Le responsabilità del Coordinatore per l’Esecuzione: sentenze del 2023
Procediamo, nell’analisi della selezione di sentenze del 2023 in materia (che come sempre non ha pretese di esaustività) dalle più recenti alle più risalenti.
Con Cassazione Penale, Sez.IV, 20 febbraio 2023 n.7013, la Corte si è pronunciata sulle responsabilità di un datore di lavoro (C.R.) e di un coordinatore di cantiere (geometra A.A.) per il reato di omicidio colposo commesso con violazione di norme antinfortunistiche.
La Cassazione ha confermato la condanna del datore di lavoro ma ha annullato la sentenza di condanna del coordinatore A.A. con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello per nuovo giudizio.
Questi i fatti.
Nello specifico, “avendo il Comune di B. (CN) appaltato i lavori per la realizzazione di una pista forestale alla s.n.c. “R.moter”, nel … 2015 il dipendente della “R.” C.R., mentre stava procedendo con una motosega all’abbattimento di un’alta betulla, è stato colpito al capo (non si è accertato se nell’occasione protetto da casco o meno) da un pesante ramo, che gli ha provocato gravi fratture che lo hanno condotto a morte”.
Il datore di lavoro C.R. è stato ritenuto responsabile “per avere solo assai genericamente previsto nel piano operativo di sicurezza (acronimo: P.O.S.) il rischio di caduta di oggetti dall’alto, senza fare specifico riferimento alle evenienze che possono accadere in un fitto bosco, quale, ad esempio, quella dell’albero che, cadendo, colpisca un altro albero, e per avere omesso di informare e di formare adeguatamente il lavoratore dipendente C.R., anche tenuto conto che la “R.” era un’impresa edile, non un’impresa boschiva, che era la prima volta che si accingeva a tale tipo di attività, che la vittima, che generalmente era impiegata come autista, non aveva mai svolto in precedenza l’attività di taglialegna e che non erano stata disposte efficaci misure per la verifica circa l’effettivo impiego dei dispositivi di protezione individuale, primo tra i quali il casco protettivo.”
Per quanto concerne il geometra A.A., “che era stato nominato coordinatore della sicurezza dal Comune committente, premesso che, diversamente dalle previsioni, non si aveva, in realtà, la compresenza di più ditte da coordinare, i Giudici di merito hanno ritenuto che lo stesso abbia, tuttavia, effettivamente svolto l’incarico, recandosi più volte nel cantiere boschivo, così di fatto ingerendosi nella esecuzione dei lavori, ed in un’occasione in particolare contestando formalmente il mancato impiego del casco protettivo.”
Dunque, sempre con riferimento ad A.A., “in tale veste l’imputato ha anche redatto un piano di sicurezza e di coordinamento (acronimo: P.S.C.), non meno generico del P.O.S., di cui ricalca il testo, e, avendo fatto, appunto, accesso in più occasioni, non si è reso conto delle manchevolezze della ditta, che, anche solo avuto riguardo al profilo formale, risultava impiegare personale non adeguatamente formato per il pericoloso lavoro di abbattimento degli alberi.”
Come anticipato, il ricorso del datore di lavoro C.R. è stato rigettato dalla Cassazione mentre la sentenza d’appello è stata in sede di legittimità annullata con rinvio limitatamente alla posizione del coordinatore di cantiere A.A.
Esaminiamo dunque solo quest’ultima posizione.
Secondo la Cassazione, “la decisione impugnata non tiene conto dei seguenti - consolidati - principi di diritto: «In tema di infortuni sul lavoro, la funzione di alta vigilanza che grava sul coordinatore per la sicurezza dei lavori - che si esplica prevalentemente mediante procedure e non poteri doveri di intervento immediato - riguarda la generale configurazione delle lavorazioni che comportino un rischio interferenziale, e non anche il puntuale controllo delle singole lavorazioni, demandato ad altre figure (datore di lavoro, dirigente, preposto), salvo l’obbligo di adeguare il piano di sicurezza in relazione all’evoluzione dei lavori e di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato ed immediatamente percettibile, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti da parte delle imprese interessate.”
