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Rassegna di giurisprudenza di legittimità 2004-2009 sulle responsabilità del medico competente e del datore di lavoro in materia di sorveglianza sanitaria
Selezione di importanti sentenze emanate in attuazione del D.Lgs. 626/94, compatibili - in virtù del principio di continuità normativa - con il D.Lgs. 81/08
A cura di Anna Guardavilla
Cassazione Civile, Sezione Lavoro, 30 dicembre 2009 n. 27845
- Responsabilità del datore di lavoro per assegnazione di mansioni inidonee al lavoratore, per non aver tenuto conto del parere del medico competente
- Norme di riferimento: art. 2087 c.c.
Fatto
Con sentenza in data 24.3/14.7.2005 la Corte di appello di L'Aquila, in riforma della sentenza resa dal Tribunale di Lanciano il 12.4.2002, appellata da B.R., dichiarava che le mansioni relative al montaggio delle serrature e delle luci targa alla stessa assegnate erano incompatibili con le sue condizioni di salute (di invalida civile con riduzione della capacità lavorativa al 50% a causa di emiparesi spastica sinistra) e dichiarava, quindi, l'illegittimità del licenziamento alla stessa irrogato, con le connesse statuizioni di legge, oltre al risarcimento del danno biologico e alla corresponsione della retribuzione pertinente ai periodi di aspettativa non retribuita goduti.
Osservava in sintesi la corte territoriale che la lavoratrice era stata addetta, in violazione delle prescrizioni imposte dall'art. 2087 c.c., a mansioni che comportavano l'utilizzazione di entrambi gli arti superiori, con conseguente sovraccarico dell'unico arto funzionante, anche per effetto dell'impugnatura obbligata degli utensili di lavoro, della necessità di direzionamento manuale degli stessi, della pressione da imprimere agli strumenti e della ripetizione dei movimenti.
E che, risultando il licenziamento per superamento del periodo di comporto ricollegabile in parte ad assenze per malattia conseguenti all'illegittima assegnazione delle mansioni, non potevano le stesse computarsi ai fini del recesso (che, pertanto, risultava intimato prima del superamento del periodo di comporto "lungo", nella specie applicabile), con conseguente illegittimità dell'atto dismissivo del rapporto di lavoro e diritto al risarcimento del danno biologico, oltre alla corresponsione della retribuzione relativa ai periodi di aspettativa, richiesti per effetto del computo da parte del datore di lavoro nel periodo di comporto di giorni di assenza in realtà ricollegabili al comportamento illecito dello stesso.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso la SEVEL - Società Europea Veicoli Leggeri spa affidandolo a tre motivi, illustrati con memoria.
Resiste con controricorso B.R., la quale ha anche proposto ricorso incidentale, avverso il quale resiste la società ricorrente.
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Sorveglianza sanitaria: responsabilita' per mansioni inidonee
Rassegna di giurisprudenza di legittimità 2004-2009 sulle responsabilità del medico competente e del datore di lavoro in materia di sorveglianza sanitaria
Selezione di importanti sentenze emanate in attuazione del D.Lgs. 626/94, compatibili - in virtù del principio di continuità normativa - con il D.Lgs. 81/08
A cura di Anna Guardavilla
Leggi la prima parte: “Sorveglianza sanitaria: le responsabilita' del datore di lavoro”.
Leggi la seconda parte: “Sorveglianza sanitaria: le responsabilita' del Medico Competente”.
Leggi la terza parte: “Sorveglianza sanitaria: assoluzione del DdL e del MC”.
Leggi la quarta parte: “Sorveglianza sanitaria: quando la responsabilita' non sussiste”
Leggi la seconda parte: “Sorveglianza sanitaria: le responsabilita' del Medico Competente”.
Leggi la terza parte: “Sorveglianza sanitaria: assoluzione del DdL e del MC”.
Leggi la quarta parte: “Sorveglianza sanitaria: quando la responsabilita' non sussiste”
Cassazione Civile, Sezione Lavoro, 30 dicembre 2009 n. 27845
- Responsabilità del datore di lavoro per assegnazione di mansioni inidonee al lavoratore, per non aver tenuto conto del parere del medico competente
- Norme di riferimento: art. 2087 c.c.
Fatto
Con sentenza in data 24.3/14.7.2005 la Corte di appello di L'Aquila, in riforma della sentenza resa dal Tribunale di Lanciano il 12.4.2002, appellata da B.R., dichiarava che le mansioni relative al montaggio delle serrature e delle luci targa alla stessa assegnate erano incompatibili con le sue condizioni di salute (di invalida civile con riduzione della capacità lavorativa al 50% a causa di emiparesi spastica sinistra) e dichiarava, quindi, l'illegittimità del licenziamento alla stessa irrogato, con le connesse statuizioni di legge, oltre al risarcimento del danno biologico e alla corresponsione della retribuzione pertinente ai periodi di aspettativa non retribuita goduti.
