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Rischio d'infortuni, contratti di lavoro atipici e D.Lgs. 81/2008
Attraverso i materiali del dossier “Nuovi lavori, nuovi rischi” - prodotto dall'Associazione per gli Studi internazionali e comparati sul Diritto del lavoro e sulle Relazioni industriali (ADAPT) - continuiamo ad affrontare i temi relativi ai nuovi rischi e alle nuove problematiche di tutela della sicurezza in un mondo del lavoro che si è radicalmente trasformato negli ultimi anni in relazione alla sua organizzazione e al ricorso di nuove forme contrattuali.
Del rapporto tra rischi e nuove forme di impiego si occupa l’articolo “Rischio infortunistico ed atipicità dei contratti di lavoro. Forme di impiego flessibile e rischi supplementari” di Annamaria Antonucci.
Il documento inizia riportando le parole di una recente pubblicazione dell’Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul lavoro che indica come i lavoratori impiegati in contratti come il part-time, il lavoro temporaneo, il telelavoro ed il lavoro a chiamata siano più vulnerabili rispetto ai lavoratori con contratti a tempo indeterminato, dato che svolgono i lavoro più pericolosi ed in condizioni più disagiate e sono soggetti minor formazione per la tutela della salute e sicurezza, cosa che aumenta il rischio di infortuni sul lavoro.
Ma quali sono le ragioni di questa vulnerabilità?
Intanto a livello internazionale vi è la “tendenza a far svolgere ai lavoratori atipici quei compiti rischiosi e quelle mansioni pericolose che il personale dipendente dell’impresa ha la forza contrattuale di rifiutare”.
Facendo riferimento, ad esempio, alla realtà americana si tratta di quelle attività lavorative che la letteratura ha definito delle tre D: faticose (difficult), pericolose (dangerous) e sporche (dirty).
Facendo poi riferimento ai dati Inail si può affermare che in Italia per i lavoratori in somministrazione, il tasso di frequenza infortunistica, risulta nettamente più elevato di quello medio che si registra per gli addetti dell’Industria e Servizi.
Anche in questo caso le “ragioni vanno ricercate sia nella peculiare caratteristica di questa tipologia di impiego, ossia nello svolgimento di missioni che hanno una durata generalmente inferiore all’anno, sia nel fatto che sono impiegati con contratti di somministrazione prevalentemente operai comuni, adibiti a lavori manuali in settori ad alto rischio di infortunio, come quello manifatturiero, dei trasporti, delle costruzioni, del commercio e della gomma/plastica”.
Inoltre “più del 20% dei lavoratori impiegati con contratti di somministrazione sono extracomunitari, esposti ad un rischio infortunistico maggiore, non solo per via delle differenze linguistiche e culturali, ma anche perché i lavoratori stranieri, secondo le più recenti indagini condotte sul territorio nazionale, svolgono mansioni particolarmente pesanti e faticose e sono impiegati prevalentemente in settori ad alto rischio di infortunio”.
Da non dimenticare, poi, che “i lavoratori atipici e flessibili sono fortemente esposti al rischio di stress lavoro-correlato, soprattutto a causa del disorientamento e dei deficit di sicurezza occupazionale, che li spingono verso l’ansia, la paura di perdere il posto di lavoro, il timore di non essere all’altezza di trovarne uno nuovo e, comunque, di non poter mantenere i diritti faticosamente acquisiti”.
L’autrice ricorda tuttavia che ad oggi “l’Inail non fornisce indicatori che permettano di valutare scientificamente l’esposizione al rischio di infortuni sul lavoro dei lavoratori atipici e flessibili”, anche se non mancano dati e studi che mostrino come i lavoratori con rapporti di lavoro di natura atipica e precaria siano più vulnerabili riguardo agli infortuni.
I dati relativi agli infortuni hanno spinto il legislatore comunitario a “focalizzare l’attenzione sui rischi specifici connessi alla temporaneità del lavoro” emanando la Direttiva del Consiglio del 25 giugno 1991, n. 91/383/CEE.
Nella direttiva europea si “evidenzia che i lavoratori a termine ed i lavoratori in somministrazione sono esposti a rischi supplementari, ossia rischi che si vanno a sommare ai rischi propri delle lavorazioni e che sono imputabili alla temporaneità della prestazione, ai frequenti cambi di mansione ed alle particolari modalità di inserimento di tali tipologie di lavoratori nell’impresa”.
È infatti evidente che i lavoratori temporanei prestando la loro opera presso un’azienda solo per brevi o brevissimi periodi “non conoscono i rischi potenziali dei processi produttivi” ed hanno dunque una minore percezione dei rischi presenti sui luoghi di lavoro rispetto ai dipendenti stabili dell’azienda.
Ad esempio dove sono state fatte delle “analisi qualitative sugli infortuni mortali e gravi occorsi ai lavoratori in somministrazione nel triennio 2002-2004, è emerso che l’utilizzo di macchine ed attrezzature rappresenta per tali lavoratori un fattore di rischio ben superiore a quello della media di tutti i lavoratori”.
In particolare emerge anche che “a sfavore dei lavoratori in somministrazione gioca la scarsa anzianità lavorativa: il 35% degli infortuni mortali occorsi a tali lavoratori nel triennio 2002-2004 sono accaduti entro il primo mese di attività e un altro 35% entro i primi sei mesi”.
Infatti “alla scarsa esperienza ed anzianità lavorativa si affianca spesso anche una formazione carente in materia di sicurezza sul lavoro”.
L’articolo inoltre indica alcuni brevi cenni evolutivi riguardo al panorama normativo italiano.
Se è vero che i lavoratori atipici necessitano di un livello di protezione maggiore rispetto a quello dei lavoratori stabilmente inseriti nei contesti produttivi e che il Decreto legislativo n. 81 del 2008 è nato anche con l’intento di prevedere per le tipologie di impiego flessibili ed atipiche misure di particolare tutela, servono tuttavia alcune integrazioni legislative.
A questo riguardo la redattrice dell’articolo ricorda che lo schema di D.Lgs. 81/2008, “all’articolo 16, propone una modifica all’articolo 28, comma 1, volta ad introdurre il principio per cui il datore di lavoratore debba considerare, quale elemento da valutare assieme ad ogni altra variabile, anche i rischi derivanti all’utilizzo di forme atipiche e flessibili”, in modo da realizzare “il tanto auspicato collegamento tra valutazione dei rischi ed organizzazione del lavoro”.
Inoltre lo schema di decreto correttivo “prevede un rafforzamento del ruolo svolto dalla bilateralità, soprattutto per quanto concerne la progettazione di percorsi formativi ad hoc per i lavoratori atipici e flessibili in materia di sicurezza sul lavoro, che tengano conto delle loro peculiarità e specifiche esigenze”.
ADAPT, Dossier n. 4 del 25 maggio 2009, “Nuovi lavori, nuovi rischi”, articolo “Rischio infortunistico ed atipicità dei contratti di lavoro. Forme di impiego flessibile e rischi supplementari” di Annamaria Antonucci (Ricercatrice Master Management Studi e Ricerche s.r.l. e collaboratrice di Adapt e del Centro Studi internazionali e comparati Marco Biagi), p. 23-27 (formato PDF, 645 kB).
Tiziano Menduto
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