Alcuni chiarimenti sul DPR 177/2011
Questo sia rileggendo più volte a distanza di tempo il testo del Decreto (infatti, una virgola o un termine, possono far cambiare il senso del periodo e, quindi, portare a rimettere in discussione certezze precedentemente acquisite), sia tenendo conto delle personalizzazioni applicative riscontrate da parte di Committenti e/o Organi di vigilanza e controllo.
Ciò premesso, incontro spesso operatori del settore che, a diverso titolo, si occupano delle attività di cui al DPR 177/2011, i quali mi hanno manifestato dubbi e perplessità sull’effettiva portata del Decreto, sottolineandone i vari problemi applicativi. Di seguito alcuni dei temi di discussione che sono stati segnalati, rispetto ai quali provo a fornire la mia interpretazione.
- Cosa si intende per spazio confinato?
Certamente questa è la domanda che da sempre fa discutere gli operatori del settore ed alla quale sono state date le risposte più diverse (di seguito ne riporto alcune trovate sul web):
- Non esiste una definizione univoca di spazio/ambiente o luogo confinato ma è comunque uno spazio abbastanza grande da consentire l’ingresso di una persona. In via generale per luogo confinato si intende un ambiente che possegga almeno le seguenti caratteristiche: – difficoltà di accesso/uscita (anche in relazione all’utilizzo di autorespiratori o altri dispositivi di salvataggio) – non progettato per la continua presenza di persone e lavoratori – si riscontrano al suo interno fattori di possibile accrescimento rapido dei rischi – insufficiente o difficoltà di aerazione/ventilazione naturale – presenza di agenti chimici pericolosi
- Per spazio confinato si intende “uno spazio circoscritto in cui il pericolo di infortunio grave o morte è molto elevato, a causa della presenza di sostanze, agenti chimici pericolosi o condizioni di pericolo” (ad es. mancanza di ossigeno). Gli spazi confinati sono facilmente identificabili per la presenza di aperture di dimensioni ridotte e limitata ventilazione, come nel caso di: serbatoi; silos; recipienti adibiti a reattori; sistemi di drenaggio chiusi; reti fognarie. Possono essere considerati spazi confinati anche altri ambienti in virtù delle specifiche modalità di svolgimento dell’attività lavorativa o influenze provenienti dall’ambiente circostante, come ad esempio: camere con aperture in alto, vasche, depuratori, camere di combustione nelle fornaci e simili, canalizzazioni varie, ambienti con ventilazione insufficiente o assente.
- Per spazio confinato si intende qualsiasi ambiente a cui è difficile accedere o da cui è difficile uscire in maniera rapida e sicura, in cui non sia possibile una ventilazione naturale tale da assicurare un’atmosfera adatta alla vita umana, in cui siano presenti agenti chimici dannosi per la salute oppure nel quale esista la possibilità di incendio e/o esplosione. Gli spazi confinati, in breve, sono aree isolate all’interno delle quali l’atmosfera è molto diversa da quella alla quale siamo normalmente abituati e non sono quindi adatti ad una prolungata presenza di persone e lavoratori.
In base alle caratteristiche geometriche essi possono essere divisi in:
Aperti (quali gallerie, fogne, scavi profondi a sezione ristretta, vasche, ecc.)
Chiusi (quali silos, cisterne, celle frigorifere, vani ascensore, cantine e sottotetti, ecc.)
A seconda della pericolosità e del grado di rischio per la salute e la vita delle persone, invece, si dividono in tre classi:
Classe A: spazi in cui esiste un imminente pericolo di vita. Di solito questo si traduce in mancanza di ossigeno, presenza di atmosfere infiammabili o esplosive e alte concentrazioni di sostanze tossiche.
Classe B: ambienti che possono provocare infortuni e/o malattie ma non comportano un pericolo per la vita e la salute delle persone.
Classe C: spazi all’interno dei quali i rischi sono secondari, non influiscono sul normale svolgimento del lavoro e le cui condizioni sono stazionarie.
- Per spazio confinato si intende un ambiente limitato e di difficile accesso, in cui il pericolo di morte o di infortunio grave è molto elevato, anche a causa della possibile presenza di sostanze chimiche o altre condizioni di pericolo, come ad esempio la mancanza di ossigeno, gas o vapori tossici, incendi od esplosioni.