Osservava in sintesi la corte territoriale che la lavoratrice era stata addetta, in violazione delle prescrizioni imposte dall'art. 2087 c.c., a mansioni che comportavano l'utilizzazione di entrambi gli arti superiori, con conseguente sovraccarico dell'unico arto funzionante, anche per effetto dell'impugnatura obbligata degli utensili di lavoro, della necessità di direzionamento manuale degli stessi, della pressione da imprimere agli strumenti e della ripetizione dei movimenti.
E che, risultando il licenziamento per superamento del periodo di comporto ricollegabile in parte ad assenze per malattia conseguenti all'illegittima assegnazione delle mansioni, non potevano le stesse computarsi ai fini del recesso (che, pertanto, risultava intimato prima del superamento del periodo di comporto "lungo", nella specie applicabile), con conseguente illegittimità dell'atto dismissivo del rapporto di lavoro e diritto al risarcimento del danno biologico, oltre alla corresponsione della retribuzione relativa ai periodi di aspettativa, richiesti per effetto del computo da parte del datore di lavoro nel periodo di comporto di giorni di assenza in realtà ricollegabili al comportamento illecito dello stesso.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso la SEVEL - Società Europea Veicoli Leggeri spa affidandolo a tre motivi, illustrati con memoria.
Resiste con controricorso B.R., la quale ha anche proposto ricorso incidentale, avverso il quale resiste la società ricorrente.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo del ricorso principale la società ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 violazione dell'art. 2087 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c. nonché vizio di motivazione.
Osserva, al riguardo, la ricorrente che la sentenza impugnata aveva, fra l'altro, acriticamente confermato il giudizio, espresso dal ctu (consulente tecnico d'ufficio, ndr) nel primo grado del giudizio, relativo alla compatibilità fra l'episodio doloroso del (OMISSIS) ed una situazione di "sovraccarico lavorativo", nonostante che le mansioni di preparazione delle serrature fossero da considerarsi come "attività leggera" (tenuto conto che il peso complessivo della serratura non superava i 500 grammi e quello dell'attrezzino di inserimento della molletta in plastica risultava pari a 119 grammi) e che lo stesso ctu avesse ricondotto la "patologia del primo dito a scatto mano destra ... alla mansione di montaggio serrature solo in termini di possibilità"; che la sentenza censurata aveva, altresì, erroneamente ritenuto che la società avesse violato le prescrizioni del medico di fabbrica, rese in data (OMISSIS) (le quali indicavano come "controindicate" le mansioni comportanti vibrazioni per gli arti superiori) sebbene in esito al giudizio fosse emerso che il comportamento del datore di lavoro risultasse del tutto incensurabile, giacché gli strumenti di lavoro utilizzati dalla B. nell'attività di preparazione delle luci targa, cui era stata adibita dal (OMISSIS), non erano tali da determinare "particolare intensità di vibrazione e/o oscillazioni trasmessi agli arti dell'operatore" (per come aveva accertato lo stesso ctu nominato in primo grado); che, in ogni caso, con riferimento almeno al periodo settembre (OMISSIS), non era configurarabile un inadempimento imputabile (con conseguente esclusione di alcun danno risarcibile), avendo il datore di lavoro confidato nel giudizio del medico aziendale ("unico soggetto titolato ... ad esprimere, in concreto, il giudizio di idoneità alla mansione specifica"), che non aveva in precedenza qualificato come controindicati i lavori implicanti vibrazioni agli arti superiori. Con il secondo motivo la società ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., art. 2110 c.c., nonché vizio di motivazione.
Osserva, al riguardo, che le assenze ricollegabili alla "epicondilite omerale destra e alla sindrome da compressione del nervo ulnare al gomito destro, diversamente da quanto ritenuto nella sentenza impugnata, non potevano essere imputate ad alcuna condotta illecita del datore di lavoro (e, quindi, dovevano essere computate nel periodo di comporto), avendo il ctu ricollegato tali malattie all'attività lavorativa solo in termini di mera possibilità ed essendosi, comunque, la società attenuta alle prescrizioni del medico di fabbrica.