Inoltre, “in tema di infortuni sul lavoro, l’area di rischio governata dal coordinatore per la sicurezza nell’esecuzione dei lavori si individua in base all’area di intervento di tale garante, per come definita, ai sensi dell’allegato XV al d.lgs 9 aprile 2008, n.81, dal piano di sicurezza e coordinamento, che comprende, oltre ai rischi connessi all’area di cantiere e all’organizzazione di cantiere, anche i rischi interferenziali connessi alle lavorazioni (cd. rischi generici), tra i quali non rientrano i rischi specifici propri dell’attività della singola impresa, di competenza del datore di lavoro, in quanto non inerenti all’interferenza fra le opere di più imprese.”
Pertanto - chiarisce la Corte - “dovendosi applicare tali principi, occorre convenire con il ricorrente circa la non necessità, nel caso di specie, di nomina del coordinatore per la sicurezza, poiché, come spiegato nelle sentenze di merito, la originaria ipotesi di compresenza di più ditte impegnate nel cantiere non si è in concreto realizzata, essendovi unicamente la presenza della “R.”.
Ciò premesso, secondo la Cassazione “il punto che non sembra essere stato colto appieno dai Giudici di merito è che si dà atto essersi A.A. comportato in concreto come se vi fosse necessità del coordinatore, pur non essendovi compresenza di più imprese, prima redigendo un piano, che si assume generico, poi effettuando accessi e segnalando formalmente la necessità di corretto uso dei caschi - e si tratta di circostanze di fatto non contestate dal ricorrente - senza, tuttavia, approfondire le implicazioni, logiche e giuridiche, di tale ricognizione di un ruolo svolto ovvero di ruoli svolti “di fatto”.”
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A partire da ciò, “la Corte di merito non si è posta la domanda, che sarebbe stata doverosa, se A.A. si sia, per così dire, “volontariamente accollato” la posizione di garanzia di coordinatore per la sicurezza, impropriamente impiegando in sentenza (p.14), per descrivere il ruolo di A.A., il termine “ingerenza”, che, invece, a rigore, dovrebbe riferirsi alla condotta attiva di più imprese, volendo intendere - deve ritenersi - lo svolgimento di fatto delle funzioni tipiche del garante, in specie coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione e/o in fase di esecuzione, mediante un comportamento concludente consistente nella effettiva presa in carico del bene protetto.”
Infine, “ove si risponda a tale domanda in senso affermativo, non ci si è interrogati circa le conseguenze che possano/debbano trarsi da tale “autoassunzione”, tenendo a mente la distinzione […] tra: coordinatore per la progettazione, ai sensi degli artt.90, comma 3, e 91 del d.lgs.9 aprile 2008, n.81 (già 4 del d. lgs.14 agosto 1996, n.494), che ha essenzialmente il compito di redigere il piano di sicurezza e coordinamento (acronimo: P.S.C.), che contiene l’individuazione, l’analisi e la valutazione dei rischi, e le conseguenti procedure, apprestamenti ed attrezzature per tutta la durata dei lavori; e coordinatore per l’esecuzione dei lavori”.
Esaminiamo ora sinteticamente altre due pronunce.
Con Cassazione Penale, Sez.IV, 13 gennaio 2023 n.927, la Corte ha confermato la condanna di M.P., quale “legale rappresentante della impresa edile M.P., società capogruppo di un’associazione temporanea di imprese (A.T.I.) appaltatrice dei lavori di ampliamento del cimitero di […], nonché datore di lavoro di V.R. (M.P.)” e di P.L. quale “coordinatore in fase di esecuzione del piano di sicurezza e coordinamento, nominato dalle imprese facenti parte dell’indicata A.T.I.”.
Essi erano stati ritenuti responsabili del “decesso di V.R. - operaio assunto “in nero” da M.P. - che, intento ad allestire un ponteggio per effettuare dei lavori in quota all’interno del suddetto cimitero, aveva urtato con un’asta di alluminio, usualmente adoperata per livellare il calcestruzzo dell’impalcato dei loculi, una sovrastante linea elettrica a media tensione, rispetto alla quale non era posto a distanza di sicurezza, per l’effetto rimanendo folgorato da una scarica elettrica che lo aveva fatto cadere da un’altezza di circa 3,5 metri, provocandone il decesso.”