- Una definizione generale di spazio confinato non è presente nella normativa vigente, nel D.Lgs. 81/08 sono esemplificate alcune tipologie di spazi confinati e lavori in spazi confinati: ai sensi degli articoli 66 e 121 del D.Lgs. 81/08, infatti, tra i lavori in ambienti sospetti di inquinamento rientrano le lavorazioni eseguite in pozzi neri, fognature, cunicoli, camini, fosse, gallerie, e in generale in ambienti e recipienti, conduttore, caldaie e simili, ove sia possibile il rilascio di gas pericolosi per la salute dei lavoratori, mentre per ambiente confinato, nel medesimo decreto legislativo, si intendono ad esempio le tubazioni, canalizzazioni, vasche, serbatoi, recipienti, silos.
….
e si potrebbero elencare molte altre definizioni.
AB: Cominciamo a dire che, piaccia o non piaccia (a me, ovviamente, non piace) esiste una specifica indicazione normativa che, di là di ogni interpretazione personale, stabilisce quali sono questi luoghi. Nel testo del DPR 177/2011, infatti, leggiamo: Art. 1 Finalità e ambito di applicazione - 2. Il presente regolamento si applica ai lavori in ambienti sospetti di inquinamento di cui agli articoli 66 e 121 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, e negli ambienti confinati di cui all’allegato IV, punto 3, del medesimo decreto legislativo …ovvero (art. 66) pozzi neri, fogne, camini, fosse, gallerie e in generale in ambienti e recipienti, condutture, caldaie e simili, ove sia possibile il rilascio di gas deleteri (art. 121), pozzi, fogne, cunicoli, camini e fossero in genere (all. IV), vasche, canalizzazioni, tubazioni, serbatoi, recipienti, silos e simili.
Quindi, è da qui che bisogna comunque partire. Facendo riferimento a quanto è possibile riscontrare nel web si nota come, per la classificazione del luogo di lavoro, molti siti pongono l’accento in particolare sulle caratteristiche geometriche di tali ambiti operativi (indicando come questi siano dotati di limitate vie di accesso o uscita), ma questo concetto può essere fuorviante e quindi sarebbe opportuno spiegare meglio a cosa ci si riferisce.
Ciò premesso, più che la ricerca di una classificazione dell’ambito operativo - quale precondizione per applicare adeguatamente qualsiasi misura di prevenzione e protezione da individuarsi a seguito di una corretta identificazione e valutazione dei rischi - in molti casi la discussione su questo tema sembra assumere più che altro un modo per costituire una posizione di tutela cautelare (preventiva) a prescindere dall’effettivo livello di rischio presente o prevedibile. D’altra parte proprio la pedissequa applicazione di quanto previsto dal Decreto favorisce questa posizione. Da più parti si evidenzia come la rigidità che è imposta dall’attuale testo normativo, ad esempio, potrebbe facilmente portare a generalizzare l’applicazione del DPR 177/2011 a prescindere dall’effettivo livello di rischio e condurre le aziende a predisporre misure di prevenzione eccessivamente rigorose, anche a fronte di rischi di lieve entità. Infatti, in assenza di una puntuale e approfondita analisi differenziale del rischio, si potrebbero creare le condizioni per cui diversi committenti (tanto per non sbagliare) potrebbero applicare quanto previsto dal D.P.R. 177/2011 in modo fin troppo restrittivo, con il pericolo di attivare scorciatoie o applicazioni formali del disposto normativo, ritenuto troppo complesso e difficile da attuare, da parte delle ditte incaricate dei lavori
- Il DPR 177/2011 è applicabile ad attività svolte all’interno di ambienti sospetti di inquinamento o confinati facenti parte del ciclo produttivo aziendale ed eseguiti dal proprio personale dipendente?
Secondo alcuni, il DPR 177/2011 è espressamente reso in adempimento delle previsioni di cui all’art. 6, comma 8, lett. g), D.Lgs. 81/2008 e, quindi, in tema di affidamento delle relative attività a terzi, anche per la stessa rubrica del provvedimento. Da ciò l’obbligatorietà diretta per tali fattispecie contrattuali delle relative previsioni. Come in altre occasioni, il provvedimento regolamentare (normativa secondaria) propone estensioni del campo di applicazione definito dalla norma primaria. Pertanto, ove le attività in ambienti confinati o sospetti di inquinamento siano svolte da risorse interne, non trova applicazione tale norma, atteso che incide sulla verifica di idoneità di altri operatori.