Con il terzo motivo, infine, la ricorrente prospetta violazione delle norme sull'interpretazione dei contratti (art. 1362 c.c., in relazione all'art 19 Disc. Spec. Parte 1 CCNL Metalmeccanici), nonchè vizio di motivazione, rilevando che la lavoratrice, alla data della richiesta di aspettativa ((OMISSIS)), aveva già superato il periodo di comporto breve (9 mesi), per cui non era possibile invocare la disposizione contrattuale relativa al ed. comporto lungo, e che la sentenza impugnata aveva ricondotto ad una stessa malattia ("condropatia ginocchio destro") ulteriori assenze (dal (OMISSIS)) rispetto alle quali il ctu si era limitato ad esprimere un mero giudizio "presuntivo" con obliterazione, peraltro, delle risultanze mediche emerse nel primo grado del giudizio. Osservava, inoltre, che erroneamente la sentenza impugnata aveva ritenuto che la lavoratrice fosse stata indotta a chiedere l'aspettativa a causa del comportamento dell'azienda, che aveva legittimamente incluso le assenze per le malattie indicate nel computo del periodo di comporto, operando una non consentita valutazione a posteriori delle conseguenze connesse a tale comportamento.
2. I ricorsi vanno preliminarmente riuniti ai sensi dell'art. 335 c.p.c..
3. I primi due motivi del ricorso principale possono essere esaminati congiuntamente, in quanto connessi, e vanno rigettati perché infondati.
Ha accertato la sentenza impugnata con riferimento alle malattie ("epicondilite omerale destra e "compressione del nervo ulnare al gomito destro") che espressamente sono state prese in considerazione ai fini della valutazione della legittimità del recesso per superamento del periodo di comporto e per i connessi danni richiesti, che il ctu di primo grado, quanto alla prima, "ha convincentemente affermato che l'attività richiesta alla B. nel periodo (OMISSIS) ha avuto un ruolo di concausa nell'insorgenza della malattia perchè comportava inevitabilmente un sovraccarico di funzione dell'arto destro in relazione alla già segnalata menomazione del controlaterale; trattavasi, invero, di attività che costringeva a movimenti ripetuti delle articolazioni degli arti superiori con prolungata permanenza del gomito in flessione e conseguente stress sulle strutture mio-tendinee ed articolari dell'arto utilizzato"; quanto alla seconda, "che l'attività cui è stata adibita la B. sino al (OMISSIS) (caratterizzantesi per movimenti ripetuti a carico del distretto mano-polso e per l'utilizzo, almeno per un certo periodo, di strumenti meccanici automatici potenzialmente idonei a trasmettere vibrazioni e/o oscillazioni) ha svolto un ruolo concausale nella manifestazione del quadro clinico-funzionale neurologico periferico presentato dalla lavoratrice ...".
A fronte di tali puntuali ed inequivoci accertamenti, la società ricorrente, lungi dal denunciare una documentata devianza dai canoni fondamentali della scienza medico-legale o dai protocolli praticati per particolari assicurazioni sociali (che, come noto, costituisce un vero e proprio vizio della logica medico-legale e rientra tra i vizi denunciabili con il ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 diversamente dal mero dissenso diagnostico, non prospettabile in sede di legittimità: v. ad es. Cass. n. 8654/2008; Cass. n. 20947/2004; Cass. n. 530/1998), ha lamentato una inadeguata interpretazione, da parte della corte territoriale, dell'elaborato peritale, che, in realtà, avrebbe configurato in termini di "mera possibilità" l'esistenza di un concorso eziologico fra l'insorgenza della malattia e l'attività lavorativa.
Ma tale censura, che, peraltro, non documenta la asserita contraddizione rispetto ai passi della relazione espressamente riportati nella pronuncia impugnata e sopra trascritti, appare di per se inidonea a incrinare le conclusioni cui è pervenuta la corte di merito, che, in conformità alla nozione legale di concausa, ha riconosciuto l'indubbia efficacia lesiva delle malattie accertate, o, in altri termini, l'obiettiva incompatibilità fra le malattie stesse e la condizione di invalidità della dipendente, in relazione al principio dell'equivalenza causale di cui all'art. 41 c.p., che trova, come noto, applicazione anche nel settore degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali e, comunque, rispetto agli obblighi di tutela ex art. 2087 c.c., imponendo di riconoscere un ruolo di concausa anche ad una minima accelerazione di una preesistente malattia (v. ad es. Cass. n. 19682/2003).
Ne discende che correttamente le assenze derivanti da tali malattie sono state escluse da quelle utili per la determinazione del periodo di comporto, tenuto conto del diritto del lavoratore, e tanto più se invalido, di pretendere - e correlativamente dell'obbligo del datore di lavoro di ricercare - una collocazione lavorativa idonea a salvaguardare la salute del dipendente nel rispetto dell'organizzazione aziendale in concreto realizzata dall'imprenditore.
Dovendosi ribadire come il datore di lavoro, fermo restando l'insindacabilità dell'assetto stabilito nell'organizzazione dei fattori produttivi, sia obbligato ad assegnare l'invalido a mansioni compatibili con la natura ed il grado delle menomazioni e a reperire, nell'ambito della struttura aziendale, il posto di lavoro più adatto alle minorazioni di cui lo stesso è affetto (cfr. ad es. Cass. n. 4667/1994; Cass. 11681/1995; Cass. n. 10574/2001; Cass. n. 572/2002).
