Il responsabile del personale come attore della prevenzione
Milano, 5 Mar – Per rendere più efficace la gestione della salute e sicurezza nelle aziende è necessaria una visione unitaria del sistema aziendale che porti le varie funzioni e i vari ruoli gestionali a interagire, a partire dall’interazione tra i temi della sicurezza e la gestione delle risorse umane.
Quali possono essere le interazioni, per la tutela della salute dei lavoratori e con particolare riferimento al tema dell’invecchiamento, tra medici competenti, servizi di prevenzione e direzione del personale?
Per rispondere a questa domanda facciamo riferimento ad un contributo - dal titolo “La salute del lavoratore tra direzione del personale, medico competente e RSPP” e a cura di Giovanbattista Rosa (Responsabile Risorse Umane presso varie Aziende) e Quintino Bardoscia (Medico del lavoro) - pubblicato nel libro “Aging E-book, il Libro d'argento su invecchiamento e lavoro” della Consulta Interassociativa Italiana per la Prevenzione ( CIIP).
L’attenzione alla salute e i cambiamenti culturali nelle aziende
Nel contributo si indica che il management aziendale nelle sue esperienze migliori “ha tenuto conto delle condizioni di lavoro e salute dei lavoratori, sia per ragioni ‘difensive’ che, meno frequentemente, culturali”. Tuttavia la Direzione del Personale ha spesso limitato in passato il proprio ruolo “ad ‘arbitro’ interno delle controversie tra gli specialisti che premevano per maggiori iniziative di tutela, e i manager di linea che li vedevano come ostacoli alla produttività”.
Da qualche anno “le cose stanno cambiando” e il tema della salute dei lavoratori “ha perso quella impostazione renitente, difensiva con cui era stato spesso percepito, ed è più correttamente entrato nell’ambito ben più ampio del ‘benessere aziendale’”.
Si è cioè finalmente compreso – continuano gli autori – “che non è più sufficiente evitare pratiche insane o pericolose: è giusto, opportuno ed efficiente promuovere attivamente il benessere psicofisico complessivo dei lavoratori”. In poche parole, a dipendenti più sani corrispondono anche aziende più sane, produttive ed efficaci.
Addirittura, da questo punto di vista, in alcune aziende si sta elaborando “un ‘company fitness index’ (CFI) che misura in modo integrato tutti gli aspetti della salute aziendale: dai giorni di malattia alle notti perse per insonnia, dal numero di dipendenti sovrappeso a quelli che denunciano situazione croniche di stress, ed altro”.
Si ricorda che il primo segnale di una “maggiore responsabilizzazione della Direzione del Personale si è visto, già alcuni anni fa, con l’inserimento di parametri di salute (in primis, la riduzione degli infortuni) in molti dei sistemi di incentivazione manageriale. Questa nuova impostazione si è poi in parte riscontrata sulle politiche di esternalizzazione, di ‘outsourcing’, che per vari motivi si sono affermate nei sistemi produttivi moderni, in particolare per le lavorazioni più rischiose o disagiate”.
Se da un lato la esternalizzazione è stata spesso “un modo di affievolire il proprio volersi fare carico dei crescenti problemi legati alla salute”, oggi un numero sempre maggiore di aziende “in linea con le indicazioni degli enti che stabiliscono i ‘rating’ di sostenibilità, oltre che con le richieste sindacali e la normativa, sta intervenendo spontaneamente, attraverso le Direzioni Risorse Umane e gli RSPP, perché i propri standard di salute e sicurezza (e sempre più spesso anche di ‘comfort’ minimale) si applichino a contractors e fornitori”.
Le aziende e l’invecchiamento dei lavoratori
Si segnala che questo cambio di prospettiva è stato aiutato anche dal processo in corso di rapido invecchiamento del personale (“le aziende italiane hanno l’età media dei dipendenti più alta tra i paesi dell’OCSE”). Si è reso evidente come “la motivazione e la performance dei collaboratori sia sempre più legata al loro stato di salute psicofisico, alla gestione dello stress, alla corretta organizzazione dell’orario e dei tempi di lavoro, alla sensibilità condivisa sulla riduzione della capacità lavorativa connessa all’avanzamento dell’età e sulla prevenzione di inabilità psicofisiche e di infortuni”.