AB: A mio parere, sebbene il riferimento all’art. 6, comma 8, lett. g), D.Lgs. 81/2008 inquadrerebbe il DPR 177/2011 quale strumento giuridico immediatamente operativo in caso affidamento della relativa attività a terzi in attesa della definizione di un complessivo sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi, se l’intero dispositivo fosse effettivamente rivolto alle sole imprese appaltatrici o ai lavoratori autonomi che svolgono attività presso terzi, non avrebbe senso la precisazione di cui all’art. 1 comma 3 che limita l’applicabilità degli articoli 2, comma 2, e 3, commi 1 e 2, solo al caso dell’affidamento da parte del datore di lavoro di lavori, servizi e forniture all'impresa appaltatrice o a lavoratori autonomi all'interno della propria azienda o di una singola unità produttiva della stessa, nonché nell'ambito dell'intero ciclo produttivo. Tale esclusione, a mio parere, suppone che la restante parte del Decreto sia valida e vincolante per qualsiasi tipologia d’impresa o lavoratore autonomo che svolga attività lavorativa (nel settore) in ambienti sospetti di inquinamento o confinati.
La corrente interpretazione, con cui concordo pienamente, sembra indicare che con la locuzione “qualsiasi attività lavorativa nel settore degli ambienti sospetti di inquinamento o confinati può essere svolta unicamente da imprese o lavoratori autonomi qualificati in ragione del possesso di specifici requisiti”, il Legislatore abbia inteso prevedere che anche le attività svolte da personale dipendente effettuate all’interno di ambienti sospetti di inquinamento o confinati presenti nella propria azienda o singola unità produttiva della stessa, nonché nell'ambito dell'intero ciclo produttivo dell'azienda medesima, debbano prevedere l’applicazione – contestualizzata – sia dei requisiti di qualificazione previsti all’art. 2 C1, sia di tutte le altre disposizioni presenti nel Decreto, fatta eccezione per le parti valide solo in caso di appalto (vedi alt. 1 comma 3).
A supporto di questa tesi, credo si debba anche leggere la parte della risposta del MLPS (pro 37/0011649/MA007.A001 del 27/06/2013 – allegata) che alla pagina 2 recita: … Pertanto, la restante parte del D.P.R. 177/2011 è applicabile anche a chi svolge i lavori in ambienti confinati o sospetti di inquinamento senza ricorso ad appaltatori o lavoratori autonomi esterni. Ciò premesso, il DPR 177/2011 è certamente uno degli ultimi strumenti normativi nati dalla logica dell’emergenza continua, la risposta politica allo sdegno nell’opinione pubblica a seguito degli incidenti di Molfetta e Mineo. Logica puntualmente applicata anche nel caso della Tyssen.
Appare inoltre evidente che il Legislatore non aveva ben chiaro il contesto che era chiamato a regolamentare (nonostante le circolari 42/2010 e 13/2011 del MLPS) considerato che il Decreto è sostanzialmente impostato con riferimento alle attività in sede fissa e non per i cantieri temporanei e mobili (ad esempio, il riferimento all’art. 26 ma non all’art. 90 del D.Lgs. 81/08).
- Il Responsabile dei lavori e il CSE nominati nell’ambito di lavorazioni che si svolgono in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, devono aver effettuato una formazione specifica in merito?
A questa domanda, un Ente di vigilanza ha risposto indicando come per il Responsabile dei lavori non vi siano obblighi, mentre il CSE se impiegato in attività lavorativa in ambienti confinati, necessiti della formazione specifica.
AB: Ovviamente non è chiaro a quale tipo formazione specifica si faccia riferimento, considerato che in nessuna parte del Decreto si fa riferimento a tale previsione (a meno che non si volesse intendere l’informazione formazione prevista dall’art. 2 c1 lettera “d” del DPR 177/2011). Rispetto a questo, sappiamo che il Titolo IV del d.lgs. 81/08, prevede la figura del Coordinatore per la Sicurezza (in fase di progettazione e/o in fase di esecuzione dell’opera) in tutti i cantieri in cui vi è la presenza di più imprese. E che, inoltre, l’art. 98 del d.lgs. 81/08 stabilisce i requisiti professionali del coordinatore per la progettazione e del coordinatore per l’esecuzione dei lavori fra cui l’obbligo di frequenza di un corso di formazione ai sensi dell’allegato XIV al D.Lgs. 81/08 (i cui contenuti, modalità e durata devono rispettare almeno le prescrizioni di cui all'allegato XIV) e l’aggiornamento minimo è fissato in 40 ore quinquennali.