Alla luce di tali principi, osservati dalla corte di merito, la stessa ha insindacabilmente accertato che la B. venne assegnata a mansioni (di pulizia) compatibili col suo stato di salute solo nel (OMISSIS); che nemmeno dopo le prescrizioni dettate dal medico di fabbrica nel (OMISSIS) (che ebbe a giudicare come controindicate attività lavorative comportanti vibrazioni per gli arti superiori ovvero la completa funzionalità degli arti superiori ed inferiore sinistro) la stessa fu rimossa dalle mansioni in precedenza svolte; che, peraltro, anche nel periodo precedente, l'attività lavorativa ebbe a rivestire un ruolo di concausa rispetto alle malattie in questione, così evidenziandosi una obiettiva incompatibilità fra le stesse ed i provvedimenti adottati dal datore di lavoro ai fini dell'assegnazione delle mansioni.
E tali conclusioni valgono a dare adeguata giustificazione sia alla ritenuta illegittimità del recesso (tenuto conto pure di quanto appresso si specificherà), sia all'obbligo di risarcimento del danno biologico riconosciuto con riferimento a queste stesse malattie.
4. Infondato è anche il terzo motivo.
Basti, al riguardo, osservare che il numero complessivo delle assenze della B. è stato accertato, senza contestazioni da alcuna delle parti, nel precedente grado del giudizio ("... ritiene la Corte che non vi siano motivi per discostarsi da tale valutazione, basata sulla completa ed attenta verifica dei certificati medici. Del resto, le parti non hanno formulato specifici motivi di censura contro le conclusioni del CTU ..."), ove l'unico motivo di contrasto ha, in realtà, riguardato il periodo (breve o lungo) di comporto applicabile.
La sentenza impugnata ha ritenuto applicabile il periodo lungo (peraltro, di fatto applicato dalla stessa società ricorrente) sulla base del rilievo che la disciplina contrattuale consente di superare il "normale" periodo di comporto in presenza di eventi morbosi continuativi con assenza ininterrotta o interrotta da un'unica ripresa del lavoro per un periodo non superiore a due mesi e che, nel caso, per le assenze dal (OMISSIS), era individuabile, sulla base delle indagini medico-legali esperite, una unica malattia ("condropatia ginocchio destro").
Prospetta la società ricorrente che si tratta di un giudizio meramente "presuntivo", ma non riesce, in realtà, ad apprezzarsi sotto quale aspetto la sentenza impugnata avrebbe realizzato un travisamento delle conclusioni del ctu (anche con riferimento alle risultanze mediche emerse nel giudizio di primo grado, neppure trascritte) e, comunque, quale documentata devianza rispetto a canoni fondamentali della scienza medico-legale sia constatabile negli accertamenti in questione e nel ragionamento logico e giuridico che, facendo leva sugli stessi, è stato posto a base della pronuncia impugnata, che, pertanto, resta esente anche sotto questo aspetto da alcuna censura.
Ed eguali valutazioni devono ripetersi, in considerazione della riscontrata incompatibilità fra la condizione di minorazione della dipendente e la collocazione lavorativa alla stessa assegnata dal datore di lavoro, riguardo all'obbligo di risarcimento riconosciuto per le richieste di aspettativa non retribuita avanzate dalla lavoratrice, dato il plausibile collegamento che la sentenza impugnata ha instaurato, sulla base di un motivato accertamento di fatto, in questa sede non sindacabile, fra le assenze non retribuite dal lavoro e le mansioni illegittimamente assegnate.
5. Con il primo motivo del ricorso incidentale, svolto ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5 B.R. lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine al mancato riconoscimento dei danni conseguenti alla malattia "Sindrome del tunnel carpale destro", oggetto di intervento chirurgico nel (OMISSIS), sulla quale la corte abruzzese avrebbe, anzi, omesso di pronunciarsi.
Con il secondo motivo prospetta, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 violazione e falsa applicazione degli artt. 2087 e 2059 c.c., artt. 185 e 590 c.p., nonchè vizio di motivazione, osservando che, con riferimento alle malattie "Sindrome della compressione del nervo ulnare" ed "Epicondilite omerale destra", la corte territoriale aveva erroneamente omesso di risarcire il danno morale ex art. 2059 c.c., pur in presenza di condotte (lesioni colpose) in astratto riconducibili a fattispecie penalmente rilevanti.
6. Il primo motivo è infondato.
Ha accertato la sentenza impugnata che alla B. venne diagnosticata, il (OMISSIS), "sindrome del tunnel carpale destro", ma che, dato il breve lasso di tempo trascorso dalla data dell'assunzione, doveva escludersi che la malattia fosse stata causata dall'attività lavorativa.