In tema di invecchiamento si è consapevoli che nelle aziende vi sarà presto “una maggioranza di dipendenti ultracinquantenni, la cui ‘fitness’ complessiva sarà chiave per i destini dell’azienda” e vi sarà altrettanto presto anche “una percentuale rilevante di veri e propri ‘anziani’, anche ultrasessantacinquenni, per i quali è impensabile che non si debbano prevedere modifiche all’organizzazione del lavoro, ai processi lavorativi, alle postazioni di lavoro e, in definitiva, al modo di lavorare e di produrre”.
Il coinvolgimento delle risorse umane
Gli autori sottolineano che partendo da questa consapevolezza, “ormai diffusa soprattutto nelle imprese di grandi dimensioni”, si può ritenere che “siano ormai maturi i tempi per un diretto coinvolgimento della funzione ‘risorse umane’ nel sistema di prevenzione e protezione aziendale”. Cruciale ormai appare il ruolo di chi “rappresenta la ‘cultura organizzativa’ e si occupa quotidianamente della selezione, dello sviluppo e della gestione delle persone nel contesto produttivo”.
In particolare il contributo delle Risorse Umane “risulterebbe essenziale in tutte le fasi del processo di prevenzione, dall’analisi della richiesta funzionale della mansione, dei compiti lavorativi e delle attività, alla definizione dei livelli di esposizione dei lavoratori ai tradizionali fattori di rischio fisico-chimici, dalla valutazione dei rischi organizzativi, psicosociali e di genere, fino allo studio del fenomeno dell’invecchiamento nei luoghi di lavoro”. E si auspica l’elaborazione di un Piano di Prevenzione aziendale che “non contenga soltanto le misure tecniche ed impiantistiche, ma estenda la progettualità sui programmi di promozione della salute e dell’ invecchiamento attivo, tenendo conto anche delle peculiari caratteristiche antropologiche, sociali ed epidemiologiche della popolazione aziendale”.
In definitiva, secondo gli autori, si potrebbe avere in questo modo “un approccio biopsicosociale nella valutazione dei rischi, nella connotazione sociale della popolazione lavorativa, nell’analisi dei dati anonimi e collettivi acquisiti nel corso della Sorveglianza Sanitaria dal Medico Competente e nella stesura del Piano di Prevenzione”. Insomma “un processo circolare, ergonomico, che consenta, in un tempo pre-determinato, di adattare l’ambiente e l’organizzazione del lavoro alle effettive capacità lavorative delle persone che quotidianamente svolgono le ‘mansioni’ assegnate, tenendo conto anche della provenienza geografica, del genere e dell’età”. Un processo che – continuano gli autori – si potrebbe definire di “accomodamento ragionevole” (reasonable accomodation), ovvero “l’insieme delle modifiche e degli adattamenti dell’ambiente di lavoro che consentono a ciascun lavoratore (anche a una persona con disabilità) di svolgere le funzioni connesse al suo ruolo”.
Il contributo, che vi invitiamo a leggere integralmente e che riporta anche alcune indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, si conclude segnalando che nelle nostre imprese “la funzione delle Risorse Umane entra a pieno titolo nel Servizio di Prevenzione e Protezione non soltanto per fornire il proprio contributo di competenza specialistica e culturale di esperienza, ma per fungere da cerniera tra la cultura tecnico-impiantistica, rappresentata dal RSPP, e la cultura biologica, proposta e richiesta, dal Medico Competente”. Non più quindi, come ricordato a inizio articolo, solo un ruolo di arbitrato nelle controversie tra gli specialisti della prevenzione e i manager di linea, ma “un responsabile del Personale a pieno titolo anch’egli ‘attore’ della prevenzione”.
Tiziano Menduto
Scarica il documento da cui è tratto l'articolo:
CIIP, “ Aging E-book, il Libro d'argento su invecchiamento e lavoro” (formato PDF, 2.0 MB).
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