Peraltro, che nello specifico contesto degli argomenti - di cui al citato allegato - non sia esplicitato il tema “ambienti sospetti di inquinamento o confinati”, è evidente ma nella disamina dei rischi negli scavi, nelle demolizioni, nelle opere in sotterraneo ed in galleria o anche dei rischi chimici in cantiere, argomenti presenti nell’allegato XIV, è possibile riscontrare tematiche riconducibili ai rischi delle attività nei luoghi di cui al DPR 177/2011. Quindi, nell’ambito delle 120 ore di formazione o nelle 40 ore di aggiornamento appare opportuno frequentare un corso specifico sul tema, ma come lo stesso possa essere declinato, in termini di argomenti e durata, resta ancora un punto da chiarire e quindi, la cosiddetta “formazione specifica”, di cui alla risposta dell’Ente di vigilanza, è a oggi oggetto di interpretazione da parte dei diversi soggetti aventi la prerogativa giuridica per poter erogare la formazione ai CSP/CSE.
D’altra parte, da ormai più di sette anni, siamo ancora in attesa della definizione dei contenuti e delle modalità della formazione di cui all’art. 2 c1 lettera “d” del DPR 177/2011, che dovevano essere individuati, compatibilmente con le previsioni di cui agli articoli 34 e 37 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, entro e non oltre 90 giorni dall'entrata in vigore del Decreto, con accordo in Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentite le parti sociali.
- In un Bando di gara pubblicato sulla Gazzetta Europea, era riportata la frase:
In un bando europeo, tra i requisiti di gara, si leggeva questo requisito richiesto:
…
h) Allega dichiarazione resa ai sensi del D.P.R. 445/2000 con la quale l'operatore economico attesta di poter disporre di personale adeguatamente formato per lo svolgimento dei lavori in spazi confinati di categoria A, B e C.
…
AB: Dopo aver letto quanto sopra, ho contattato l’Ente appaltante facendo presente l’errata applicazione delle previsioni di cui al DPR 177/2011, considerato che la classificazione rispetto alla quale era richiesta la formazione attiene alla normativa NIOSH, che non ha riscontro nell’ambito del DPR 177/2011 che, in tema di informazione/formazione – addestramento vede trovare applicazione quanto previsto dall’art. 2 comma 1 lettere “d”, “e”, “f”. Hanno provveduto a modificare il bando.
- Quale formazione è necessaria per svolgere il ruolo di Rappresentante del Datore di lavoro committente DPR 177/2011 art. 3 c2?
In alcuni casi si legge:
…
per lo svolgimento dell’incarico di rappresentante del datore di lavoro committente è necessario un attestato specifico con formazione per spazi confinati, ovvero il medesimo che viene richiesto al personale che svolgerà attività in spazio chiuso e confinato.
…
AB: A riguardo, bisogna ricordare che tra le innovazioni legislative di cui al DPR 177/2011 vi è anche l'introduzione, nell'ambito dell'ordinamento nazionale, della figura del Rappresentante del Datore di lavoro committente, espressamente prevista dall'art. 3 c2 del citato Decreto, che il datore di lavoro committente deve individuare in caso di affidamento delle attività in appalto. Per tale figura, il cui compito precipuo è vigilare in funzione di indirizzo e coordinamento delle attività svolte dai lavoratori impiegati dalla impresa appaltatrice o dai lavoratori autonomi e per limitare il rischio da interferenza di tali lavorazioni con quelle del personale impiegato dal datore di lavoro committente, il Legislatore ha previsto delle specifiche caratteristiche che sono: il possesso di adeguate competenze in materia di salute e sicurezza sul lavoro e la conoscenza dei rischi presenti nei luoghi in cui si svolgono le attività lavorative.
Inoltre, egli deve aver svolto attività di informazione, formazione e addestramento di cui all'articolo 2, comma 1, lettere c) ed f). Premesso che il riferimento alla lettera c) è stato più volte ribadito essere un errore di trascrizione (infatti riguarda l'esperienza triennale) che deve, invece, essere letto come riferimento alla lettera d), a mio parere appare evidente come per questa figura sia stato previsto un percorso di formazione strutturalmente differente da quello richiesto per tutto il personale, compreso il datore di lavoro ove impiegato per attività lavorative in ambienti sospetti di inquinamento o confinati.
