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Per visualizzare questo banner informativo è necessario accettare i cookie della categoria 'Marketing'Sicurezza sul lavoro: sulla natura penale della prescrizione
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Commento a cura di G. Porreca (www.porreca.it).
Non è la prima volta che un Tribunale non competente viene chiamato ad esprimersi in merito al provvedimento di prescrizione previsto dall’art. 20 del D.Lgs. n. 758/94, sul nuovo regime sanzionatorio, provvedimento adottato da un organo di vigilanza nei confronti del legale rappresentante di una società in presenza di violazioni in materia di salute e di sicurezza sul lavoro.
Si rammenta, brevemente, che, in caso di inosservanza a queste disposizioni di legge, è previsto dal D. Lgs. n. 758/94 che l’organo di vigilanza contesti agli inadempienti la contravvenzione, da intendersi tale ai sensi dell’art. 19 dello stesso D. Lgs. una violazione che prevede la penalità dell’arresto o dell’ammenda, ed adotti un provvedimento di prescrizione finalizzato a far rimuovere le infrazioni ed a far eliminare le situazioni di pericolo, assegnando un termine per l’adempimento che può essere oggetto di proroga. Contestualmente essendo comunque la violazione un reato, la notizia deve essere comunicata all’autorità giudiziaria competente (Procura della Repubblica). Quindi, una volta constatata la ottemperanza, il contravventore viene ammesso al pagamento di una sanzione ridotta pari ad un quarto del massimo e l’attestazione del versamento della somma richiesta, congiuntamente all’accertamento della eliminazione della infrazione, è motivo di richiesta al GIP da parte del P.M. di archiviazione del procedimento. E’ quindi del tutto evidente che si è in presenza di una fase amministrativa inserita comunque nell’ambito di un procedimento penale.
Un caso precedente sull’argomento è riscontrabile in un ricorso presentato ad un Tribunale Civile al quale veniva richiesto l’annullamento della prescrizione impartita dall’organo di vigilanza invocando una procedura che è invece prevista per gli illeciti amministrativi (ex. D.P.R. n. 689/1981). Ovviamente il Giudice in udienza riconoscendo la propria incompetenza ha rigettato il ricorso. Ma si registra ancor di più: il caso in cui un Tribunale Civile per un analogo ricorso proposto da un contravventore per alcune violazioni in materia di sicurezza sul lavoro, ignorando di essere in presenza di una notizia di reato e quindi in campo puramente penale, ha ritenuto di dibattere il ricorso e con apposita sentenza, che fa fatto scalpore, ha annullato il verbale ispettivo e le prescrizioni in esso contenute dichiarando inefficace la sanzione amministrativa inflitta.
Il caso posto all’esame della Corte di Cassazione in commento riguarda un infortunio mortale occorso ad un lavoratore durante alcuni lavori di manutenzione stradale per essere stato investito da un mezzo in transito. Al termine dei propri accertamenti il Servizio prevenzione igiene e sicurezza degli ambienti di lavoro - S.P.I.S.A.L. - dell'Azienda U.S.S.L., intervenuta, contestava al datore di lavoro dell'impresa di manutenzione alle cui dipendenze la vittima lavorava, con l'atto poi qui impugnato, le contravvenzioni alle norme per la sicurezza e l’igiene del lavoro ex D. Lgs. 758/94. Più precisamente a carico del responsabile legale veniva contestata la violazione dell'art. 7, comma I, lett. b) del D. Lgs. n. 626/1994 e del seguente II comma, il primo perché le misure di prevenzione prestabilite non garantivano la sicurezza dei lavoratori addetti alla manutenzione, il secondo perché si sarebbe consentito che i lavoratori dell'appaltatrice "attuassero comportamenti lavorativi diversi da quanto previsto dalla documentazione a loro trasmessa".