Tale accertamento, che non ha formato oggetto di specifici rilievi, risulta alla base dell'esclusione della responsabilità, con la conseguenza che, in ordine alla richiesta di risarcimento, né è ipotizzabile una omissione di pronuncia (per essere stata la domanda implicitamente rigettata), né, comunque, un accertamento privo di adeguata e conducente motivazione.
7. Infondato è anche il secondo motivo.
Ha ritenuto, in proposito, la corte territoriale che la mancanza di condotte penalmente rilevanti comportasse di per sé il rigetto della domanda di risarcimento del danno morale.
Sul punto la pronuncia appare non correttamente motivata in diritto, ma è, comunque, conforme al diritto il dispositivo.
Deve, infatti, rilevarsi che, alla luce del sistema bipolare introdotto in materia risarcitoria dall'arresto delle SU n. 26972/2008, nella disciplina del rapporto di lavoro, ove già numerose disposizioni assicurano una tutela rafforzata alla persona del lavoratore con il riconoscimento di diritti oggetto di tutela costituzionale (artt. 32 e 37 Cost.), il danno non patrimoniale, per come ha già precisato questa Suprema Corte (v. sent. n. 10864/2009), è configurabile, indipendentemente dalla violazione di un precetto penale, ogni qual volta la condotta illecita del datore di lavoro abbia violato in modo grave i diritti della persona del lavoratore, concretizzando un vulnus ad interessi oggetto di copertura costituzionale; questi ultimi, non essendo regolati ex ante da norme di legge, per essere suscettibili di tutela risarcitoria, dovranno essere individuati, caso per caso, dal giudice di merito, il quale, senza duplicare il risarcimento, dovrà discriminare i meri pregiudizi, che si risolvono in disagi o lesioni di interessi privi di qualsiasi consistenza e gravita, come tali non risarcibili, dai danni che vanno risarciti, mediante una valutazione supportata da una motivazione che, se congrua e coerente con i principi giuridici applicabili alla materia, resta esente dal sindacato di legittimità.
E fermo restando, anche con riferimento all'ambito lavoristico, la necessità che sia provato non solo il nesso causale fra la condotta illecita ed il pregiudizio lamentato, ma anche che sia accertata l'esistenza del danno, seppure eventualmente a seguito di presunzioni, che, però, in quanto gravi, precise e concordanti, debbono assurgere a fonti di prova.
Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha erroneamente dato esclusivo rilievo alla incofigurabilità della violazione di un precetto penale (laddove il danno morale è risarcibile anche al di fuori di tale contesto), ma, nell'assenza della prova di specifici danni, ulteriori a quelli all'integrità psicofisica già riconosciuti dal giudice di merito, la domanda va, comunque, rigettata, previa correzione della motivazione nei sensi indicati.
8. Avuto riguardo alla reciproca soccombenza, devono integralmente compensarsi fra le parti le spese del giudizio.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta; compensa tra le parti le spese.
Così deciso in Roma, il 25 novembre 2009.
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Anna Guardavilla - Approfondimento - Rassegna di giurisprudenza di legittimità 2004-2009 sulle responsabilità del medico competente e del datore di lavoro in materia di sorveglianza sanitaria.
1. Con il primo motivo del ricorso principale la società ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 violazione dell'art. 2087 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c. nonché vizio di motivazione.
Osserva, al riguardo, la ricorrente che la sentenza impugnata aveva, fra l'altro, acriticamente confermato il giudizio, espresso dal ctu (consulente tecnico d'ufficio, ndr) nel primo grado del giudizio, relativo alla compatibilità fra l'episodio doloroso del (OMISSIS) ed una situazione di "sovraccarico lavorativo", nonostante che le mansioni di preparazione delle serrature fossero da considerarsi come "attività leggera" (tenuto conto che il peso complessivo della serratura non superava i 500 grammi e quello dell'attrezzino di inserimento della molletta in plastica risultava pari a 119 grammi) e che lo stesso ctu avesse ricondotto la "patologia del primo dito a scatto mano destra ... alla mansione di montaggio serrature solo in termini di possibilità"; che la sentenza censurata aveva, altresì, erroneamente ritenuto che la società avesse violato le prescrizioni del medico di fabbrica, rese in data (OMISSIS) (le quali indicavano come "controindicate" le mansioni comportanti vibrazioni per gli arti superiori) sebbene in esito al giudizio fosse emerso che il comportamento del datore di lavoro risultasse del tutto incensurabile, giacché gli strumenti di lavoro utilizzati dalla B. nell'attività di preparazione delle luci targa, cui era stata adibita dal (OMISSIS), non erano tali da determinare "particolare intensità di vibrazione e/o oscillazioni trasmessi agli arti dell'operatore" (per come aveva accertato lo stesso ctu nominato in primo grado); che, in ogni caso, con riferimento almeno al periodo settembre (OMISSIS), non era configurarabile un inadempimento imputabile (con conseguente esclusione di alcun danno risarcibile), avendo il datore di lavoro confidato nel giudizio del medico aziendale ("unico soggetto titolato ... ad esprimere, in concreto, il giudizio di idoneità alla mansione specifica"), che non aveva in precedenza qualificato come controindicati i lavori implicanti vibrazioni agli arti superiori. Con il secondo motivo la società ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., art. 2110 c.c., nonché vizio di motivazione.