Infatti, al Rappresentante del datore di lavoro committente è richiesto di avere svolto attività di informazione/formazione specificatamente mirate alla conoscenza dei fattori di rischio propri delle attività in ambienti sospetti di inquinamento o confinati e avvenuta effettuazione di attività di addestramento relativamente all’applicazione di procedure di sicurezza coerenti con le previsioni di cui agli articoli 66 e 121 e all'allegato IV, punto 3, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, ma non gli è richiesta l'avvenuta effettuazione di attività di addestramento all'uso corretto di dispositivi di protezione individuale, strumentazione e attrezzature di lavoro idonei alla prevenzione dei rischi propri delle attività lavorative in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, coerentemente con le previsioni di cui agli articoli 66 e 121 e all'allegato IV, punto 3, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81.
La ratio dell'evidente differenza prevista nel percorso di formazione tra questa nuova figura e gli addetti alle operazioni, è certamente riconducibile al fatto che, per quanto evidente nel testo del Decreto, il suo è un ruolo di vigilanza in merito allo svolgimento generale delle lavorazioni e, quindi, il suo percorso formativo non può che essere improntato alla caratterizzazione di tale specifico incarico attraverso l'acquisizione sia d'informazioni sui fattori di rischio propri delle attività in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, sia sulle più idonee modalità di applicazione di procedure di sicurezza coerenti con le previsioni di cui agli articoli 66 e 121 e all'allegato IV, punto 3, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81.
- Sussiste o meno l’obbligo di aggiornamento periodico della formazione dei lavoratori alla luce delle disposizioni del D.P.R. 14 settembre 2011, n. 177?
A questa domanda, un Ente di vigilanza ha risposto precisando che l’art. 2 – comma 1, lettera d) – stabilisce che “l’attività di informazione e formazione di tutto il personale, ivi compreso il datore di lavoro …” debba essere oggetto di verifica di apprendimento e aggiornamento rinviando, nel contempo, l’individuazione delle relative modalità e dei contenuti ad un apposito Accordo da sottoscriversi in sede di Conferenza Stato-Regioni. Allo stato attuale, pur in mancanza dei suddetti requisiti, l’obbligo dell’aggiornamento trova fondamento normativo nella previsione di cui al comma 6 dell’art. 37 del D. Lgs. n. 81/2008 secondo cui la formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti deve essere periodicamente ripetuta in relazione all’evoluzione dei rischi o all’insorgenza dei nuovi rischi. A tal proposito si consiglia un aggiornamento con periodicità quinquennale, in linea con le disposizioni ex Accordo Stato-Regioni del 21 dicembre 2011; si suggerisce, invece, un aggiornamento con cadenza triennale per le aziende nelle quali i lavori in argomento sono molto frequenti.
AB: Nulla da eccepire, se non l’indicazione della frequenza di aggiornamento che viene parametrata alle previsioni dell’Accordo Stato-Regioni del 2011 e il fatto che nel caso specifico delle attività negli ambienti sospetti di inquinamento o confinati la sola informazione/formazione non è sufficiente, in quanto la parte addestrativa e la continua verifica della corretta applicazione delle procedure di lavoro (individuando la presenza di eventuali gap formativi), rivestono un ruolo predominante nell’ambito del più generale sistema di gestione in sicurezza di queste attività a elevato rischio.
Conclusioni
Fermo restando l’obiettivo di garantire un adeguato livello di sicurezza nelle attività previste in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, sarebbe peraltro opportuno valutare quali sia il reale impatto di alcune disposizioni introdotte con il D.P.R. 177/2011 in termini di applicabilità e di reale efficacia. Il testo del Decreto, oltre a errori palesi (es, “confinanti” nel titolo dello stesso testo di legge), è pieno di punti oscuri e lascia spazio a possibili interpretazioni, spesso contraddittorie.
Per affrontare correttamente il problema della sicurezza negli ambienti sospetti di inquinamento o confinati, bisogna riuscire a non fermarsi alla categorizzazione di tali ambienti cercando una sorta di “griglia decisionale” che consenta, anche a chi non ha mai avuto modo di occuparsi di queste tipologie di attività, di poter definire in modo automatico la classificazione di un ambiente come sospetto di inquinamento o confinato. Magari mettendo una crocetta in corrispondenza di qualche casella presente in generiche checklist preconfezionate.