Quanto alla posizione del coordinatore P.L., non sono fondate secondo la Cassazione “le doglianze con cui il P.L. ha inteso eludere il riconoscimento della sua responsabilità penale sia affermando che il piano di sicurezza e coordinamento non sarebbe stato da lui redatto e che il piano operativo di sicurezza non avrebbe avuto nessuna significativa incidenza (terzo motivo di ricorso), sia ritenendo di aver costantemente svolto la supervisione sui lavori (quinto motivo di ricorso), apparendo, di contro, congruamente espletato il processo motivazionale con cui la Corte di merito ha, invece, ritenuto di riconoscere, con argomentazioni prive di ogni illogicità, la responsabilità penale dell’imputato.”
A parere della Corte, “è stato diffusamente evidenziato, infatti, come il P.L. avesse contribuito causalmente al decesso del V.R., in particolare per: essere rimasto totalmente inerte pur a fronte di diverse irregolarità presenti nel cantiere; non aver segnalato all’operaio che stava svolgendo attività lavorativa in carenza di regolare contratto di assunzione; non aver evidenziato i notevoli rischi connessi allo svolgimento di lavori in prossimità di cavi aerei dell’elettricità.”
Ed “ancor più chiaramente, è stata individuata come condotta omissiva eziologicamente correlata alla verificazione del mortale incidente la circostanza che il P.L., nella posizione di garanzia ricoperta, non si fosse adoperato «per segnalare al datore l’utilizzo di uno strumento metallico non presente nel Piano, ma nei fatti utilizzato quotidianamente dagli operai che, fino a dodici giorni prima il decesso del V.R., era stato utilizzato per completare l’impermeabilizzazione dei loculi lato est, come risulta dal suo ultimo sopralluogo effettuato in cantiere».”
Infine, con Cassazione Penale, Sez.IV, 13 gennaio 2023 n.939, la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso di C.A., “ritenuto responsabile, in qualità di coordinatore per la sicurezza in fase esecutiva, del reato di cui all’art.589, comma secondo, cod. pen., e in particolare dell’omicidio colposo, commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, del lavoratore P.M. che nell’espletamento delle proprie mansioni è caduto dal tetto dell’immobile in costruzione non essendo il relativo ponteggio dotato di idoneo parapetto.”
La Corte d’Appello, così come in precedenza il Tribunale, aveva “ritenuto accertata la responsabilità dell’imputato in considerazione della circostanza per la quale il parapetto, la cui apposizione costituiva necessario presidio di sicurezza, avrebbe evitato l’evento.”
La Corte territoriale, in particolare, “oltre a ritenere quanto innanzi per aver fatto proprio il sapere scientifico del perito, escusso in dibattimento nel corso del quale ha evidenziato gli esiti peritali anche mediante la proiezione di un filmato relativo a una simulazione virtuale, ha esplicitato gli elementi dai quali ha argomentato l’insussistenza del detto parapetto, invece eseguito, con listelli in legno e rete termosaldata, nel periodo intercorrente tra il sinistro e il sopralluogo dei tecnici (circa 1 ora e 45 minuti).”
La Cassazione ha poi anche confermato l’“insussistenza dell’attenuante di cui all’art.62, n.6 cod. pen., convenendo lo stesso ricorrente in merito all’accertata non integrale riparazione del danno.”
Peraltro, la Corte sottolinea che in considerazione del fatto che “lo stesso ricorrente fa riferimento a un intervento dell’INAIL quanto al danno patrimoniale”, trova qui “applicazione nella specie, ancorché caratterizzata da una parziale erogazione, il principio per cui l’attenuante in esame non è configurabile in caso di erogazione di somme da parte dell’INAIL, avendo la relativa prestazione carattere indennitario e non risarcitorio”.
Anna Guardavilla
Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro
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