Osserva, al riguardo, che le assenze ricollegabili alla "epicondilite omerale destra e alla sindrome da compressione del nervo ulnare al gomito destro, diversamente da quanto ritenuto nella sentenza impugnata, non potevano essere imputate ad alcuna condotta illecita del datore di lavoro (e, quindi, dovevano essere computate nel periodo di comporto), avendo il ctu ricollegato tali malattie all'attività lavorativa solo in termini di mera possibilità ed essendosi, comunque, la società attenuta alle prescrizioni del medico di fabbrica.
Con il terzo motivo, infine, la ricorrente prospetta violazione delle norme sull'interpretazione dei contratti (art. 1362 c.c., in relazione all'art 19 Disc. Spec. Parte 1 CCNL Metalmeccanici), nonchè vizio di motivazione, rilevando che la lavoratrice, alla data della richiesta di aspettativa ((OMISSIS)), aveva già superato il periodo di comporto breve (9 mesi), per cui non era possibile invocare la disposizione contrattuale relativa al ed. comporto lungo, e che la sentenza impugnata aveva ricondotto ad una stessa malattia ("condropatia ginocchio destro") ulteriori assenze (dal (OMISSIS)) rispetto alle quali il ctu si era limitato ad esprimere un mero giudizio "presuntivo" con obliterazione, peraltro, delle risultanze mediche emerse nel primo grado del giudizio. Osservava, inoltre, che erroneamente la sentenza impugnata aveva ritenuto che la lavoratrice fosse stata indotta a chiedere l'aspettativa a causa del comportamento dell'azienda, che aveva legittimamente incluso le assenze per le malattie indicate nel computo del periodo di comporto, operando una non consentita valutazione a posteriori delle conseguenze connesse a tale comportamento.
2. I ricorsi vanno preliminarmente riuniti ai sensi dell'art. 335 c.p.c..
3. I primi due motivi del ricorso principale possono essere esaminati congiuntamente, in quanto connessi, e vanno rigettati perché infondati.
Ha accertato la sentenza impugnata con riferimento alle malattie ("epicondilite omerale destra e "compressione del nervo ulnare al gomito destro") che espressamente sono state prese in considerazione ai fini della valutazione della legittimità del recesso per superamento del periodo di comporto e per i connessi danni richiesti, che il ctu di primo grado, quanto alla prima, "ha convincentemente affermato che l'attività richiesta alla B. nel periodo (OMISSIS) ha avuto un ruolo di concausa nell'insorgenza della malattia perchè comportava inevitabilmente un sovraccarico di funzione dell'arto destro in relazione alla già segnalata menomazione del controlaterale; trattavasi, invero, di attività che costringeva a movimenti ripetuti delle articolazioni degli arti superiori con prolungata permanenza del gomito in flessione e conseguente stress sulle strutture mio-tendinee ed articolari dell'arto utilizzato"; quanto alla seconda, "che l'attività cui è stata adibita la B. sino al (OMISSIS) (caratterizzantesi per movimenti ripetuti a carico del distretto mano-polso e per l'utilizzo, almeno per un certo periodo, di strumenti meccanici automatici potenzialmente idonei a trasmettere vibrazioni e/o oscillazioni) ha svolto un ruolo concausale nella manifestazione del quadro clinico-funzionale neurologico periferico presentato dalla lavoratrice ...".
A fronte di tali puntuali ed inequivoci accertamenti, la società ricorrente, lungi dal denunciare una documentata devianza dai canoni fondamentali della scienza medico-legale o dai protocolli praticati per particolari assicurazioni sociali (che, come noto, costituisce un vero e proprio vizio della logica medico-legale e rientra tra i vizi denunciabili con il ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 diversamente dal mero dissenso diagnostico, non prospettabile in sede di legittimità: v. ad es. Cass. n. 8654/2008; Cass. n. 20947/2004; Cass. n. 530/1998), ha lamentato una inadeguata interpretazione, da parte della corte territoriale, dell'elaborato peritale, che, in realtà, avrebbe configurato in termini di "mera possibilità" l'esistenza di un concorso eziologico fra l'insorgenza della malattia e l'attività lavorativa.