Ogni ambiente e ogni situazione sono un caso a parte, tenuto conto che nell’ambito di una corretta valutazione, non si possono considerare solo i rischi presenti (ed evidenti) in relazione al contesto; capacità di analisi ed esperienza giocano un ruolo fondamentale nella previsione dei rischi, anche potenziali, che potrebbero interessare il luogo di lavoro, definendo le misure di prevenzione e protezione necessarie per garantire un adeguato livello di sicurezza nelle attività. adempimento comporterebbe nella pratica quotidiana.
Di là degli adempimenti meramente burocratici, è ormai chiaro a tutti che le condizioni imprescindibili non possono che essere l’identificazione di tutti i rischi (reali o potenziali) così da poter eseguire un’approfondita e corretta valutazione dei rischi, una corretta programmazione e la pianificazione di tutte le fasi operative con particolare riferimento agli interventi in caso di emergenza, la garanzia di un’adeguata attività d’informazione/formazione e addestramento efficace del personale operativo (compreso il datore di lavoro, se direttamente coinvolto nelle attività), il possesso e addestramento corretto all’utilizzo dei idonei dispositivi di protezione individuale, delle attrezzature e della strumentazione idonei e adeguati alla prevenzione dei rischi propri delle attività lavorative in ambienti sospetti d’inquinamento o confinati e pianificare sia le attività ordinarie sia gli scenari di emergenza, codificando le operazioni da porre in essere e verificando che la catena degli appalti e subappalti non porti aziende o artigiani a operare in attività per le quali non sono né preparati né attrezzati.
Appare quindi necessario e urgente sia rivedere il quadro normativo di riferimento al fine di dirimere i vari problemi interpretativi del Decreto, sia ricondurre la discussione su un piano prettamente tecnico, nell’ambito del quale poter elaborate una specifica norma di riferimento da sviluppare sulla base di linee guida, norme e/o standard e Best Practices presenti a livello nazionale e internazionale.
Adriano Paolo Bacchetta
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Rispondi Autore: Michele Armiraglio - likes: 0 | 01/03/2019 (08:59:17) |
Ad un datore di lavoro si chiede di mettere i lavoratori nelle condizioni di non poter sbagliare nulla (DPI, formazione, istruzioni operative, vigilanza ecc) dall'altra c'è un legislatore che , per citare le parole dell'articolo "non aveva ben chiaro il contesto che era chiamato a regolamentare". I problemi partono sempre dal vertice! se vogliamo sviluppare una cultura della sicurezza veramente efficace, chi fa le leggi dovrebbe iniziare a scriverle in maniera chiara, univoca, precisa, non intepretabili in modo differenti. Facciamo un'analogia: se un RSPP/datore di lavoro scrivesse un'istruzione operativa poco chiara, imprecisa, secondo voi in caso di un infortunio un organo di vigilanza attribuirebbe le responsabilità ad un lavoratore o al datore di lavoro/RSPP? Perché nessuno affronta la questione dell'imprecisione nei contenuti delle leggi ed interviene tempestivamente per migliorare? Ne gioverebbe tutto il sistema prevenzionistico. |
Rispondi Autore: Marco Carenati - likes: 1 | 01/03/2019 (18:06:22) |
Buonasera, articolo molto corredato e condivisibile. Vorrei chiedere se per la Vostra opinione possiamo considerare i forni per il trattamento termico delle billette da acciaieria come spazi confinati? E per quanto riguarda le cabine di verniciatura? Sono anche queste spazi confinati? Sento tanti colleghi che sono contrari e altri che invece sostengono che lo siano. E partono lunghe discussioni. Mi interesserebbe la Vostra opinione. Grazie. Marco |
Rispondi Autore: Fausto Zuccato - likes: 0 | 02/03/2019 (08:40:49) |
Il 22/12/2014 su Punto Sicuro è stato pubblicato un commento di Luca Mangiapane che invito ad andare a rileggere. A mio parere, era una magistrale descrizione delle procedure legislative in Italia. Sono passati poco piò di quattro anni e nulla è cambiato, come evidenziato nel magistrale scritto di Adriano Paolo Bacchetta. |
Rispondi Autore: Adriano Paolo Bacchetta - likes: 0 | 02/03/2019 (11:14:58) |
