano essere gli effetti delle nanoparticelle sull’uomo e sull’ambiente e il rapido sviluppo delle nanotecnologie ha posto l’attenzione su come le nanoparticelle possono costituire un rischio lavorativo. Sono già noti gli effetti delle particelle fini e ultrafini su lavoratori esposti che si sostanziano in decrementi nella funzione polmonare, sintomi respiratori negativi, patologie ostruttive croniche e fibrosi. Inoltre, seppure con alcuni margini di incertezza, alcuni studi hanno riscontrato aumento di incidenza di cancro polmonare tra i lavoratori esposti a PUF emesse dai diesel2. Gli studi sperimentali sulle PNC sono, invece, ancora agli esordi; tuttavia Marconi (2007) riferisce come alcuni risultati preliminari indicano un’attività tossica differenziata in funzione della specifica forma analogamente con quanto è conosciuto nel caso delle fibre minerali. Nanotubi di carbonio, infatti, (che possono raggiungere rapporti di allungamento > 100 e lunghezza > 5 μm) a singola parete instillati nei polmoni di animali hanno prodotto fibrosi, granulomi, e tossicità nell’interstizio polmonare con effetti infiammatori più o meno transitori. Nei luoghi di lavoro, l’esposizione a nanoparticelle è connessa alle lavorazioni finalizzate alla loro produzione e utilizzo e alle lavorazioni che comportano la produzione dei “nano-sottoprodotti”. Queste ultime, sono le più diffuse; ad esempio, saldatura e taglio termico, impiego di motori diesel, brasatura, smerigliatura e fusione di metalli producono particelle ultrafini. Le nanoparticelle possono essere assorbite dal corpo umano per inalazione, ingestione e per via dermica. La via di esposizione principale nei luoghi di lavoro è quella inalatoria. Il loro comportamento biologico dipende da numerose caratteristiche, tra cui le dimensioni, la biosolubilità, l’area superficiale e la sua reattività. Pertanto, una corretta valutazione dell’esposizione a PNC e PUF deve tenere conto della massa delle nanoparticelle e della sua caratterizzazione, del numero, della distribuzione dimensionale, dell’area superficiale e del suo chimismo. Si noti, poi, come le nanoparticelle tendono a formare aggregati, che una volta inalati e depositati all’interno degli alveoli polmonari possono disaggregarsi e mobilitarsi singolarmente. Tutti questi elementi, pongono rilevanti problemi tecnici sui metodi di prelievo e di quantificazione delle particelle nanometriche, circostanza che condiziona fortemente la corretta valutazione del rischio. Le particelle di dimensioni nanometriche, pertanto, costituiscono un rischio lavorativo esistente ma di difficile indagine, per gli elementi tecnici sin qui descritti, e ancora non disciplinato da una specifica normativa. L’attenzione rimane, comunque alta, grazie anche al principio di precauzione da tutti adottato, e diverse sono le istituzioni governative e non governative che hanno avviato ricerche e progetti mirati. L’HSE e il NIOSH hanno organizzato, nell’ottobre 2004, il primo Simposio Internazionale sull’Impatto dei Nanomateriali sulla Salute Occupazionale nelle cui conclusioni sono riportate delle raccomandazioni per l’emanazione di norme che regolino il controllo dell’esposizione ai nanomateriali3. Anche l’Unione Europea pone una grande attenzione sulle nanotecnologie e sui rischi associati, sia ambientali che lavorativi. In particolare, con la Comunicazione 338 del 2004, la Commissione delle Comunità Europee prende atto di come le nanotecnologie rappresentino, oggi, una nuova sfida per la valutazione e la gestione del rischio. Infatti, per certi versi la manipolazione di una sostanza ricorrendo alle nanotecnologie equivale alla creazione di un nuovo prodotto chimico. Nell’ottica di garantire un elevato livello di protezione della salute pubblica, della sicurezza, dei lavoratori, dell’ambiente e dei consumatori, la Commissione sottolinea la necessità di attuare una molteplicità di azioni, fra cui quella di sostenere la produzione di dati tossicologici ed ecotossicologici (compresi i dati dose-risposta), di valutare l’esposizione potenziale dell’uomo e dell’ambiente, e invita gli Stati membri ad adeguare, se necessario, i metodi di valutazione del rischio per tener conto delle specificità delle applicazioni basate sulle nanotecnologie. In particolare con “Nanoscienze e nanotecnologie: un piano d’azione per l’Europa 2005-2009”4, la Commissione ravvisa l’opportunità di effettuare adeguate valutazioni dei rischi ex ante ed elaborare in anticipo procedure di gestione dei rischi, prima di avviare, ad esempio, la produzione dei nanomateriali artificiali. Ulteriori materiali e informazioni sono disponibili nel sito dedicato http://cordis.europa.eu/nanotechnology/home.html. Circa la possibilità, infine, di applicare il regolamento REACH alle nanoparticelle, la risposta alla FAQ 2.5 dell’ECHA di giugno 2008 indica chiaramente come le sostanze alla nanoscala rientrano nel campo di applicazione del REACH. In tal senso si è pronunciata anche l’Unione Europea che con la SEC(2008) 2036 afferma che ai nanomateriali si applicano le previsioni del REACH, incluse quelle attinenti alla valutazione del rischio (registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizioni). Note: 1 Il nanometro è la miliardesima parte del metro 2 Marconi A. (2007) – “Nanoparticelle e nanoteconologie: una nuova frontiera di ricerca multidisciplinare incentrata sulle implicazioni sanitarie”. Notiziario dell’Istituto Superiore di Sanità, 20(09), pag. 13-17 4 Com (2005) 243 |
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