Ma tale censura, che, peraltro, non documenta la asserita contraddizione rispetto ai passi della relazione espressamente riportati nella pronuncia impugnata e sopra trascritti, appare di per se inidonea a incrinare le conclusioni cui è pervenuta la corte di merito, che, in conformità alla nozione legale di concausa, ha riconosciuto l'indubbia efficacia lesiva delle malattie accertate, o, in altri termini, l'obiettiva incompatibilità fra le malattie stesse e la condizione di invalidità della dipendente, in relazione al principio dell'equivalenza causale di cui all'art. 41 c.p., che trova, come noto, applicazione anche nel settore degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali e, comunque, rispetto agli obblighi di tutela ex art. 2087 c.c., imponendo di riconoscere un ruolo di concausa anche ad una minima accelerazione di una preesistente malattia (v. ad es. Cass. n. 19682/2003).
Ne discende che correttamente le assenze derivanti da tali malattie sono state escluse da quelle utili per la determinazione del periodo di comporto, tenuto conto del diritto del lavoratore, e tanto più se invalido, di pretendere - e correlativamente dell'obbligo del datore di lavoro di ricercare - una collocazione lavorativa idonea a salvaguardare la salute del dipendente nel rispetto dell'organizzazione aziendale in concreto realizzata dall'imprenditore.
Dovendosi ribadire come il datore di lavoro, fermo restando l'insindacabilità dell'assetto stabilito nell'organizzazione dei fattori produttivi, sia obbligato ad assegnare l'invalido a mansioni compatibili con la natura ed il grado delle menomazioni e a reperire, nell'ambito della struttura aziendale, il posto di lavoro più adatto alle minorazioni di cui lo stesso è affetto (cfr. ad es. Cass. n. 4667/1994; Cass. 11681/1995; Cass. n. 10574/2001; Cass. n. 572/2002).
Alla luce di tali principi, osservati dalla corte di merito, la stessa ha insindacabilmente accertato che la B. venne assegnata a mansioni (di pulizia) compatibili col suo stato di salute solo nel (OMISSIS); che nemmeno dopo le prescrizioni dettate dal medico di fabbrica nel (OMISSIS) (che ebbe a giudicare come controindicate attività lavorative comportanti vibrazioni per gli arti superiori ovvero la completa funzionalità degli arti superiori ed inferiore sinistro) la stessa fu rimossa dalle mansioni in precedenza svolte; che, peraltro, anche nel periodo precedente, l'attività lavorativa ebbe a rivestire un ruolo di concausa rispetto alle malattie in questione, così evidenziandosi una obiettiva incompatibilità fra le stesse ed i provvedimenti adottati dal datore di lavoro ai fini dell'assegnazione delle mansioni.
E tali conclusioni valgono a dare adeguata giustificazione sia alla ritenuta illegittimità del recesso (tenuto conto pure di quanto appresso si specificherà), sia all'obbligo di risarcimento del danno biologico riconosciuto con riferimento a queste stesse malattie.
4. Infondato è anche il terzo motivo.
Basti, al riguardo, osservare che il numero complessivo delle assenze della B. è stato accertato, senza contestazioni da alcuna delle parti, nel precedente grado del giudizio ("... ritiene la Corte che non vi siano motivi per discostarsi da tale valutazione, basata sulla completa ed attenta verifica dei certificati medici. Del resto, le parti non hanno formulato specifici motivi di censura contro le conclusioni del CTU ..."), ove l'unico motivo di contrasto ha, in realtà, riguardato il periodo (breve o lungo) di comporto applicabile.
La sentenza impugnata ha ritenuto applicabile il periodo lungo (peraltro, di fatto applicato dalla stessa società ricorrente) sulla base del rilievo che la disciplina contrattuale consente di superare il "normale" periodo di comporto in presenza di eventi morbosi continuativi con assenza ininterrotta o interrotta da un'unica ripresa del lavoro per un periodo non superiore a due mesi e che, nel caso, per le assenze dal (OMISSIS), era individuabile, sulla base delle indagini medico-legali esperite, una unica malattia ("condropatia ginocchio destro").
Prospetta la società ricorrente che si tratta di un giudizio meramente "presuntivo", ma non riesce, in realtà, ad apprezzarsi sotto quale aspetto la sentenza impugnata avrebbe realizzato un travisamento delle conclusioni del ctu (anche con riferimento alle risultanze mediche emerse nel giudizio di primo grado, neppure trascritte) e, comunque, quale documentata devianza rispetto a canoni fondamentali della scienza medico-legale sia constatabile negli accertamenti in questione e nel ragionamento logico e giuridico che, facendo leva sugli stessi, è stato posto a base della pronuncia impugnata, che, pertanto, resta esente anche sotto questo aspetto da alcuna censura.