Personalmente concordo sul fatto che lo sviluppo della cultura della sicurezza, inteso come sistema complessivo di corretta gestione misure di prevenzione e protezione dai rischi, non può che partire da una forte volontà politica che esca dalla consolidata prassi di normazione secondo la logica dell’emergenza continua. Questo, però, avviando strumenti e modalità realmente efficaci di confronto con tutti coloro che, giornalmente, si trovano a dover gestire le attività in generale e, in particolare, per quanto attiene il tema dell’applicazione del DPR 177/2011. Ma questa è solo una parte del problema. Da tempo, per quanto nelle mie possibilità, ho avviato ambiti di confronto e dialogo, nei quali poter raccogliere e, quindi, mettere a sistema le conoscenze ed esperienze del variegato mondo che si occupa dell’applicazione del DPR 177/2011, con alcuni risultati (es. convegno nazionale, ecc..). Ma com'è possibile pensare di modificare la situazione (es. affrontare la questione dell'imprecisione nei contenuti delle leggi ed interviene tempestivamente per migliorarle) se non si è in grado di fare “sistema”, condividendo le diverse esperienze di buone prassi, poste in essere dalle Aziende a livello nazionale, valutando anche quanto presente in ambito europeo e internazionale? Perché non si riesce ad avviare lo sviluppo di una reale comunità di pratica, specifica per ogni settore di applicazione (es. ambienti sospetti di inquinamento o confinati), nella quale poter condividere conoscenze e informazioni, così da definire una (o più) modalità operativa(e) comune(i)? Più volte, nei miei articoli, cito un passo di un testo (M.Tiraboschi, L.Fantini - Il Testo Unico della salute e sicurezza sul lavoro dopo il correttivo, D.Lgs. n.106/2009): “L’assetto istituzionale, fondato sull'organizzazione e circolazione delle informazioni, delle linee guida e delle buone pratiche, nasce dalla consapevolezza della necessaria conoscenza di informazioni e indicatori per definire priorità, per mirare azioni, per valutare risultati, ma anche ai fini generali di informazione, comunicazione, socializzazione delle conoscenze ed educazione alla sicurezza e alla salute.” Indicazione precisa e puntuale che, oggi, risulta inapplicata. Proprio questa evidente difficoltà, presente nel panorama nazionale, per la creazione di un effettivo ambito "collaborativo", mi orienta sempre di più verso il contesto internazionale dove, da anni, regole e procedure si sono ormai consolidate e le Guidelines, Best Practices o ACOP, sono sostanzialmente uniformate. Se ci fosse maggiore disponibilità alla creazione di una “comunità di pratica” sul DPR 177/2011, ovvero si potesse raggruppare una pluralità di attori che condividono interessi e problematiche comuni per collaborare, promuovere, discutere e confrontarsi sulla base delle conoscenze/competenze ed esperienze individuali, certamente potremmo raggiungere, anche a breve, risultati concreti. |
Rispondi Autore: Adriano Paolo Bacchetta - likes: 1 | 02/03/2019 (11:19:19) |
Per quanto riguarda i forni per il trattamento termico delle billette e le cabine di verniciatura, ritengo non non esista una regola generale. Si tratta di valutare caso per caso, anche in funzione delle caratteristiche dei singoli luoghi, delle attività previste e delle modalità di accesso/uscita. |
Rispondi Autore: Giuseppe Perlin - likes: 1 | 04/03/2019 (08:42:38) |
Buongiorno dott. Bacchetta, quesito: sono RSPP di una coop agricola nella quale esiste un reparto di ricerca e sviluppo in cui si esegue anche una microvinificazione, la cui attività dura 2-3 mesi e non c'è conservazione del prodotto sperimentale come invece avviene nei silos delle cantine vinicole. Nel reparto comunque hanno installato un sistema d'allarme per segnalare l'eventuale presenza di aria nociva gestito dalle due persone che lavorano e che ogni mattina aprono i portoni prima di iniziare l'attività. Teoricamente saremmo in ambiente confinato…..ma veramente devo mettere in piedi tutto il 177/2011 come le grandi cantine vinicole? Se il Datore di Lavoro nel DVR riesce a dimostrare di far lavorare sicuri i suoi collaboratori può essere considerato rispettoso del DPR.81/2008? Grazie e buon lavoro. Giuseppe Perlin. |
Autore: Bacchetta Adriano Paolo | 04/03/2019 (17:43:38) |