L’imputato ha proposto ricorso al competente Tribunale Amministrativo Regionale che lo ha però rigettato dichiarandolo inammissibile. Rammenta il T.A.R. che “ex art. 19 del d. lgs. 19 dicembre 1994, n. 758, nella materia in esame si intendono per contravvenzioni i reati in materia di sicurezza e di igiene del lavoro, puniti con la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda” e che “il successivo art. 20, che è la disposizione richiamata nell'atto impugnato a proprio fondamento, stabilisce che, allo scopo di eliminare la contravvenzione accertata, l'organo di vigilanza (cioè il personale ispettivo dello SPISAL) nell'esercizio delle sue funzioni di polizia giudiziaria impartisce al contravventore un'apposita prescrizione, fissando un termine per la regolarizzazione; lo stesso organo conserva tuttavia l'obbligo di riferire al pubblico ministero la notizia di reato inerente alla contravvenzione, ai sensi dell'art. 347 c.p.p”. Inoltre “il successivo art. 23 dispone ancora (I comma) che il procedimento per la contravvenzione è sospeso dal momento dell'iscrizione della notizia di reato, fino al momento in cui il pubblico ministero riceve una delle comunicazioni di cui all'art. 21, commi 2 e 3; peraltro, la sospensione del procedimento ‘non preclude la richiesta di archiviazione, non impedisce, inoltre, l'assunzione delle prove con incidente probatorio, né gli atti urgenti di indagine preliminare, né il sequestro preventivo ai sensi degli articoli 321 e seguenti del codice di procedura penale (III comma)’”.
Per quanto sopra detto emerge chiaramente, prosegue il T.A.R., che “dalla disciplina così ricostruita emerge come l'atto di prescrizione ex art. 20 appartenga al procedimento penale, il quale prende avvio con l'informativa di reato trasmessa ex art. 347 c.p.p. al pubblico ministero e la conseguente iscrizione della notizia di reato nell'apposito registro (art. 335 c.p.p.)”. Con l’attuazione delle prescrizioni, prosegue il T.A.R., viene innanzitutto rimossa la situazione irregolare e quindi essa viene sostanzialmente impartita con finalità di prevenzione ed il suo adempimento, unitamente al pagamento dell'oblazione, estingue il reato per cui il pubblico ministero può richiedere l'archiviazione (art. 24 D. Lgs. n. 758/1994).
Ora, prosegue il Tribunale Amministrativo, “sostenere che il giudice amministrativo abbia giurisdizione sull'atto di prescrizione, equivale a non considerare debitamente il contesto procedimentale in cui l'atto stesso si colloca, e la sua funzione, che è quella di stabilire le condizioni perché il reato che si assume commesso possa essere dichiarato estinto, e che lo colloca per questo nell'ambito degli atti del procedimento penale. “Anche a voler per assurdo ammettere” - osserva ancora il T.A.R. - che le prescrizioni siano impugnabili innanzi al giudice amministrativo, ciò non potrebbe certamente di per sé far cessare la piena giurisdizione del giudice penale sulla contravvenzione: in altre parole l'annullamento delle prescrizioni da parte del giudice amministrativo non comporta un accertamento sull'insussistenza della contravvenzione, vincolante per il giudice penale (un siffatto vincolo di pregiudizialità è limitato ai pochi casi di cui all'art. 3 c.p.p.)”.
“L'unico effetto dell'annullamento delle prescrizioni, conclude infine il T.A.R., sarebbe paradossalmente quello di rendere irrealizzabile l'estinzione, facendo proseguire il giudizio penale sulla contravvenzione: in sostanza, lo stesso risultato che il presunto trasgressore conseguirebbe più facilmente rifiutandosi di eseguire la prescrizione, e negando direttamente innanzi al giudice penale l'esistenza dell'illecito, ovvero la legittimità della prescrizione estintiva”. Il provvedimento di prescrizione, prosegue il Tribunale amministrativo, “non è dunque impugnabile innanzi al T.A.R. poiché non è un provvedimento amministrativo, e sarebbe comunque inutile, se non dannoso, annullarlo; d'altra parte, il suo contenuto potrà certamente formare oggetto di doglianza innanzi al giudice penale”.
Il T.A.R., infine, ha del resto precisato apertamente in questa sentenza di non aver condiviso una decisione di senso contrario assunta sull’argomento dalla stessa Sezione dello stesso T.A.R. ed inserita nella sentenza n. 4 ottobre 2002, n. 5967, secondo la quale sul provvedimento di prescrizione dovrebbe giudicare il T.A.R. in quanto tale provvedimento non apparterrebbe ancora al procedimento penale, che inizierebbe solo dopo l'accertato inadempimento del preteso contravventore.
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