Ed eguali valutazioni devono ripetersi, in considerazione della riscontrata incompatibilità fra la condizione di minorazione della dipendente e la collocazione lavorativa alla stessa assegnata dal datore di lavoro, riguardo all'obbligo di risarcimento riconosciuto per le richieste di aspettativa non retribuita avanzate dalla lavoratrice, dato il plausibile collegamento che la sentenza impugnata ha instaurato, sulla base di un motivato accertamento di fatto, in questa sede non sindacabile, fra le assenze non retribuite dal lavoro e le mansioni illegittimamente assegnate.
5. Con il primo motivo del ricorso incidentale, svolto ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5 B.R. lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine al mancato riconoscimento dei danni conseguenti alla malattia "Sindrome del tunnel carpale destro", oggetto di intervento chirurgico nel (OMISSIS), sulla quale la corte abruzzese avrebbe, anzi, omesso di pronunciarsi.
Con il secondo motivo prospetta, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 violazione e falsa applicazione degli artt. 2087 e 2059 c.c., artt. 185 e 590 c.p., nonchè vizio di motivazione, osservando che, con riferimento alle malattie "Sindrome della compressione del nervo ulnare" ed "Epicondilite omerale destra", la corte territoriale aveva erroneamente omesso di risarcire il danno morale ex art. 2059 c.c., pur in presenza di condotte (lesioni colpose) in astratto riconducibili a fattispecie penalmente rilevanti.
6. Il primo motivo è infondato.
Ha accertato la sentenza impugnata che alla B. venne diagnosticata, il (OMISSIS), "sindrome del tunnel carpale destro", ma che, dato il breve lasso di tempo trascorso dalla data dell'assunzione, doveva escludersi che la malattia fosse stata causata dall'attività lavorativa.
Tale accertamento, che non ha formato oggetto di specifici rilievi, risulta alla base dell'esclusione della responsabilità, con la conseguenza che, in ordine alla richiesta di risarcimento, né è ipotizzabile una omissione di pronuncia (per essere stata la domanda implicitamente rigettata), né, comunque, un accertamento privo di adeguata e conducente motivazione.
7. Infondato è anche il secondo motivo.
Ha ritenuto, in proposito, la corte territoriale che la mancanza di condotte penalmente rilevanti comportasse di per sé il rigetto della domanda di risarcimento del danno morale.
Sul punto la pronuncia appare non correttamente motivata in diritto, ma è, comunque, conforme al diritto il dispositivo.
Deve, infatti, rilevarsi che, alla luce del sistema bipolare introdotto in materia risarcitoria dall'arresto delle SU n. 26972/2008, nella disciplina del rapporto di lavoro, ove già numerose disposizioni assicurano una tutela rafforzata alla persona del lavoratore con il riconoscimento di diritti oggetto di tutela costituzionale (artt. 32 e 37 Cost.), il danno non patrimoniale, per come ha già precisato questa Suprema Corte (v. sent. n. 10864/2009), è configurabile, indipendentemente dalla violazione di un precetto penale, ogni qual volta la condotta illecita del datore di lavoro abbia violato in modo grave i diritti della persona del lavoratore, concretizzando un vulnus ad interessi oggetto di copertura costituzionale; questi ultimi, non essendo regolati ex ante da norme di legge, per essere suscettibili di tutela risarcitoria, dovranno essere individuati, caso per caso, dal giudice di merito, il quale, senza duplicare il risarcimento, dovrà discriminare i meri pregiudizi, che si risolvono in disagi o lesioni di interessi privi di qualsiasi consistenza e gravita, come tali non risarcibili, dai danni che vanno risarciti, mediante una valutazione supportata da una motivazione che, se congrua e coerente con i principi giuridici applicabili alla materia, resta esente dal sindacato di legittimità.
E fermo restando, anche con riferimento all'ambito lavoristico, la necessità che sia provato non solo il nesso causale fra la condotta illecita ed il pregiudizio lamentato, ma anche che sia accertata l'esistenza del danno, seppure eventualmente a seguito di presunzioni, che, però, in quanto gravi, precise e concordanti, debbono assurgere a fonti di prova.
Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha erroneamente dato esclusivo rilievo alla incofigurabilità della violazione di un precetto penale (laddove il danno morale è risarcibile anche al di fuori di tale contesto), ma, nell'assenza della prova di specifici danni, ulteriori a quelli all'integrità psicofisica già riconosciuti dal giudice di merito, la domanda va, comunque, rigettata, previa correzione della motivazione nei sensi indicati.
8. Avuto riguardo alla reciproca soccombenza, devono integralmente compensarsi fra le parti le spese del giudizio.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta; compensa tra le parti le spese.
Così deciso in Roma, il 25 novembre 2009.
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Anna Guardavilla - Approfondimento - Rassegna di giurisprudenza di legittimità 2004-2009 sulle responsabilità del medico competente e del datore di lavoro in materia di sorveglianza sanitaria.
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