Buona sera, premesso che in linea teorica (applicazione rigorosamente letterale del testo legislativo) qualsiasi "ambiente" ove sia possibile il rilascio di gas deleteri, dovrebbe essere classificato come "sospetto di inquinamento" (questo, purtroppo, deriva da un infelice travaso nel DPR 177/2011 di riferimenti originariamente destinati ad altra questione), nella pratica questo non avviene. Il semplice accesso al locale dove si potrebbero riscontrare gas "deleteri" dovuti alla fermentazione tumultuosa o come conseguenza del trattamento (es. solfitazione) o ancora per l'inertizzazione (es. azoto), a mio parere dovrebbe essere gestita in ottica D.Lgs. 81/08 art. 66. Se poi il personale deve accedere all'interno del fermentino o altra apparecchiatura (filtro pressa, vasi vinari, ecc.) allora quell'apparecchiatura rientra nell'applicazione del DPR 177/2011. Comunque, per essere più precisi, bisognerebbe avere qualche informazione in più e, magari, qualche fotografia dei luoghi. Comunque, a questo link https://bit.ly/2TfuMcL può trovare il documento finale di una ricerca sulle cantine vitivinicole, che mi ha visto collaborare per un progetto con l'ASL di Pavia. Magari potrebbe trovare qualche spunto interessante. Cordiali saluti |
Rispondi Autore: Giuseppe perlin - likes: 1 | 05/03/2019 (08:53:05) |
Grazie dott. Bacchetta, cercherò sicuramente gli spunti interessanti. Questi scambi comunicativi tra gli addetti ai lavori valgono molto di più di una vaga lezione in un corso di aggiornamento frequentato per esigenze di crediti formativi! Grazie. |
Rispondi Autore: Ugo Tirondola - likes: 1 | 05/03/2019 (16:24:48) |
Che ne dite dell'obbligo di formazione preventiva di durata "non inferiore ad un giorno"? |
Autore: Bacchetta Adriano Paolo | 07/03/2019 (22:24:18) |
Tra l'altro, al fine della informazione preliminare prevista dall'art. 3 c1 del DPR 177/2011, ricordo sempre la possibilità di applicare quanto previsto dalla prima parte dell'interpello 23/2014. Non è ovviamente la soluzione di tutti i guai di questo Decreto ma, se correttamente applicato, potrebbe consentire di risolvere una serie di problemi, almeno per le attività svolte in sede fissa, eseguite da parte delle stesse imprese/maestranze. Questo, fermo restando che, ovviamente, concordo con quanto scritto dal Collega Catanoso. |
Rispondi Autore: Giuseppe Perlin - likes: 0 | 06/03/2019 (08:34:22) |
L'idea è buona e può tramutarsi in una cosa straordinaria oppure in un calvario: tutto dipende dal formatore e dai suoi discenti! |
Rispondi Autore: carmelo catanoso - likes: 1 | 06/03/2019 (09:52:34) |
Personalmente penso sia uno dei tanti errori del legislatore (e dei consulenti di cui si è avvalso) quando si avvicina a tematiche piuttosto lontane dai propri ambiti di competenza. In merito alle modalità ed ai tempi per effettuare le attività informative, il regolamento richiede che ciò venga effettuato |
Rispondi Autore: carmelo catanoso - likes: 1 | 06/03/2019 (09:56:02) |
Dimenticavo che quando si usano le virgolette, sparisce il testo che segue. Riscrivo qui quello che intendevo dire nel post precedente. In merito alle modalità ed ai tempi per effettuare le attività informative, il regolamento richiede che ciò venga effettuato "in un tempo sufficiente e adeguato all'effettivo completamento del trasferimento delle informazioni e, comunque, non inferiore ad un giorno". Francamente, il nuovo parametro per la misura del tempo relativo all’informazione, e cioè il “giorno”, sembra piuttosto fuori luogo almeno per un paio di motivi. Innanzi tutto, il tempo dedicato all’informazione e alla formazione si è sempre misurato in ore e non in giorni; poi, fissare a priori un tempo da dedicare all’attività informativa senza tenere conto della tipologia, della durata e della complessità del lavoro da eseguire all’interno di ambienti sospetti d’inquinamento o confinati, è quantomeno indice di approssimazione se non di scarsa conoscenza delle diverse realtà lavorative. Infatti, se da una parte, un “giorno” da dedicare all’informazione preventiva da parte del datore di lavoro committente, è palesemente eccessivo per svolgere la sostituzione di un galleggiante all’interno di una vasca (lavoro che dura, al massimo, un’ora compresa la fase di preparazione e ripristino), dall’altra un “giorno” è palesemente insufficiente per eseguire lavori nell’ambito del “revamping” di parte degli impianti all’interno di una raffineria. Quindi, personalmente, penso che di debba valutare caso per caso. |