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Violenza e sicurezza sul lavoro
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Ormai è stata fatta giustizia delle diverse interpretazioni, da tempo date dalla Confindustria e dall'ABI, circa il fatto che rischio rapina ed aggressione non debba essere inquadrato nell'ambito dei rischi, contemplati dal decreto legislativo 626/94.
Non solo l'alta corte di giustizia europea, massima autorità giurisdizionale europea, ha condannato l'Italia, perché non aveva correttamente chiarito che tali rischi dovevano essere contemplati nel decreto legislativo 6 2 6/94, ma anche il tribunale di Velletri ed il tribunale di Milano hanno condannato rispettivamente una banca ed il comune di Milano, per mancato corretto recepimento della direttiva.
Il tribunale di Velletri ha riconosciuto un danno biologico pari a 25 punti ad una impiegata di banca, che aveva subito tre rapine e che per questo fatto aveva subito gravi traumi di natura psicofisica.
Tali traumi avevano avuto un impatto diretto sulla vita di relazione, facendo sì che la persona in questione non portasse più oggetti di valore indosso, come gioielli, anelli e collane, che sussultasse ad ogni forte rumore, collegandolo automaticamente, nel suo inconscio, agli eventi verificatisi durante le rapine, e via dicendo.
Si tratta di una sentenza storica, che non fa altro che mettere in evidenza come il tema della sindrome traumatica post rapina, ben nota agli addetti ai lavori, sia ormai una sindrome oggettivamente riscontrabile e non fantasia di dipendenti, che cercano tutte le scuse per farsi trasferire o lavorare di meno!
Parimenti, il comune di Milano è stato condannato perché due suoi impiegati, addetti allo sportello, erano stati aggrediti da un energumeno, che chiedeva informazioni.
La condanna è stata dovuta al fatto che nessuna istruzione era stata impartita ai dipendenti, su come comportarsi in queste situazioni. Parimenti, nessuna analisi di rischio era stata condotta per questo particolare tipo di aggressione.
Anche l'ABI ha cambiato atteggiamento.
Risale al 3 marzo 2003 la comunicazione dell'associazione bancaria italiana a tutte le direzioni delle banche, nella quale si prende in considerazione il problema della sicurezza anti-rapina, alla luce della legge sulla sicurezza del lavoratore nell'ambiente di lavoro, la famosa 626/94.
Chi scrive, fin da quando questa legge venne promulgata, sostenne senza alcuna esitazione che i rischi che devono essere presi in considerazione, in fase di analisi di rischio e messa a punto delle contromisure, non erano solo quelli di natura accidentale, legati cioè alla sicurezza antinfortunistica, ma anche quelli legati alla sicurezza anticrimine, specie se tali rischi potevano avere un impatto diretto sulla integrità psicofisica del lavoratore.
Per anni chi scrive queste note ha rappresentato una voce solitaria, che poco poteva fare contro le forze riunite delle direzioni delle banche e della loro associazione di categoria.
Solo qualche anno fa dalla magistratura cominciarono arrivare indizi sempre più consistenti, soprattutto da Torino, in merito al fatto che la valutazione di rischio del lavoratore doveva essere onnicomprensiva e che doveva tenere in considerazione ogni rischio, cui il lavoratore poteva ragionevolmente andare incontro.
Quanto sopra per ricordare a tutti i lettori di PuntoSicuro che la formazione anti-rapina, e più in generale anticrimine, per tutti i dipendenti bancari e ed altri soggetti a rischio, è obbligatoria e una carenza, su questo fronte, fa scattare le appropriate sanzioni da parte degli organi di controllo.
Adalberto Biasiotti
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Ormai è stata fatta giustizia delle diverse interpretazioni, da tempo date dalla Confindustria e dall'ABI, circa il fatto che rischio rapina ed aggressione non debba essere inquadrato nell'ambito dei rischi, contemplati dal decreto legislativo 626/94.
Non solo l'alta corte di giustizia europea, massima autorità giurisdizionale europea, ha condannato l'Italia, perché non aveva correttamente chiarito che tali rischi dovevano essere contemplati nel decreto legislativo 6 2 6/94, ma anche il tribunale di Velletri ed il tribunale di Milano hanno condannato rispettivamente una banca ed il comune di Milano, per mancato corretto recepimento della direttiva.
Il tribunale di Velletri ha riconosciuto un danno biologico pari a 25 punti ad una impiegata di banca, che aveva subito tre rapine e che per questo fatto aveva subito gravi traumi di natura psicofisica.
Tali traumi avevano avuto un impatto diretto sulla vita di relazione, facendo sì che la persona in questione non portasse più oggetti di valore indosso, come gioielli, anelli e collane, che sussultasse ad ogni forte rumore, collegandolo automaticamente, nel suo inconscio, agli eventi verificatisi durante le rapine, e via dicendo.
Si tratta di una sentenza storica, che non fa altro che mettere in evidenza come il tema della sindrome traumatica post rapina, ben nota agli addetti ai lavori, sia ormai una sindrome oggettivamente riscontrabile e non fantasia di dipendenti, che cercano tutte le scuse per farsi trasferire o lavorare di meno!
Parimenti, il comune di Milano è stato condannato perché due suoi impiegati, addetti allo sportello, erano stati aggrediti da un energumeno, che chiedeva informazioni.
La condanna è stata dovuta al fatto che nessuna istruzione era stata impartita ai dipendenti, su come comportarsi in queste situazioni. Parimenti, nessuna analisi di rischio era stata condotta per questo particolare tipo di aggressione.
Anche l'ABI ha cambiato atteggiamento.
Risale al 3 marzo 2003 la comunicazione dell'associazione bancaria italiana a tutte le direzioni delle banche, nella quale si prende in considerazione il problema della sicurezza anti-rapina, alla luce della legge sulla sicurezza del lavoratore nell'ambiente di lavoro, la famosa 626/94.
Chi scrive, fin da quando questa legge venne promulgata, sostenne senza alcuna esitazione che i rischi che devono essere presi in considerazione, in fase di analisi di rischio e messa a punto delle contromisure, non erano solo quelli di natura accidentale, legati cioè alla sicurezza antinfortunistica, ma anche quelli legati alla sicurezza anticrimine, specie se tali rischi potevano avere un impatto diretto sulla integrità psicofisica del lavoratore.
Per anni chi scrive queste note ha rappresentato una voce solitaria, che poco poteva fare contro le forze riunite delle direzioni delle banche e della loro associazione di categoria.
Solo qualche anno fa dalla magistratura cominciarono arrivare indizi sempre più consistenti, soprattutto da Torino, in merito al fatto che la valutazione di rischio del lavoratore doveva essere onnicomprensiva e che doveva tenere in considerazione ogni rischio, cui il lavoratore poteva ragionevolmente andare incontro.
Quanto sopra per ricordare a tutti i lettori di PuntoSicuro che la formazione anti-rapina, e più in generale anticrimine, per tutti i dipendenti bancari e ed altri soggetti a rischio, è obbligatoria e una carenza, su questo fronte, fa scattare le appropriate sanzioni da parte degli organi di controllo.
Adalberto Biasiotti
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